martedì 27 dicembre 2011

Minuetto

Le nuove cuffie che ho attaccato all'i-phone sono bellissime e mi fanno sembrare più giovane. Anche i vestitini corti di lana mi fanno sembrare più giovane. È un bene perché invece il Natale mi invecchia, e ci arrivo sempre così stanca che quasi non mi appassiono abbastanza alle storie del Natale presente, passato e futuro. Ci sono, poi, le storie del Santo Stefano: quelle, fatte da quattro bellezze che si riuniscono fra le colline senesi e i cipressi, e sono le più vere e vive, e Natale non avrebbe quasi senso senza. Mentre penso a tutto quello che ancora posso aggiustare del 2011, mi preparo a ricominciare da capo la mia battaglia contro le incomprensioni, le parole che ci sono e quelle che mancano. Si vede che è il mio ruolo in questa danza, e l'unica cosa che si può fare è evitare di confondere i passi. Buon 2012.

giovedì 8 dicembre 2011

Sharing nights

Ho provato a rifare il trucco al blog, come fanno tutti in questi giorni, ma sono riuscita a cambiare pochissimo.
Al mio sfondo nero con pochi fronzoli, in realtà ci sono affezionata.
Scrivo poco qui, forse troppo poco, ma ho ricominciato a scrivere lunghe lettere a M. che archivio con l'etichetta "nights".
E' molto bello questo nuovo  scambio, io con le mie novità silenziose, le mie nuove notti in bianco, lei con le sue nuove notti in bianco. Sono notti intense, davvero come non me ne capitavano da tempo, fatte di odori nuovi e di emozioni sconosciute.
Era cominciata così:

Torno a casa, sono le cinque del mattino, per strada ci sono solo i camion che consegnano il latte, canto a squarciagola crown of love, perché è la settimana dell'ascolto compulsivo degli arcade fire e mi butto sul letto struggendomi... come una tredicenne.
E come una tredicenne che si rispetti, scrivo subito all'amica.

poi un paio di giorni dopo:

ci sono cose che
si scoprono solo
dopo una notte che comincia alle 10 e finisce alle 7 di mattina..

e poi:

...dalla finestra sul soffitto si vede la luna piena
chiudo gli occhi poi li riapro
la trapunta azzurra, tutta appallottolata
mi devo alzare, devo andare a casa
sono le due di notte [...]
che avrò fatto per meritarmi tanta bellezza?

Poi ci sono le riflessioni che mi fa tenerezza rileggere, perché sono naif, e magari proprio perché sono naif hanno un fondo di verità:

A volte mi viene da pensare al finale di Whatever Works di Woody Allen, quando la ragazzina lascia il fisico dicendo "le persone non sono tutte vermetti, credo solo che si stringano fra loro perché sono terrorizzate" e poi lui, il fisico ateo incallito che profetizza l'implosione dell'universo si mette insieme alla medium e dice "che vi devo dire, basta che funzioni".

La mia scrittura, il mio mondo, la lettura, i dischi, il negozio impazzito, il Natale che arriva.

Più di una volta in questi giorni mi sono chiesta "ma che sto combinando?" Poi rileggo le lettere che ho scritto, e poi le risposte, e penso che sono sulla mia strada. Forse è una strada notturna, ma è mia, l'ho preparata a lungo, e ora sembra sgombra da ostacoli e finalmente percorribile.

Sono su una strada che porta al mare, e sembra che funzioni.


venerdì 18 novembre 2011

lento

E così
le notti si sono ribaltate,
le sigarette sono sparite,
c'è un pacchetto intero, nuovo, ancora da aprire che mi guarda sul tavolo di cucina e sembra una cosa lontanissima, sembra una cosa che non c'è mai stata.
La finestra aperta sulle prime ore del giorno e una luna perfettamente divisa a metà.
Si sente odore di qualcosa che non sono io, fra le mura della casetta bianca. Sono le bucce dei mandarini, i gusci delle noci, i respiri di una notte che si scioglie mentre alla radio parlano piano piano del nuovo governo e mentre fuori qualcuno inizia a mettere in moto i motorini.
Ci sono sensazioni che pensavo di aver perduto e invece sono tutte lì. In realtà sono diverse, sono più belle, in qualche modo più reali, più consapevoli. Gambe e mani sembrano andare d'accordo per la prima volta dopo quella che sembra un'eternità.
E mi scopro fresca, neanche troppo strambita, a preparare il caffè alle sei del mattino, senza paura del giorno che avanza,
senza paura di me.

E senza fretta.

venerdì 4 novembre 2011

vagabondi

Una delle cose che più amo vedere, sono quelle persone che per strada camminano storte perché hanno gli occhi sul telefonino, e sorridono leggendo un messaggio.
Le due righe da parte della persona cara, o di qualcuno che sa strapparti una risata e basta, o quella bella sensazione di sorpresa di quando arriva un messaggio che non aspettavano e che fa piacere, tutto questo si materializza come un fumetto sulla testa di chi passeggia un po' ubriaco, incurante della cacca che potrebbe pestare o di urtare qualcuno e ogni volta mi fa pensare che la vita ci mette veramente un secondo, certe volte, a sembrare gentile.


domenica 23 ottobre 2011

papaveri e papere

Sabato sera, lavoro pazzo tutto il giorno, mi posso anche concedere cinque minuti di scemenza e canzonette.

