ritengo che per comprendere interamente una sola cosa, non importa quanto sia minuscola, occorra la comprensione di ogni altra cosa al mondo. Ecco perché a volte mi do per vinto di fronte alle cose più semplici; ecco perché non mi dispiace di passare una vita intera nel prepararmi a iniziare la mia indagine. (John Barth. L'opera galleggiante)
lunedì 27 dicembre 2010
si bien caché
Passato.
Come ogni anno c'è stata la folla, le valanghe di regali da impacchettare, le clienti impossibili, le corse per arrivare in tempo dopo la pausa pranzo, le ghirlande da confezionare, le bruciature da colla a caldo e le dita tagliate con la carta da regalo. Il solito orrendo male al collo, la solita voglia di cioccolata.
Poi c'è stata la neve alta.
Le guance rosse e gli alberi caduti in tutta la città ma soprattutto nel mio quartiere: pini di cento anni che perdevano rami enormi per strada, strade chiuse, mezzi pubblici ko, e le grandi camminate nella neve con la musica alta nelle orecchie e il sorriso spalancato su tutto quel bianco e quel silenzio. Il pranzo a casa del mio capo, col pollo fritto preso in rosticceria e il bambino tenerissimo che mi fa vedere tutti i suoi giochi e poi si adagia come un gatto in braccio a me per farsi mettere le scarpe.
Le albe grigie, la pioggia battente, i caroselli di camion dei vigili del fuoco per tutta la città, l'ennesima amica incinta, le foto di Celeste che cresce e la nostalgia di vederla crescere da lontano.
Passato il pranzo familiare e la cena degli avanzi, passate le telefonate di rito, lo zio che ti manda il biglietto con "la centomila" la serata di rito a vedere film di Chaplin.
Essere pieni e vuoti allo stesso tempo, sentire i propri passi che fanno rumore, sentire la pelle che tira, la dolcezza che ti invade e l'amarezza che resta ferma al suo posto.
Natale.
Due giorni per scoprire quanto nascosti possono essere i propri sentimenti.
martedì 14 dicembre 2010
la sicurezza degli oggetti
Ecco, proprio in quel momento...
...procura che il troppo vino ti faccia mantenere una residua lucidità, perché quando le chiavi della vespa si animano e ti schizzano dalla mano guantata, fanno una piroetta in aria, e atterrano con un discreto "pluf" dentro il tombino davanti al ristorante, devi avere la forza di fare una risata forte, e trenta euro in tasca per un taxi che ti porti a casa a prendere il duplicato, e ti riporti a prendere la vespa. E, soprattutto, dopo tutto questo, è bene che tu sia ancora in grado di sorridere.
Infatti stasera sono proprio fiera di me e di come ho ridacchiato col tassista e giocato a raccontarsi gli incidenti di percorso più pazzi del mondo e i modi in cui sono stati risolti.
mercoledì 8 dicembre 2010
the unsaid
Bruxelles era piena di neve, gelata e freddissima. Per strada si scivolava su pezzi sparsi di ghiaccio sul pavé dei marciapiedi e in albergo tenevamo il riscaldamento così alto che avremmo potuto coltivare orchidee.
Non l'ho vista, la città. Ho visto diversi cioccolatini, biscotti al burro, torte di vario genere e ho scoperto un autore eccezionale rovistando fra i libri di D. destinati alla piccola Celeste. Il suo Saisons è già nella mia lista di desideri per Natale.
domenica 7 novembre 2010
Primo fine settimana di novembre
lunedì 25 ottobre 2010
cristallo
A chi serve tutto questo parlare.
Tutto questo analizzarsi, tutto questo capirsi, scorticare le emozioni fino a vederle nude e crude, tutto questo darsi torto continuamente, punirsi, ricredersi, assolversi, sentirsi comunque addosso nuvole di domande che fluttuano e si depositano come foglie di tè sul fondo della tazza.
Sotto casa, nella via cieca dove abito, macchine parcheggiate e autoradio accese con gente che bisbiglia. Pozzanghere di acqua gelida che riflettono lame di luce storta. Le auto della polizia stradale che ordinatamente rientrano in caserma.
