Bruxelles era piena di neve, gelata e freddissima. Per strada si scivolava su pezzi sparsi di ghiaccio sul pavé dei marciapiedi e in albergo tenevamo il riscaldamento così alto che avremmo potuto coltivare orchidee.
Non l'ho vista, la città. Ho visto diversi cioccolatini, biscotti al burro, torte di vario genere e ho scoperto un autore eccezionale rovistando fra i libri di D. destinati alla piccola Celeste. Il suo Saisons è già nella mia lista di desideri per Natale.
Celeste è bellissima, e non ci sono parole per descrivere quello che ho provato a tenerla in braccio. Ci vorrebbero dei colori, o degli odori.
Come ha giustamente detto suo padre, la cosa più incredibile è che prima non c'era e adesso c'è.
Sono tornata a casa e ho fatto l'albero di Natale, una pentola di cous cous che basti per tutta la settimana, e una corsa a vedere l'ultimo film di Woody Allen.
Ho continuato a pensare alle cose che ci siamo detti e ancora di più a quelle che non ci siamo detti, intorno alla tavola tonda sempre ben rifornita di tè e di dolci della cucina dei miei amici. Piccole e grandi cose che si vedevano, galleggiavano nell'aria come bolle impazzite e scoppiavano lasciandoci a metà dei pensieri a condividere solo sguardi e cenni di comprensione.
Qui oggi c'era una specie di scirocco appiccicosissimo e 15 gradi, e io ero ancora vestita come a Bruxelles.
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