La scemenza eccola: l'oroscopo di D di Repubblica che dice così

Tesoro, guarda verso Est quando arriva la notte. La grande stella luminosa che vedrai nel cielo è il mio dono. Guardala e lascia che la sua luce ti scenda tra i capelli, e penetri dolcemente nella mente. Ti rinfrescherà, darà gioia, porterà la buona sorte. Non essere scoraggiante, compostamente neoclassica, titubante. Lasciati invogliare. Non farti prendere dalla spossatezza dell'anima avvezza a portare pesi.
Concediti di essere inaudita. Nulla di te davanti agli dei fa pena. Non far sorgere disillusione, sii elegante e raffinata nel lasciarti andare alla fiducia. La grande stella Giove è la tua perla di luce. 

La canzonetta eccola: un pezzo dal disco nuovo di Dente che mi sta piacendo tanto e in motorino è praticamente perfetto

questo è quasi tutto
quasi tutto quello che ho scritto
alzandomi dal letto
inciampando nei tuoi fogli da disegno
in quella notte poco complicata
in quella notte senza vestiti
in quella notte dentro casa tua.. 
e adesso lo sai.


Questo, un complimento e una cena squisita, sono le caramelle della mia serata.


giovedì 13 ottobre 2011

in volo

Appena tornata, mi sono messa a riguardare Il Padrino, non so perché, forse perché avevo voglia di rivedere Marlon Brando, coi suoi movimenti lenti e i suoi occhi sconfinati. Ho bisogno di vastità, di movimento lento e di armonia. Sarà il freddino che arriva, saranno le cose che prendono pieghe buffe fuori da queste quattro mura, saranno le notti, passate a vedere film e leggere libri, sarà che fra poco salto su un aereo, e mi sento bene.
Mi sento così bene che di colpo sono tornati fuori come un fiume in piena tutti i sentimenti che volevo restassero giù, mi sveglio con dei sogni difficilissimi attaccati agli occhi e non riesco a liberarmene per ore, durante la mattina. Mi viene da cantare forte mentre vado in motorino, mi sento come un animale, chiuso in una stanza da qualche parte, che vuole uscire finalmente allo scoperto.
Sono sentimenti che mi fanno paura.
Il mio proverbiale autocontrollo viene minacciato da un abbraccio stretto, da una sensazione di calore dimenticata da secoli, dalla luce sottile che tremola fuori da un vetro, dall'odore di certi camini che piano piano cominciano a essere accesi facendo assomigliare l'aria della notte al fumo che esce dai baracchini delle caldarroste.
Marlon Brando, quindi.
Una lampada accesa, una valigia da preparare.

sabato 1 ottobre 2011

dancing on a friday night

E così è venerdì, e sto per andare a dormire.

Non trovo neanche le parole per riassumere questa settimana. Mi verrebbe da dire che è stato il solito manicomio, se non che non è stato il solito manicomio, perché non tutto era causato dai guai sul lavoro.
Certo, quelli sono una buona parte del caos, ma stavolta c'è qualcosa in più. Ci sono i guai piacevoli, ci sono cose divertenti. Per esempio essere svegliata da un'amica che ha preparato il caffè, per esempio sentirsi tutta lunga lunga - e non è facile dalla mia altezza - e proiettata verso l'alto, e poi leggere un libro che per una volta è solo una distrazione, solo la cosa che traghetta dal buttarsi a letto dopo una doccia calda al sonno. E altre cose interessanti e curiose.
Resta il fatto che dopo aver bevuto mezzo bicchiere di vino bianco a cena, dopo aver fatto una doccia bollente di 20 minuti, e dopo aver fatto un progetto o due in una specie di dormiveglia, sono tornata in cucina per bere e ho acceso la radio. e davano questa. Non ci ho pensato poi tanto e ho ballato.
I tempi in cui ballavo da sola al buio durante la notte, mi sembravano passati da un pezzo.
Ma penso che se una serata finisce ballando da sola al buio, è comunque una serata da ricordare.
Forse una settimana da ricordare.
Che Ottobre cominci.

martedì 20 settembre 2011

Cinque minuti di pausa


Il vento e la pioggia provenienti dall’Atlantico hanno dato un incentivo notevole al mio buon umore di questo periodo.
La felicità, questa parola inutile e vuota, per quanto mi riguarda è fatta dei momenti in cui non sono sicura di cosa stia succedendo, ma so di stare in mezzo alle cose. Per esempio oggi leggevo un racconto molto bello seduta su un gradino, in attesa di un appuntamento, e il vento fortissimo e fresco faceva a gara con il sole bollente e sembrava quasi di vederli, confrontarsi e arrotolarsi uno sull’altro senza che uno dei due prevalesse. Sono andata a dare una mano al lavoro nel mio giorno libero, perché sono arrivati due carichi di merce a distanza di due giorni e le mie colleghe stavano annegando negli scatoloni. Poi, a casa, con calma, mi sono tolta di dosso la polvere della giornata, i sandali e ho cucinato con calma una cena buona. Al telefono mio padre sembrava di buon umore, e domani ricomincio a fare yoga.
Questo è il mio stare in mezzo alle cose, per quanto minuscole e insignificanti.
Apprezzare la vita non è facile, è un lavoro a tempo pieno e io non lo so fare sempre, ma è una cosa che mi piace tentare. Il più delle volte fallisco; l’impresa viene complicata da un insieme di fattori: la preoccupazione per il Paese che si sfascia, la stanchezza perenne, le poche ore di sonno, i lavori che si accavallano e il dolore al collo.
Nelle giornate come oggi, in cui riesco a godere di ogni attimo compresi quelli insignificanti, mi perdono per tutte le volte che cedo allo sconforto. 