Nel silenzio della notte fra sabato e domenica ho fatto la cosa più difficile del mondo. Ho tolto dagli scatoloni i cd e li ho sistemati tutti nella libreria, uno per uno, a un anno dal trasloco.
Dopo aver concluso l’operazione, ore 4:38 del mattino, ho saputo con certezza perché avevo aspettato tanto a decidermi a compiere questo passo. Lettere, biglietti, foto, date, parole che saltavano fuori come coriandoli da una busta, totalmente incontrollate e totalmente inaspettate. Roba che non ha ancora trovato un posto dentro questa casa, che forse non ce lo troverà. Roba che non ha un posto da nessuna parte: nessuno la conosce e i pochi che la conoscono non la ricordano, allora a chi serve rileggere, cercare di capire e mettere a nudo tutto? E se non serve, cosa fare con quella mole sproporzionata di ricordi che son già perduti, perché impossibili da condividere?
Alla fine, eccola, la libreria colorata piena di dischi che sognavo da anni. Tutto spolverato e ordinato alfabeticamente. Tutto: senza censure, senza accantonamenti di sorta. Un percorso iniziato nel 2001, anno in cui mi fu regalato il mio primo lettore cd.
Tutto quel che non era musica, spolverato, ammucchiato, e chiuso dentro una scatola l’ho messo, alla fine, in uno scaffale in alto. Una specie di terra di mezzo delle decisioni sospese. Poi mi sono seduta in poltrona e ho iniziato a leggere il nuovo romanzo della Byatt.
Ho pensato che quel momento mi piaceva, e che ero stremata.
Brava biondina.
La polvere, quella accumulata e tolta col piumino, non è volata fuori dalla finestra come avrebbe dovuto. L’ho ingoiata io.
venerdì 15 ottobre 2010
senza pudore
Il mio shampoo si prende gioco di me.
lunedì 4 ottobre 2010
up
giovedì 23 settembre 2010
cristallo
Non so dire cosa sia successo ma oggi tutto sembra fragile e trasparente.
Il caffè, i miei post it, i fiori sulla tavola. Ascoltare gli strokes di prima mattina, un film di Fellini prima di dormire. E’ tutto così familiare e tutto estraneo.
Vivere con la sensazione costante che qualcosa stia per accadere e notare le piccole differenze giorno per giorno, eppure fare in modo che tutto sia silente, che le giornate restino immutate.
Mi ricordo le cose, quelle piccole e quelle grandi, ma solo io le ricordo. Come il finale di quella poesia recitato una sera di giugno. Proprio in quella poesia mi sono imbattuta a Venezia, per caso, (perché il caso è un comico eccezionale) e a momenti cado per terra. Guardo le persone negli occhi nella speranza che riconoscano il mio sguardo, ma non succede mai e penso che sia perché lo sguardo non è più, non sarà più lo stesso.
venerdì 17 settembre 2010
nota a margine
tanto per aggiungere anche la mia sul film della Coppola, mi ha lasciato amareggiata vedere una platea intera ridere e prendersi gioco di un povero diavolo che pasticcia un po' a fare un piatto di spaghetti, e restare indifferente di fronte allo spettacolo di miseria che sono i dieci minuti di film ambientati in Italia.
Certo, però, noi italiani gli spaghetti li sappiamo fare.
Però il film mi è piaciuto. Forse è un po' più esile di quello che speravo, ma l'aspettativa era alta e nell'insieme non sono delusa.
giovedì 9 settembre 2010
riletture
mercoledì 1 settembre 2010
emozioni di ritorno
È stata una lunga estate, piena di riflessioni e di letture.
Ho passato giorni meravigliosi in un posto che mi è caro e poi ho passeggiato in una Venezia silenziosa scoprendo parti di me inedite e, credo, molto importanti. Adesso sono a casa, a casa mia (posso dire che ancora faccio fatica a pronunciare queste due parole insieme senza sentirmi un po’ sottosopra e anche un po’ a disagio?), progetto di appendere un paio di poster, sono ricoperta di scartoffie. Va bene così.
