Dopo un paio di cene spericolate e un paio di notti a lavorare fitto fitto ho inaugurato la settimana dormendo.
Una dormita da competizione, di quelle con tutti i telefoni staccati, con l'orologio digitale sul comodino coperto da un maglione per non sapere mai che ora sia, e -cosa che non faccio mai- con le persiane e gli scuri perfettamente chiusi. Ho dormito una quantità di ore di cui adesso un pochino mi vergogno e sono sicura che erano almeno dieci mesi che non lo facevo. Forse di più.
Ho passato intere notti in bianco e ho dormito una media di due o tre ore per tutto l'anno scorso e per i primi due mesi di quest'anno.
E adesso dormire una mattinata intera mi sembra una cosa terribilmente trasgressiva, una sensazione paragonabile a quando a diciotto anni uscivo di nascosto di notte per andare a ballare e tornavo alle sei del mattino zitta zitta con i tacchi in mano sperando di non svegliare nessuno.
E non importa se, come era ovvio, durante quel sonno lunghissimo mi sono autopunita sognando, perché poi mi sono svegliata e intorno c'era silenzio e c'era la caffettiera azzurra già preparata sul fornello, e la casa faceva le facce e tutto il resto è rimasto così, in perfetta sospensione.
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