martedì 13 settembre 2011

rette parallele


Il fatto buffo è che quando – raramente- vado alla mega fiera di prodotti per la casa con una delle mie cape, mi ritrovo a pensare che non è affatto semplice gestire tutto quel carnevale, saper scegliere le cose giuste da comprare (che non sono quelle che piacciono a te ma quelle che potrai vendere), che le capacità per comprare e vendere non sono affatto una cosa scontata, anzi sono sofisticati equilibri da saper mantenere, e vale tanto per noi che ci muoviamo in un negozio relativamente piccino quanto per quelli che hanno le filiali e le succursali e vale a maggior ragione per i rappresentanti, che le cose le devono rendere appetibili per noi venditori, e quindi devono essere scaltri due volte. Insomma mi trovo a pensare che nel suo piccolo e nel suo essere spietato e spesso anche volgare, anche il commercio è un’arte, nel senso che c’è una parte di quel lavoro che sembra meccanico che veramente si basa su una capacità un po’ innata o meglio, un po’ istintiva. L’altro pensiero che faccio è che quella capacità io un pochino ce l’ho, e questa cosa mi fa abbastanza paura. Dove l’ho presa? Come è possibile che viva questi due mondi così separati – uno fatto di letterature, traduzioni, articoli e saggi, mostre, cinema e studio e l’altro in cui (come dice mio padre) faccio la bottegaia? È una cosa un po’ misteriosa.
Certo, se una considerazione la posso fare, è che per stare in un mondo fatto prevalentemente di solitudine e ragionamento come quello della traduzione senza diventare una stramboide una come me ha anche bisogno di avere un bilanciamento. Ci vuole un po’ di palestra umana: sporcarsi un po’ le mani con l’Italia che “produce e lavora” dà un senso di grande concretezza e realtà ed è bene.
Ed è anche bene passeggiare per Milano pensando che bella città che è, anche se va così di corsa, fermarsi in un negozio e innamorarsi del commesso, chiacchierare con la mia capa dividendo la camera dell’albergo come in vacanza con le amiche, leggere un romanzetto sulla metropolitana fino a Rho e poi cenare in un ristorante giapponese buonissimo e tornare in albergo a piedi sbirciando vetrine illuminate e pensando all’estate che lentamente si consuma.
Nel mio cuore io sono una traduttrice e basta, nel mondo reale viaggio su due binari paralleli, e non è poi così sbagliato.

lunedì 5 settembre 2011

moonlight

Ogni anno, quando arriva settembre, scrivo su queste pagine che settembre è il mese più bello del mondo, che la luce di settembre è cristallo e mette a nudo le cose, ma più di tutto mette a nudo me, la mia malinconia e la mia voglia di partire per qualche posto lontano. Ogni anno settembre comincia con il compleanno di mio padre e sono anni, ormai, che gli regalo un animale in miniatura. Un gallo, un porcello, un gatto, un gorilla. Nessuno dei due si ricorda più quando è cominciata questa cosa o perché, ma ancora ci sembra divertente.
Quest'anno il compleanno di mio padre si festeggia in ritardo, perché i miei sono partiti per un viaggio, per festeggiare. Ma settembre è arrivato di nuovo ed è di nuovo meraviglioso, con la sua luce piena di verità e la sua malinconia.
Molti anni fa, così tanti che sembra un'altra vita, proprio in questo periodo presi un treno. Non avevo valigia, solo una giacca di pelle verde, una borsa con dentro uno spazzolino da denti e un pigiama, e una bottiglia di vino. Andavo in cerca dell'amore, sapevo dove trovarlo, in un viaggio che durava solo due giorni. E oltre all'amore trovai molte altre cose.
In questo settembre caldissimo mi è capitato di sognare quel viaggio, la notte stellata in una città del sud,  una corsa in macchina, una ragazzina con le palpitazioni. Il ricordo è tornato a galla così, affiorato da chissà dove e chissà come mai, dopo tanto tempo che non ci pensavo più.
Questa sera ho ricevuto tante foto della mia nipote, che adesso si solleva aggrappandosi al divano e ha tre denti sopra e due sotto. Sorride tantissimo ed è bellissima.
L'estate finisce, io ascolto Paolo Conte e fra un lavoro e l'altro giocherello con la macchina fotografica nuova. La gatta strilla per la nostalgia.
Il prossimo viaggio con le palpitazioni, lo voglio fare verso nord.

venerdì 29 luglio 2011

La prima volta


La nuova libreria del mio quartiere è frequentatissima. Non ci speravo, quando hanno aperto, mi immaginavo la popolazione media del quartiere dove abito e proprio non ce la vedevo a ciondolare in libreria e a scegliere il romanzetto.
Invece quando passo c'è sempre qualcuno e dentro c'è fresco e penombra, e nessuno ti corre dietro, non squilla ogni cinque minuti il telefono, non c'è musica accesa.

La commessa mi chiama ormai per nome, non perché mi conosca particolarmente bene, ma perché ha fatto il corso preparto con la moglie del mio cugino, e anche perché sono la più piccola fra tutti i miei parenti che frequentano la libreria.
Oggi, timidamente, mentre ritiravo un libro arrivato fortunosamente in questi giorni, mi ha guardata e ha chiesto "scusa se te lo chiedo, ma tu che mestiere fai?"