Va molto bene.
È un clima molto simile a quello della scuola che ricomincia: la città che torna ad essere freddina, un maglioncino buttato addosso la mattina mentre vado al lavoro, l’abbronzatura che inizia a essere un po’ senza senso nel ritrovato tran tran quotidiano.
Al solito, la piccola iena che mi divora da dentro mi tende dei tranelli, nei quali cado con tutte le scarpe.
Sono stata tanto felice di sapermi in grado di camminare per ore e ore e ore senza nessuno che mi corresse dietro, nemmeno la mia ombra, e poi sono stata infelice, come era ovvio, per essere stata di nuovo indulgente verso le mie fantasie. Fantasticare non va bene per quelle come me, si finisce per credersi alte e con le gambe come quelle della Loren.
Torno indietro e sono carica di doni, piccole cose da custodire, messe da parte per me sola. Come l’immagine dell’angelo del Tiepolo che salva il muratore che cade dall’impalcatura, o quei dieci minuti che ho passato imbambolata davanti a una vetrina dietro cui era esposto nudo e crudo un pezzo della mia vita. (L’ho comprato e ora l’ho nascosto in un ripiano della cucina). Oppure le passeggiate vicino all’acqua, di notte, con quel tizio che suonava il violino, sempre la stessa aria malinconica, tanto effetto filmaccio a raccontarla così, eppure lì per lì tanto struggente.
Il lavoro è tanto, dappertutto, una buona parte è anche indietro, e ora dovrei essere lì a occuparmene.
Ma per un pochino mi godo ancora questo clima, l'odore della cartella e dei libri nuovi.
Quella piccola euforia, si sa, finisce presto.
venerdì 6 agosto 2010
mercoledì 28 luglio 2010
cristallo
Non è difficile provaci: uno due tre apnea. uno due tre... a me piace calcolare quanto tempo riesco a restare senza respirare. Mi è sempre piaciuto fin da piccola, quando chiesi in regalo un orologio col cronografo ai miei genitori pensavo a questo: che potevo calcolare... La penombra in casa è come un pergolato fresco sotto cui sostare e rinfrescarsi. Nella penombra tiro fuori acqua fresca, insalata e affetto dei pomodori. Ci sono delle cose da lavare, la piantina di salvia resiste, il basilico è morto. Troppo amore. Troppa cura a questa pianta così delicata, troppa acqua non troppo poca, troppi tentativi di esposizione a una luce migliore, troppo di tutto. Una pianta profumatissima e delicata, troppo amore, così si può solo soffocare. E così mi torna in mente il sogno che facevo prima dell'alba, stanotte. Prima che arrivasse Dick Diver. Sognavo che ero in una specie di albergo e che bisognava organizzare i posti in cui avremmo dormito, sognavo che il mio amico e la sua fidanzata incinta dormivano in un letto piccolo piccolo tutti e tre e io da sola stavo in un letto grandissimo. E non dormivo. Loro sì, io no. Che cosa insensata, mi dicevo anche in sogno, che cosa insensata. Eppure non stanno male, mi dicevo, io soffocherei. Io soffocherei... poi mi è mancato il respiro e mi sono svegliata. E ho trovato Dick Diver.
Dice l'agiografia di Leonardo da Vinci -eh se la prendo larga- che lui abbia detto "chi è solo è tutto suo, chi divide la vita con un compagno è suo solo a metà". Poi dice anche che la passione per la natura gli è venuta osservandola, e a osservare la natura gli aveva insegnato un suo zio perdigiorno che compare nell'estratto familiare fra le bocche da sfamare con la seguente descrizione "sta in villa e non fa nulla".
Ora Leonardo era un genio ed è diventato un genio, fra le altre cose, aprendo in due le lucertole da piccolo. Cosa che abbiamo fatto tutti senza diventare geni, ma magari un po' osservatori sì.
