Un mucchio di palloncini vola via dalle mani di un bambino e corre in cielo, in un cielo d'ottobre limpido, che sembra dipinto. Un bambino è caduto e si è sbucciato. Un altro insegue la sua amica sotto lo scivolo, poi si stufa e dà un calcio al pallone. Io vado a vedere la mostra del Bronzino, evento cittadino dell'autunno, la trovo interessante, esco con parecchi pensieri e due cartoline che sono già sul frigo. Per le sale di Palazzo Strozzi c'era anche Paolo Poli, elegantissimo e molto bello, che andava avanti e indietro da una tela all'altra e si soffermava poco su ciascun quadro. In negozio il figlio del Capo mi racconta tutta una storia su una casetta con gli uccellini e mentre lo fa è tanto assorto che mi accarezza le dita della mano una per una, poi un po' le stringe e un po' le accarezza di nuovo, finché la mamma non lo chiama per andare e allora lui si interrompe e cambia discorso mentre si incammina fuori. E' un bambino tenero. Come tutti i bambini mentre ti racconta qualcosa segue un suo filo mentale misterioso che io trovo affascinante, potrei starlo a sentire per delle ore. Chissà, forse sono io che regredisco.
Tutto questo, più un pranzo in campagna a base di tortelli mugellani, succedeva negli scorsi tre giorni. Oggi no, oggi piove, di uscire non se ne parla allora metto un po' a posto in casa e sento tutti i possibili telegiornali che ci sono alla radio. Ho anche ballato un bel po' mentre lavavo i piatti e ascoltavo un disco, fra un telegiornale e l'altro.
Mi dicono che è questa la mia vita che la devo accettare così com'è perché è questa, punto e basta. E io ci credo, che devo fare. Desiderare le cose è impossibile, quindi mi tengo quelle che ho, che sono queste cose, questo bel giardino che mi porto dentro e la pioggia fuori e quei trenta secondi in cui mi è venuta voglia di correre dietro ai palloncini che fuggivano via e fare come il signor Fredricksen per vedere un po' dove andavo a finire.
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