Domanda faticosissima per me.
Ho smesso da un po' di dire che faccio la commessa (lo riservo solo a quelli con cui voglio veramente tagliare corto) perché altro che commessa, qui ormai ho una gestione di lavoro fra ordini, fatture, vendite on line, contabilità e tutto il resto che sembro un'imprenditrice d'assalto più che una biondina cortese che accosta i colori dei fiori creativamente.
Ora dico che lavoro per un'azienda fiorentina, cosa che sminuisce un po' meno la quantità di cose che faccio dalla mattina alla sera nel magico mondo delle candele.
Oggi, dopo aver passato tutta la notte a bestemmiare su quanto è arrugginito il mio francese e su quanto (quanto, quanto, davvero!) vorrei parlare tedesco, ho alzato il capino e ho detto "faccio la traduttrice".

La mia prima volta.

domenica 24 luglio 2011

q.b.


Adoro queste giornate calde calde e con il vento forte: sembra di essere al mare, quando non puoi nemmeno leggere perché le folate ti scompigliano le pagine del libro e ti mandano i capelli davanti agli occhi. Qualcosa che c’è in quest’aria che corre ribelle di qua e di là mi rende allegra: tutto mi sembra a portata di mano, tutto mi sembra seguire questa specie di onda. Anche l’edera che cresce a tutto spiano senza decidere che direzione prendere, anche imbastire un panino alle tre del mattino mentre finisco una traduzione e nel frattempo sento un disco dei Flaming Lips. Anche i miei vicini misteriosi che non protestano mai per la musica alta. Non mi avevano detto che a vivere nei condomini si sperimentano tutti quei quotidiani nervosismi che rendono le persone insofferenti verso la minima sciocchezza? Io i condomini non li vedo mai e nemmeno li sento, a parte la famiglia indiana del pian terreno che si mette per strada a bere e chiacchierare e mangiare roba che profuma di spezie piccanti.

La felicità, o qualsiasi cosa a cui mi piaccia attribuire questo nome, è una cosa fragile: un’alchimia strana e perfettamente incomprensibile fatta di clima mite, tè freddo molto dolce, mattine in cui si può dormire, e poi mattine in cui ti svegli all’alba per fare cento cose, lavori interessanti, lavori stancanti, persone che ti danno notizie sensazionali, serate in cui ti metti i sandali e fai 40 minuti di macchina per andare a una festa dove si balla fino a tardi, e serate in cui stai a casa a piedi scalzi a cucinare una torta mentre ascolti la radio. Un grammo in più di questo o un grammo in meno di quello e tutto può precipitare, scombinarsi e andare all’aria. Quando gli ingredienti si mescolano bene e le cose stanno in equilibrio, bisogna fermarsi, assaporare quel momento, cercare di memorizzarlo, perché se c’è una cosa che ho imparato, se ho una certezza a questo mondo, è che prima o poi la crema impazzirà di nuovo e l’alchimia si guasterà in qualche modo imprevedibile che mi farà sentire ancora sbilanciata da una parte e mi farà stare lì a gambe incrociate sul letto a pensare “che c’è che non va?”.

Quando succede, poi, mi sforzo senza successo di aggiustare quel grammo in più o in meno di quel qualcosa, che proprio non so che sia, ma le ricette sono così, se vengono bene si capisce dall’inizio, correggerle a cose fatte è quasi impossibile.

martedì 5 luglio 2011

Cream tea


Certo, il viaggio per Oxford porta via lo stesso tempo che cambiare continente, ma quanto me la ricorderò questa trasferta? I progetti, il freddo, il tè, gli Arcade Fire, il sonno nel pullman di ritorno da Londra, le parole.

Una vacanza vera, fatta di parole e musica, quel palco immenso al centro di Hyde Park, il tizio che mi fruga la borsa all'entrata, trova le fragole e me ne chiede una, le italiane, nella folla di locali, che a metà giornata tirano fuori il panino con la frittata, in mezzo all’invidia generale. Il sole tiepido nel parco, mentre per cinque giorni avevo sofferto un freddo che nemmeno io sospettavo di poter soffrire in piena estate, i bicchieri di birra che volano sopra le teste della gente annaffiandoti senza però infastidire troppo, in fondo è vacanza, è un concerto, sto ballando da due ore, sotto i miei piedi c’è un prato e sopra la mia testa cielo limpido e venticello fresco, e dei palloncini che ogni tanto si solllevano.

Sorellanza.

Tornare la sera da un’esperienza assurda al ballo di fine anno di un’università, dove tutti sono in lungo e cravatta bianca, e tu pensi che ti senti felice con la tua giacca di pelle e pantaloni neri, sei felice anche quando ti senti totalmente fuori posto, perché c’è con te una persona che ami e non ti importa del cretinetto ventenne tutto impomatato che ti fa il filo sfottendoti un po’, tanto sei lì con la tua macchina fotografica e la tua isola di pensieri, nelle orecchie hai ancora wake up e quel coro lungo lungo della gente al concerto e poi i giardini del college sono incredibili da come sono belli, così rubi un rametto di lavanda e lo infili nella tasca, per ricordartene, poi, il prossimo autunno quando la ritirerai fuori.

