martedì 22 giugno 2010

un anno fa

Ho ritrovato il quaderno dell’anno scorso.

Fa un certo effetto rileggere le pagine scritte nei momenti di pausa del master, quando cercavo di tenere gli occhi aperti e discutevo con i miei colleghi di come avevamo tradotto quella singola piccolissima parola che però cambiava il senso di un’intera frase, o di un intero mondo attaccato a una frase.

Mi sembra impossibile che sia già passato un anno intero dalla tesi, dall’estate fatta di ricerche di testi e di consigli, dalla tre giorni in Svizzera, quando già sapevo che stavo coltivando una bella illusione.

Adesso traduco, un po’, mi hanno appena pagato un paio di lavoretti giusti giusti per godermi qualche sfizio in più in vacanza, anche se in vacanza non so se e quando ci andrò.

La mia illusione è molto ben nascosta, oggi ne ho discusso in un modo anche troppo franco, tanto franco da impedirmi di pensare ad altro per il resto della giornata. Io ho sempre tradotto, ho sempre scritto quello che pensavo su pagine nascoste in libri di altri in modo che fosse impossibile anche per me ritrovarle, se non per sbaglio. Ho sempre amato le parole, soprattutto le parole altrui. Mi è sempre bastato sapere che coltivavo la mia passione con dedizione e pazienza, senza smettere mai di farlo, senza chiedermi perché o per chi.

Questa cosa non è cambiata, anche se la pazienza a volte vacilla. Ma sento un filo spezzato dentro di me: il momento in cui ho capito che non avrei sopportato altri rifiuti e altri capitomboli ha anche coinciso col momento in cui ho smesso di pensare che nella vita domani le cose potrebbero cambiare drasticamente e ricominciare da capo, come su un bel foglio bianco.

Un nuovo romanzo, una nuova estate da cominciare, tornare su passi abbandonati dieci anni fa, eppure essere in una nuova fase. Avere una nuova casa a cui tornare. Sarebbe questo il mio modo di voltare pagina.

Non sono convinta che mi basti.

Intanto leggo Elizabeth Strout e dormo sempre meno.

mercoledì 9 giugno 2010

madeleine


In questo periodo Firenze di sera è in un mistero di profumo di gelsomini nascosti in giardini dietro muri altissimi. Al di là dei muri si intravedono chiome di alberi, si intravedono luci accese e si sente questo profumo dappertutto, un misto fra erba tagliata e gelsomini.
Quando ero piccola e sentivo questo odore io pensavo alla felicità come a una cosa concreta.
Mi ricordo anche una volta che l'ho detto a voce alta a mia madre mentre stavo a letto a leggere e aspettavo, anche allora, il sonno.
Quel profumo era un preludio, l'inizio dell'estate, delle vacanze, quel profumo faceva intravedere il mare in lontananza.
Adesso quel profumo mi fa aprire il cuore in due e mi fa pensare alle ciliegie.
Non più all'estate, non più ai viaggi.
Alle ciliegie e alle pesche.

giovedì 3 giugno 2010

compendio

Come fu come non fu,

ogni tanto la vita mi sembra di nuovo una cosa con un capo e una coda.
Non è vero.
Mi sembra ancora tutto scombinatissimo.
Ma è così che sono fatta io, fatta per vedere come sono scombinate le cose assimilarle e provare a risputarle di nuovo dritte.
Mi fa male, mi fa bene, mi fa essere quella che sono.
Quella taciturna e disillusa, quella entusiasta di nascosto.
A me piace la vita.
Mi piace assaporare gli attimi e le cose minuscole; le cose che sento mi sembrano preziose, instabili e reali.
A me piace essere crudele con me stessa e dirmi quanto ho sbagliato e quanto sono stata stupida.
A me piace dire a me stessa delle cose estremamente scomode e cattive.
E poi mi piace pensare alle cose che ho fatto bene e dirmi in un orecchio che potevano essere fatte meglio.
A me piace non pentirmi.
E anche se mi sono pentita di alcune cose che ho fatto, mi piace dire a me stessa "smettila di compiangerti, ormai è fatta".
A me piacciono il buon cibo, il sesso, i libri, il mare e le scarpe.
Mi piacciono i miei capelli il mio naso e i miei piedi, credo che mi contraddistinguano.
Mi emoziono ogni settimana quando cambio i fiori sulla tavola.
Mi sento vulnerabile e allo stesso tempo ho capito di avere dentro la forza di una leonessa, perché l'ho vista coi miei occhi in azione. E' quella che mi permette di andare avanti anche quando il dolore mi spacca in due.
So che posso passare ventiquattro ore a piangere avvolta in una coperta di pile e anche ventiquattro ore a ballare o a studiare fino a che non mi si incrociano le righe davanti agli occhi.
A me importa delle altre persone.
Cerco di non fare al prossimo quello che non voglio sia fatto a me. Non auguro mai sventure a nessuno, nemmeno a chi mi fa soffrire, e non mi sono mai piaciuti i colpi sotto la cintura, nemmeno nei litigi più accesi. Ma non significa che non sia capace di giudicare quella che per me è una cattiva azione.
Sono imperfetta, mi contraddico in continuazione, ripeto spesso gli stessi sbagli, mi graffio la faccia e mi sono spaccata più di una volta i denti nel sonno.

La scorsa settimana mi hanno detto che ho un cuore nobile, e per questo e per un sacco di altri motivi questa settimana ho pianto molto.