Stanotte ci pensavo, a quante osservazioni ho messo insieme, a quanto sono dettagliate e fedelmente annotate e trascritte con la penna verde e analizzate.
Annotatrice di fatti inutili e calligrafa in verde.
Se fossero dei mestieri mi sa che sarei ricca.
giovedì 22 luglio 2010
risate a denti stretti
Oggi ore 9.30 sono arrivata in negozio con colazione già fatta -quasi un miracolo- un sonno spaventoso e un caldo già decisamente superiore alla soglia di sopportazione. La mia, intendo, che come è noto resiste impavida a 38 gradi girandosi di là. Però l'aver già fatto colazione aiutava, in fondo è la parte più bella della giornata, la colazione, sempre e comunque.
sabato 17 luglio 2010
pietre
lunedì 5 luglio 2010
un'ultima domanda
martedì 22 giugno 2010
un anno fa
Ho ritrovato il quaderno dell’anno scorso.
Fa un certo effetto rileggere le pagine scritte nei momenti di pausa del master, quando cercavo di tenere gli occhi aperti e discutevo con i miei colleghi di come avevamo tradotto quella singola piccolissima parola che però cambiava il senso di un’intera frase, o di un intero mondo attaccato a una frase.
Mi sembra impossibile che sia già passato un anno intero dalla tesi, dall’estate fatta di ricerche di testi e di consigli, dalla tre giorni in Svizzera, quando già sapevo che stavo coltivando una bella illusione.
Adesso traduco, un po’, mi hanno appena pagato un paio di lavoretti giusti giusti per godermi qualche sfizio in più in vacanza, anche se in vacanza non so se e quando ci andrò.
La mia illusione è molto ben nascosta, oggi ne ho discusso in un modo anche troppo franco, tanto franco da impedirmi di pensare ad altro per il resto della giornata. Io ho sempre tradotto, ho sempre scritto quello che pensavo su pagine nascoste in libri di altri in modo che fosse impossibile anche per me ritrovarle, se non per sbaglio. Ho sempre amato le parole, soprattutto le parole altrui. Mi è sempre bastato sapere che coltivavo la mia passione con dedizione e pazienza, senza smettere mai di farlo, senza chiedermi perché o per chi.
Questa cosa non è cambiata, anche se la pazienza a volte vacilla. Ma sento un filo spezzato dentro di me: il momento in cui ho capito che non avrei sopportato altri rifiuti e altri capitomboli ha anche coinciso col momento in cui ho smesso di pensare che nella vita domani le cose potrebbero cambiare drasticamente e ricominciare da capo, come su un bel foglio bianco.
Un nuovo romanzo, una nuova estate da cominciare, tornare su passi abbandonati dieci anni fa, eppure essere in una nuova fase. Avere una nuova casa a cui tornare. Sarebbe questo il mio modo di voltare pagina.
Non sono convinta che mi basti.
Intanto leggo Elizabeth Strout e dormo sempre meno.
mercoledì 9 giugno 2010
madeleine
In questo periodo Firenze di sera è in un mistero di profumo di gelsomini nascosti in giardini dietro muri altissimi. Al di là dei muri si intravedono chiome di alberi, si intravedono luci accese e si sente questo profumo dappertutto, un misto fra erba tagliata e gelsomini.
giovedì 3 giugno 2010
compendio
giovedì 27 maggio 2010
pedicure
giovedì 20 maggio 2010
colonna sonora
Ascolto ininterrottamente i National dai primi di Maggio ormai, come quando da ragazzina ascoltavo la stessa cassetta venti volte in un pomeriggio, e continuo a essere sovraccarica di emozioni, però in un modo diverso da quando ero una ragazzina. Oggi ero così assorta che mi sembrava che certe note mi fossero entrate sotto la pelle, allora mi sono imposta di smettere e ho dato una girata a caso alla rotella dell'I-pod. Ed è saltato fuori Dente che cantava so benissimo cosa c'è nei tuoi occhi bagnati, un po' di pioggia e un po' di ferite...
mercoledì 12 maggio 2010
Storia della biondina che passa la notte alla stazione di Milano Centrale
Mi dondolo un po' da un binario all'altro, trascinando la valigia rossa, e accendendomi la prima sigaretta della giornata, alla fine decido di rischiare un po' di bionditudine, benché dimessa dopo le prime dodici ore di viaggio, e mi infilo nella stazione della polizia ferroviaria.