Poco dopo, in un locale del quartiere carino, semi deserto e con le luci basse, parli sottovoce con in mano un bicchiere di vino bianco e ti senti nuda e compresa, ti viene fuori anche un tremore, anche una lacrima, ma serve a capire che ci sono cose che non si allontanano per quanto siano lontane, che ci sono persone che sono sempre come le vorresti, ci sono comunicazioni che non falliscono, che gli anni non appannano.

Torni a casa con una valigia piena di libri, con un vestito blu come la notte, con in testa una specie di geometria, come un sonetto che finalmente trova la rima giusta. Spalanchi le finestre e dai un po’ d’acqua alle piantine e dopo tanto tempo, trovi la voglia di mettere un disco e sdraiarti sul divano, mentre fuori la campana della chiesa segna le ore e il ghiaccio tintinna nel bicchiere.

domenica 26 giugno 2011

partenza


E' un'estate vera, caldissimo fuori e fresco fra le mura spesse della casa.
Cammino a piedi scalzi e leggo, metto da parte questo e quello per partire, l'edera cala come una liana sul banco della cucina, le bibite sono in frigo.
Fra un caffè e un cruciverba faccio finta di essere in vacanza, perché per sette giorni, veramente, non dovrò fare niente, niente lavoro, niente impegni, niente. Solo il cinguettio degli uccellini e il rumore di piatti dagli appartamenti vicini.
Parto.
Metto in valigia un impermeabile e un ombrello, i sandali e gli scarponi, un maglione di lana e tante magliette.
Lascio il consueto e mi tuffo in quattro giorni da biondina di cinque anni fa.

martedì 31 maggio 2011

zona franca

Dopo una giornata di riflessioni e sonno, di spesa al supermercato e code, di notizie elettorali rincuoranti (non è che mi voglia entusiasmare, ma ho avuto, dopo molto tempo, la sensazione di poter fare un gran respiro libero, e ho detto "finalmente" quasi senza crederci nemmeno io), di lavoro e parole gentili per tutti, entro in profumeria, un po' perché mi servivano delle cose, un po' per l'aria condizionata, un po' per provare qua e là qualche profumo nuovo.
La commessa è in gamba ed è sola, c'è solo un'altra cliente, sicuramente abituale, che - si capisce - è lì per fare un po' di chiacchiere e infatti mi fa passare avanti. Chiedo quello che mi serve e nella lunga discussione che intraprendo con la commessa su una certa crema l'altra signora si intromette gentilmente e, quasi dal nulla, inizia a piangermi su una spalla perché si vergogna a scoprirsi le braccia che non sono più toniche come un tempo. Provo a dire qualcosa di gentile, e lei sembra rincuorarsi un po', ma resto comunque perplessa: è una signora di mezza età, molto bella, con abiti, trucco e capelli perfetti. Ed è gentile, ma si percepisce qualcosa nelle sue parole, come se avesse bisogno di stendere una rete sotto di sé prima di cadere.

Torno a casa e sistemo un mazzo di peonie nel vaso bianco.
Mi piace tanto, perché è pieno di verde e i fiori sono pochi e non troppo grandi. Fanno capolino con un colore indescrivibile fra il fucsia e il viola che all'apparenza sembra scuro e, invece, dà luce a tutta la stanza.

Riprendo fiato e riapro le mie bozze, la correzione è quasi conclusa.
E' vero, nemmeno per me sono giorni tanto facili. Ma c'è molta bellezza intorno a me, e forse non mi importa di vedere la mia, ammesso che ci sia o che ci sia stata.
Mi ignoro, e mi concentro sul resto.

Penso di aver steso la mia rete di salvataggio molto tempo fa, quasi senza accorgermene.
Per ora tiene.

giovedì 26 maggio 2011

per strada


... e accompagnami a raccogliere i petardi che non sono esplosi.

venerdì 20 maggio 2011

night and day


Ed ecco il venerdì sera di chi lavora il sabato: la lavastoviglie che emette quel gemito che fa sempre prima di partire (proprio a me una lavastoviglie sentimentale? O fanno tutte così?), io che emetto il sospiro che faccio sempre da quando ho una lavastoviglie (potrò mai ringraziare abbastanza l'essere umano che l'ha inventata?), il solito - appena arrivato, dopo la consegna dell'ultimo due giorni fa - pacco di bozze davanti a me, una tazza che fuma alla mia destra e un disco basso basso nello stereo.
La variante sono le finestre, finalmente spalancate. E la palla rimbalzina che luccica e mi aiuta la concentrazione.
Ma c'è qualcosa di nuovo, oltre alle finestre aperte. Sono abituata agli odori di cucina per le scale, ci sono sempre stati dal giorno in cui mi sono trasferita e, del resto, succede in tutti i condomini, ma stasera l'odore che mi colpisce le narici è molto più forte, molto speziato, e si sente anche della musica. E proviene dalla strada. Che sarà?
Mi affaccio e scopro che i vicini, complice la serata mite, si sono messi in mezzo alla strada con le seggioline da campeggio, uno stereo e delle pietanze profumatissime.
Non c'è proprio niente che glielo impedisca, in fondo la strada è una via cieca, quasi non passano macchine, perché rintanarsi in quattro mura?
Mi è sembrata la cosa più bella che ho visto in questa città dai tempi in cui osservavo la mia vicina in San Frediano che faceva uscire il gatto calandolo dalla finestra in un cestino.
Cose da esseri umani.
Nel frattempo c'è stata una trasferta a Torino per il salone del libro, una bellissima serata a giocare con le carte del crimine ai tavoli di un locale sull'acqua, il museo del cinema dentro la Mole, e una notte in cui ho dormito 5 (CINQUE!) ore tutte di fila.

Ma quando sono tornata Firenze era ancora qui, piena di innamorati che si baciavano negli angoli e di zanzare, come sempre a primavera, e quindi sono ritornata nella routine della lavastoviglie la sera e delle beghe in negozio. Per esempio domani lavoro la mattina e poi dalle 20 alle 1 di notte, per festeggiare Maria Ausiliatrice. Tutta la strada in cui lavoro sarà chiusa per la festa della parrocchia, e ci sarà una band a suonare, non so bene dove ma credo sulle scale della chiesa, che oggi faceva le prove.
Bryan Adams e Bon Jovi, con in mezzo Vasco Rossi, naturalmente.
Chissà che cosa ci dobbiamo aspettare per la gran serata di domani.

A parte ogni altra considerazione, è maggio, e sono fioriti i gelsomini.

domenica 24 aprile 2011

terre straniere

Finite le incombenze della giornata, archiviate le lenzuola da stendere, i piatti da lavare, il vento che ha scompaginato i fogli, i tulipani viola sopra la tavola; ora la tazza di tisana fuma sopra il comodino, metto un filmetto nel pc, ma ancora non so quale, mi accendo l’ultima sigaretta della giornata.

Dormire è complicato perché mi faccio brutti scherzi. La scorsa notte, per esempio, passeggiavo in una città che amo dove non vado da un po’, e che mi manca tanto. Molte strade buie e molte pozzanghere in giro.

Stereo Notte ha cominciato le trasmissioni con Iron and Wine e poi ha proseguito con Jeff Buckley. A me tutto appare significativo: anche la pioggia nell’unico giorno libero del mese, anche il libro con la costola consumata che si apre a una pagina precisa, e anche questo saltellio sulle corde della mia colonna sonora sentimentale che fa mancare per un istante la gravità nella stanza. Lo annoto mentalmente e poi dico fra me che è solo un’altra cosa da archiviare, e che tanto non importa. Me lo dico così spesso che ho sviluppato una specie di callo, una pelle durissima che si chiama proprio “tanto-non-importa” e che fa la stessa resistenza del mio vecchio giubbotto di pelle quando tanti anni fa feci quel volo in motorino. Il giubbotto distrutto, io nemmeno un graffio.

A me non importa, e quindi mi importa.

Il passato non è lì invano, fa parte del presente. Mi è capitato di ripensarci anche ragionando su cose che non c’entrano (si fa per dire) con me. Tipo le ri-traduzioni di Fitzgerald (cado sempre su questo, lo so). Ora, è vero che ce n’era bisogno, è vero che nella traduzione della Pivano c’erano delle cose da ripensare, come accade a tutte le traduzioni che hanno più di venti-trent’anni. Ma è anche vero che così è entrato nel mio orecchio Fitzgerald, prima che lo leggessi in originale. Forse mi fa meno effetto pensando a The Great Gatsby, ma se penso a Tender is The Night un po’ mi si stringe il cuore a pensare che si possa cambiare quell’inizio largo come un occhio che si apre sulla dolcezza e sui colori tenui e forti della riviera francese. Nostalgica? Non lo so. Non credo, perché poi le nuove traduzioni le leggo e le apprezzo. Non mi pare che si tratti di nostalgia, ma piuttosto di pilastri, di cose a cui siamo un po’ appesi: senza essercene resi conto certe immagini sono lì, come una canzone di dieci anni fa che ti fa pensare a un luogo o a una persona. Le canzoni, poi, si possono ricantare e anche bene, che c’entra.

Ecco, i miei sono pensieri tira e molla.

Mi importa ma non mi importa, mi piace ma non mi piace, è giusto ma anche un po’ sbagliato.

Quando fuori la luce si fa chiara, e il giorno fa capolino, di solito io prendo sonno. Dormo un paio d’ore, a volte tre, poi inizio a rallentatore le attività della mattinata. Adesso è ancora troppo presto. La schiena mi scricchiola, il collo pure, c’è un lavoro che aspetta da troppi giorni di essere finito. Questa settimana è stata tremenda. Lo dico così, per inciso, perché a un certo punto lo devo pur dire, senza sentirmi in colpa perché mi lamento. Io non mi voglio lamentare. Ma quando una settimana è tremenda, c’è poco da fare, l’unica cosa da fare è aspettare che finisca, magari consolandosi con un bel mazzo di fiori sul tavolo, con una pizza e due chiacchiere un po’ più distese, magari anche solo sognando la luce rosa e oro della riviera francese, e i tetti di una dozzina di vecchie ville (che) marcivano come ninfee in mezzo ai pini ammassati tra l’Hôtel des Étrangers di Gausse e Cannes, cinque miglia più in là.

martedì 5 aprile 2011

di cosa parliamo quando il giorno finisce (frammenti)

Oggi ho ascoltato quasi ossessivamente In Ear Park dei Department of Eagles, e nel frattempo mi sono tagliata i capelli e ho finito di leggere un giorno questo dolore ti sarà utile. Adesso mangio pane e marmellata, dopo che ho risolto diciotto problemi diversi al lavoro e fatto tre composizioni. Prima di questo ho ritirato una nuova revisione che mi ha assegnato la casa editrice e dopo questo sono andata a bere un bicchiere di vino in Sant'Ambrogio, ho fatto chiacchiere, sono andata in motorino e ho sentito in radiocronaca gli ultimi 10 minuti di Inter Schalke. Ora sono un po' stanchina, ma il nuovo taglio di capelli dà soddisfazione e le mani mi tirano un po' di meno grazie al consueto chilo di crema all'olio d'oliva.