Ho addosso un odore dolciastro, credo di essermelo portato dietro dal duty free dell'aeroporto dove ho provato due o tre profumi mentre aspettavo che la benedetta nuvola decidesse cosa fare di sé. Non è sgradevole, ma non è il mio, e lo sento saltar fuori come un coniglio dal cilindro a ogni gesto che faccio.
I poliziotti della Polfer mi accolgono con una gentilezza rara, offrendomi anche bevande calde per superare la notte.
Sono un gruppo di ragazzi giovani, che parlano del futuro e del presente fumando e ogni tanto ridono di una battuta che capiscono solo loro.
In quel silenzio rotto solo dalla costante presenza del televisore con la pubblicità delle mozzarelle (a un certo punto uno dei ragazzi mi ha guardata e ha detto "che faccio gli sparo?") si assisteva quindi alla scena di una biondina appoggiata alla porta dell'ufficio, con un fiore per capelli agganciato al libro che ha in mano, in mezzo a cinque uomini in divisa, che racconta le peripezie del suo viaggio, mentre qualcuno ride e dice "mamma mia ti metteranno sullo show dei record".
La notte si è schiarita e anche la pioggia si è via via diradata. Si sentiva gocciolare l'acqua dalle tettoie e dalle grondaie.
A un certo punto è comparsa una bambina mulatta, vestita di rosa, che camminava con le scarpe di sua madre mentre lei dormiva su una panchina, e mi ha chiesto delle cose a voce bassissima.
Non capivo bene perché sussurrava, e quando le ho avvicinato l'orecchio alla bocca mi ha chiesto delle cose in spagnolo. Allora le ho risposto e siamo diventate migliori amiche. Anche lei aspettava un treno. E non aveva per niente sonno.
Quando ho salutato i miei compagni notturni, alle cinque e mezza, uno stava facendo colazione con un kinder bueno. Me ne ha offerto la metà ridendo.
Un po' mi è dispiaciuto partire, un po' mi avrebbe fatto piacere stare lì e chiacchierare per davvero, senza le frasi di circostanza e senza i ruoli, solo come sarebbe stato parlare con un gruppetto di amici a notte fonda. E senza quel sonno che mi divorava le gambe.
Ma poi il cielo ha cominciato a diventare viola e poi bianco e in treno c'era un bel tepore e non c'era nessuno e allora mi sono appoggiata al sedile e mi sono tolta le scarpe e ho chiuso gli occhi quasi subito, in quell'odore non mio reso più acuto dal corpo che finalmente riprendeva un po' di calore, e mi sono addormentata in mezzo alla nebbia, fuori fitta, dentro un po' meno.
lunedì 10 maggio 2010
Storia della biondina bloccata da una nuvola.
di quando mi sono trovata dentro la Royal Albert Hall con addosso un adesivo che diceva "all areas" a sentire il concerto di uno dei miei gruppi preferiti, e di come poi ho conosciuto uno dei musicisti, e me lo aspettavo in un modo e invece era diverso, delicato, gentile, pieno di buone maniere e un po' piccolo di statura.
Poi ti racconto, di come il giorno dopo io e la mia amica M. non riuscivamo a parlare d'altro, di come canticchiavamo ancora le canzoni e di come ci siamo sentite rinfrancate in un pub non più fumoso, visti i divieti, ma che odorava di legno e di chiuso e di calore umano, con le pareti della minuscola stanza ricoperte di cravatte incorniciate, immagino roba di università diverse e di varie epoche, e ti racconto del freddo che faceva fuori, che fa tuttora fuori, che sembra proprio inverno e il vento gelato ti entra nel collo e allora l'acquisto pazzo della vacanza è diventato un maglione di cachemere color pervinca che mi fa sembrare una ragazzina, ma che poi, abbinato alla mia tradizionale austerity, in realtà mi rappresenta molto.
Poi ti racconto, della passeggiata solitaria per le strade, delle tre ore passate a studiare dentro un caffè -e di quanto mi manca il poter stare tre ore a studiare dentro un caffè senza che ogni tre secondi passi un cameriere a chiederti se stai bene - del trovarsi all'angolo con la mia amica che esce dal lavoro, mangiare fuori chiacchierando e poi sfidando le intemperie buttarsi dentro un altro concerto, e poi addormentarsi a casa sul fouton con un libro meraviglioso - pescato a caso dalla sezione non letti della libreria - che ti fa pensare che dovresti scrivere un essay su tutte le cose che hai segnato mentre lo leggevi e che poi lo dovresti tradurre e mettere nella cartellina delle cose che forse un giorno chissà, serviranno.
Poi ti racconto anche della notte scorsa, passata in bianco e di un pianto a caso che non so dire se fosse liberatorio o di awareness, o magari tutte e due le cose insieme, della corsa stamattina per prendere la navetta per l'aeroporto, delle ore d'attesa, del volo cancellato, del gruppetto eterogeneo di quattro con cui stavo per fare la follia di prendere un'auto a noleggio e farmi il viaggio fino all'Italia di notte per non perdere un giorno di lavoro, e di come poi con quel gruppetto ci siamo salutati bevendo birra in uno squallidissimo bar dell'aeroporto, ma sorridendo, prima che la navetta mi riportasse qui, alla casetta della mia amica che mi ha ri-accolta con una cena veloce in un posto greco e un cinema, che era proprio la cosa che ci voleva.
Poi ti racconto, ma ora non posso, perché non so dove sei. Ma non mandare nessun segnale di fumo, vedrai che quando sarà il momento ti troverò io.
Chi mai lo penserebbe che mi ha bloccata qui una nuvola vulcanica: mentre fumavo la mia ultima sigaretta in giardino, poco fa, il cielo era ricoperto di stelle.
venerdì 23 aprile 2010
non è l'amore che va via
Ha piovuto tutto il giorno, i panni stesi non sono ancora asciugati.
sabato 10 aprile 2010
e poi e poi e poi...
venerdì 26 marzo 2010
cose che mi sono successe questa settimana
Arriverà la primavera e il sole vero e proprio, io lo so.
Secondo me mi fa un dispetto per non farmi vedere la casetta piena di luce e riflessi di bianco e verde.
Ieri, in un tour de force micidiale di negozio, sono caduta dal panchetto che usiamo per prendere le cose che stanno negli scaffali alti.
Non sono caduta, in realtà il panchetto -che è una vecchia sedia di casa della titolare - si è spaccato in due sotto di me, facendomi precipitare verso il basso. In basso ci sono fiori, candele e soprattutto vasi di vetro e di terracotta.
Mi son detta, "eccoci, addio denti davanti", mentre cercavo goffamente di mettere le mani davanti alla faccia per proteggermi.
Invece no.
Sono caduta sopra l'unica cosa morbida di tutto il negozio: un cesto pieno di foglie di alloro.
"Sono le tue nonne che ti hanno preso per le bretelle"
dice la madre, che ci trova sempre qualcosa di magico animistico in queste cose.
A me piace l'idea delle bretelle, in effetti. Come avere sempre un gancio a cui sei appesa, e quel gancio è fatto di un invisibile e potentissimo affetto.
Oggi, mentre uscivo da un appuntamento, ho trovato un attaccapanni super kitsch.
L'ho preso, ma poi non sapevo come fare a portarlo via.
Allora due sgomberatori che stavano lì a fumare mi hanno detto "se ci dai 15 euro per pagarci il pranzo te lo portiamo noi".
Così feci. Ora l'attaccapanni è con me in negozio, gli sgomberatori stanno paranzando al bar, e questa vicenda mi sta facendo vedere in rosa tutta la giornata.