-E tu? Di cosa parli quando parli d'amore?
-Di niente.
-Cioè?
-Non mi va di rispondere.
-Suona un po' come un "fatti i fatti tuoi".
-Infatti.

A quanto pare non sono l'unica che non può più vedere la televisione, a parte i novanta minuti della partita di calcio la domenica. Non sopporto che ogni minuto della mia vita sia scandito da quel che ha fatto il Premier minuto per minuto. È talmente compenetrato con ogni azione, decisione e respiro di questo Paese benedetto dal clima e maledetto da tante altre cose, che di fatto mi sembra di nuotare costantemente nella melma. Non è politica, non c'è ragionamento. È solo una questione di pelle. Lascio tutti i ragionamenti seri e dotti sull'ultimo ventennio del mio Paese a quelli che hanno ancora fiato. Non per noncuranza, sia chiaro. Per sfinimento. Continuerò a fare la brava cittadina, andrò a votare leggerò tutti i giornali, prometto di non diventare indifferente. Ma per favore. Basta farcelo vedere anche mentre si soffia il naso.

-Non ti capisco. Davvero, non capisco. L'amore è dappertutto no? Lo dicono anche le canzonette. Deve essere anche in te.
-Certo che c'è. Solo che non ne voglio parlare.
-Ma di cosa, esattamente, non vuoi parlare?
Stai cercando di fregarmi. Se ti dico di cosa si tratta, alla fine ne parlo.
-Astuta.
-Grazie.

Se hai la fortuna di tradurre abbastanza a lungo, poi ti trovi a tradurre qualunque cosa ti capiti a tiro. Sguardi, gesti, abbigliamento, intensità di una carezza, accoglienza di un abbraccio, tormenti nascosti in un sopracciglio che si alza. Un po' come i doppiatori, che poi sono bravissimi a leggere il labiale della gente anche quando sono al ristorante. Un giorno penso che si tratti di una eccezionale risorsa, il giorno dopo di una grossa sfiga. Inutile fasciarsi la testa. Ognuno ha i superpoteri che ha.

-La verità è che quando parlo d'amore penso a quelli che in qualche modo ce l'hanno fatta, ma l'immagine che mi si materializza veramente davanti agli occhi è quella di due persone che scrivono il nome sui loro libri per riconoscerli quando si separeranno.
-È un po' amaro.
-Oh per favore.
-Ti sembro ridicolo?
-No ma mi sembri scontato. E non ho tempo per i commenti scontati.
-Cosa vuoi fare ora?
-Voglio ascoltare un disco di bossa nova.


domenica 27 marzo 2011

paesaggio con fiore di ciliegio

Ogni volta che sento nell'aria la primavera che sta arrivando e riesco a togliermi uno strato di maglioni mi viene in mente la canzoncina di Chaplin in Luci della ribalta (spring is here... whales are churning... worms are squirming... wagging their tails for loooove).

Lui sogna e nel sogno si mangia un fiore -prima ci mette sopra il sale- poi canta le lodi della primavera, e poi arriva la ballerina tutta impolverata.

La mia primavera è cominciata oggi, con un pranzo buonissimo e un sole deciso che ha permesso una bella passeggiata nei prati fra le chiacchiere; poi la cernita di vecchi libri (tengo/butto/ lo prendo io/ lo prendi tu); e poi il tè e un regalo bellissimo: dei rami di ciliegio pieni di piccole gemme che diventeranno fiori trasportati a costo della vita in motorino, protetti dal parabrezza e dal cappotto, fino a qui dove, finalmente, hanno trovato posto nel vaso di cristallo grande dove di solito non entra mai niente, perché è troppo grande, appunto.

La morale è che alla fine di questa giornata mi trovo nella mia casetta bianca circondata di vecchi libri con copertine curiose e fiori che mi appaiono tanto perfetti nella loro semplicità che mi sembra un po’ di stare in un haiku.

Resto con negli occhi il giallo e il verde dell'erba nuova, l'azzurro della collina e l'ombra della cupola del Duomo, il rosa e il giallo del pesco e della forsizia, le margheritine e i cani scodinzolanti, e poi tutti i quadri e le opere d'arte di una casa che è familiare e in cui però c'è sempre qualcosa di nuovo da scoprire sulle pareti e ovunque ci si giri.

Nel frattempo

ho comprato le scarpe da ginnastica da supergiovane e ho finito Paesaggio con incendio di Aloia che mi è piaciuto. E' pieno di dettagli piccoli e precisi e in alcuni momenti mi ha scatenato riflessioni fuori dai binari che tracciava: suppongo che abbia colpito qualche corda viva e ben tesa dentro la mia testa e naturalmente è buon segno. Poi ci sono stati anche i regali di compleanno-in-ritardo delle mie amiche. Ho montato il meraviglioso teatrino di Luzzati e l'ho messo sul cassettone, e ho sfoggiato la collana magnifica (che avrei voluto disegnare io, da quanto è perfetta per me) nel bel mezzo della città che si risvegliava dai torpori invernali.