Per finire, durante la notte mi sono svegliata col solito incubo e ho acceso il pc per vedere una puntata di una serie tv a caso, ormai lo faccio spesso.
Ho guardato Ally McBeal, e ho pescato una puntata in cui ci sono Sting e Robert Downey Jr che cantano insieme Every Breath You Take.
In merito a quest'ultimo punto, volevo avvisare tutti di smetterla di dirmi che sono fatta di ghiaccio, perché non è vero.
martedì 16 marzo 2010
(...even though it's breaking...)
giovedì 11 marzo 2010
una mattina
mercoledì 24 febbraio 2010
movimento
In un mondo perfetto la Fiorentina vince lo scudetto una volta ogni tanto, il lavoro non arriva tutto in un giorno e poi si ferma per dieci mesi, i muratori non trapanano per sbaglio sul tubo del termosifone e la bolletta del gas non supera il costo di un mese di affitto.
Ma il mio mondo è imperfetto e a me piace pensare che ho la testa abbastanza dura per starci in mezzo a fare il bastian contrario.
Così sono fra i dodici che vanno al concerto dei Glorytellers, tifo per la mia squadra come se lo scudetto lo stesse per vincere davvero (ma solo la domenica, il lunedì già non mi interessa più); faccio le nottate per finire il lavoro che mi capita fra capo e collo tutto in un giorno, perché penso che se lo faccio molto bene poi si moltiplicherà come i pani e i pesci, basta avere pazienza; mi lavo i capelli nell'acquaio in cucina in attesa che il tubo del bagno sia riparato e metto tre maglioni per poter spegnere il riscaldamento.
Sia chiaro: questo non fa di me né un ottimista né un cuor contento.
Perché brontolo e brontolo comunque.
Ma penso che in qualche modo bisogna pure andare avanti, benché brontolando.
martedì 16 febbraio 2010
sottosopra
Mi stancano le mie chiacchiere.
Quando proprio mi obbligano a parlare di me, racconto delle cose selezionate e -spero sempre io- non troppo imbarazzanti. Come il sogno in cui mi avevano mozzato la testa e io me la ricucivo al collo con la spillatrice.
A me sembrava abbastanza splatter e mi aspettavo un commento severo e una serie di domande severe.
Invece mi hanno detto che è un segnale positivo.
Bah. Valli a capire i sogni.
martedì 2 febbraio 2010
cristallo
Uno pensa che una cucina bianca sia sufficiente, una cucina bianca e straordinariamente bella per essere solo una cucina.
Uno si immagina la cucina, la luce del mattino, che è tanta e morbida, il bollitore sul fornello, e prima pagina su Radio Tre.
E mentre uno si immagina questo si immagina anche di essere sereno, di essere giudizioso e mangiare frutta e verdura cinque volte al giorno, di sorridere agli sconosciuti, di credere nel futuro, di credere che ci sia un futuro per il quale valga la pena di svegliarsi alle sette del mattino per ascoltare prima pagina, ascoltare cosa succede nel mondo e chiedersi come si può fare a migliorarlo.
E io mi sforzo di amare quella cucina bianca, mi sforzo così tanto che lacrimo, e poi mi rendo conto che una parte di me la ama veramente, tanto da lacrimare, eppure sento lo stesso un'eco di vuoto, una voce che ripete sempre la stessa cosa, che ripete sempre quello stesso vuoto.
Io sarò felice col bollitore sul fornello e Radio Tre nella cucina bianca.
Eppure non è facile.
giovedì 21 gennaio 2010
sotto zero
Di solito quelli banali, con le trame prevedibili e i colpi di scena a effetto, che mi fanno addormentare senza rimpianto se non arrivo alla fine e non so come si conclude l'episodio.
Ma sono giorni di grandi riflessioni e di vaga malinconia e ieri sono riuscita a ritrovarmi un cuore stretto stretto nel vedere una puntata di Grey's Anatomy in cui la super dottoressa cazzuta che ha appena perso un bambino e vorrebbe andare a lavorare già dopo cinque minuti, viene costretta nella sua stanza e, dopo una serie di circostanze, scoppia a piangere in un modo del tutto incontrollato e grida "cosa mi succede? Datemi un sedativo!"
Grey's Anatomy piace a un sacco di gente che conosco, a me sembra un po' Beautiful solo con parecchio più sangue, cuori aperti, bisturi e qualche battuta arguta, eppure quando il dottore-fidanzato della super dottoressa cazzuta, grande e grosso e attraente arriva nella stanza di lei, non dice una parola e si stende sul lettino e l'abbraccia, ecco che mi si è rattrappito il battito e mi sono ritrovata con fazzolettino e lacrimuccia a dire "che meraviglia quel gesto" e poi immediatamente in "seh ma di che parlo, io quel gesto a mala pena lo conosco e adesso lo rifiuto come se fossi un cavo elettrico scoperto che può fulminare chi lo tocca".
Morale della favola: è più algida la biondina algida della dottoressa algida, perché ha algida anche l'immaginazione.
venerdì 15 gennaio 2010
la stanza bianca
Alle nove del mattino con addosso gli stivali di mia madre e un maglione di mio padre respiro calce e polvere e do una nuova vita ai libri, così schiacciati nei cartoni, alle tazze da tè, avvolte nelle pagine di vecchi giornali, alla poltrona, asfissiata sotto il cellophane.
Respiro anche io.
Respiro quel silenzio e quel bianco, e penso che ho proprio voglia di svegliarmi lì, di camminare in calzettoni sul legno chiaro, di farmi il tè di nuovo, col vecchio ma fedele bollitore verde, di accendere la radio.
Ho bisogno di spazio e di solitudine.
Inoltre ho bisogno che la gente la smetta di chiedermi, insinuare o alludere al fatto che in una casa nuova ci si va a vivere in due.
"Carina questa casa. Allora quando vi trasferite?"
"Vi?"
"Cambio casa, sto per trasferirmi in via tal dei tali"
"Ah bene! Ti sposi?"
" mm.. No."
"Vai a convivere?"
"..."
"Buongiorno, vorrei fare un cambio di residenza."
"Che c'è? Sei già stufa di vivere con la mamma?"
"No, è che sono troppo vecchia ormai. Sono così vecchia e rimbambita che non mi ricordo già più il momento in cui le ho dato il permesso di darmi del tu."
"Scusi..."
sabato 2 gennaio 2010
2010
Se n'è andato il 2009.
La notte di capodanno sono andata a dormire in un letto che non è mio, con venti coperte tutte diverse una dall'altra, dopo aver riso, essermi ubriacata, aver saltellato e poi anche aver consolato ed essere consolata a mia volta.
Poi, alle quattro e mezza del mattino, mi sono resa conto che non sarei tornata a casa mia.
Allora mi sono incamminata per la via del ritorno lacrimando un po', un po' tirando su col naso.
Questo post è dedicato alla casetta di San Frediano.
Nella casetta di San Frediano sono successe tantissime cose.
Mentre camminavo fra le pozzanghere mi sono saltate addosso tutte sparse come perline cadute alla rinfusa da una collana spezzata.
La sera prima di laurearmi, quando ho appoggiato sul letto i vestiti che mi sarei messa.
La prima volta che ho visto la luna entrare dentro la stanza.
La sera estiva che ho passato a mangiare ciliegie sul balcone col vino bianco e i grilli.
Quel momento pazzesco in cui ho quasi perso i sensi mentre facevo l'amore.
Il mio amico che passa con me una notte intera per soccorrermi se mi fossi svegliata e mi fosse venuto da piangere.
Un mese intero passato a vomitare ogni notte dal dolore.
i litri e litri di tè consumati mentre studiavo.
Tutte le bellissime cose che ho letto.
Tutti i film guardati per prendere sonno col pc fra le coperte.
Un anno di sveglie alle 5 del mattino per andare al master e la città pietrificata e silenziosa proprio sotto il mio portone.
Il rumore del fiume e le campane della chiesa durante la notte.
Molto altro ancora, che non si può raccontare.