Insomma, bene. Tre giorni di piccoli successi.


domenica 13 marzo 2011

cristallo

un mese che corre,
un sabato sera che sta per finire e questa cosa che mi ha preso allo stomaco, stasera.
Non so come si chiama, ma la so riconoscere, questa malinconia che si presenta in un modo doloroso, anche fisicamente. Mi fa contorcere un po' e mi fa desiderare di essere andata a dormire prima, per impedirle di farsi viva.

Le parole si diradano e i pensieri si affollano.

Non pensavo che potesse succedere quando un po' di ore fa tornavo a casa con un pacchetto bellissimo pieno di cose per Celeste, dopo aver passato due ore nel negozio a sceglierle. Anzi ero contenta, immaginandola con quegli occhioni e quel sorrisetto in una tarda primavera nord europea e pensando ai colori che le stanno meglio e alle cose nuove che scoprirà.

Faccio in modo di non pensare al fatto che avrei tanta voglia di vederla, e faccio in modo di non pensare a me.
Una bella prova.

Indugio sull'ultima tazza di tisana per ricordarmi quanto amo essere felice per il fotogramma di un film, per una canzone ascoltata nel cuore della notte, per la cassetta della posta quando è piena delle mie riviste.

Metto insieme tutte le cose belle che conosco per scongiurare una notte insonne, perché so che la bellezza è in tutti questi dettagli, non in me che perdo tempo ad analizzare i perché e i però.

Mi proietto su quello che c'è di bello fuori, metto su un altro disco.


giovedì 3 marzo 2011

la neve a marzo


Marzo.

La traduzione finita, limata e limata, alla ricerca di eleganza e sveltezza, cercando di non trascurare i significati e non facendo mai - guai - trapelare quanto le idee dell'autore siano distanti dalle mie. Sono abbastanza soddisfatta e, naturalmente, mi rimane il famoso lutto da elaborare per tutto quello che, purtroppo e inevitabilmente, da una lingua all'altra si è perduto.
Così stasera sono uscita, dopo due mesi che nemmeno ci provavo, facendo a botte col mio sonno e con la ritrosia che mi contraddistingue ultimamente.

Le amiche e gli amici, ognuno col sorriso migliore, ognuno con un dolore personale, ognuno felice, a modo suo, di essere lì in quel momento. Guardavo tutti in faccia e mi dicevo che mi sa che è questo quello che ci rende speciali. Non siamo persone che si srotolano al primo colpo di vento, ma siamo felici di vivere un attimo, anche quando la settimana o il mese è stato difficile. Questa è una cosa che vedo sempre meglio e che riesco ad apprezzare in ogni sua sfaccettatura, ogni volta che la colgo.
Perché la cosa che vorresti fare in realtà è buttare delle braccia al collo e non parlare nemmeno, ma c'è l'autocontrollo che c'è, e poi c'è anche tutta questa gente intorno. Va bene così.
Credo.
Perché poi ci sono quei momenti in cui no, non è così.
Tipo quando ti tamponano alle tre di sabato pomeriggio e ti prendi una paura boia, e impugni il telefono con l'impulso di fare dei numeri. E non li fai.
Oppure quando tua madre, con lo stesso tono di quando ti spiegava che gli spinaci sono brutti ma fanno bene, ti dice una cosa un po' allarmante. Ti rassicura e tu le credi, ma te lo ha detto con la faccia della hostess che sorride durante una turbolenza e non hai voglia di fidarti troppo.

In casa è fiorito il mughetto, fuori si muore di freddo, piove e -Povera Patria- la primavera intanto, tarda ad arrivare.

martedì 15 febbraio 2011

strati

Stasera ho lavorato poco, ero piena di distrazioni.

Oggi volevo fare tante cose, poi invece la giornata se n'è andata senza darmi il tempo di finire tutto.
Oggi ho fatto la spesa, ho cucinato una cena buona, ho letto, ho lavorato quel poco che ho lavorato, poi ho pulito la cucina e adesso mi sono messa a vedere un filmetto.
Stasera mi manca Venezia, per motivi che sono misteriosi anche per me.
Stasera mi mancano tante cose, ma non so come nominarle.
Quando le cose sono state seppellite meticolosamente, dalle coperte di pile, dal mascara, dalla sabbia delle estati, da scarpe consumate e scarpe nuove, da chili di carta -soprattutto da chili di carta - e da musica sempre diversa, poi non sai più come si chiamano. Ne riconosci, magari, l'odore, o il colore, riconosci quella malinconia che le avvolge di dolcezza e di amaro, ma più di amaro, ma non sai se le vuoi ritrovare davvero, e non sei capace di dar loro un nome.

Stasera mi mancano le parole, e forse è per questo che ho lavorato troppo poco.

mercoledì 9 febbraio 2011

L'ansietta

Dopo un alterco avuto per strada con una donna mostruosa frutto della società mostruosa in cui stiamo vivendo, mi sono sentita umiliata e triste, soprattutto all'idea di essermi abbassata a discutere.
E ho capito una cosa chiaramente: il mio grande disagio, il più grande, passa, certo, dal teatrino della politica, dal menefreghismo delle persone, dall'incuria, dalla superficialità generale, e dalla generale ingiustizia, ma prima di tutti questi pensieri che hanno un capo e una coda, l'ansia mi viene dal fatto che mi sembra costantemente di vivere in un carnevale.
Un carnevale dei più grotteschi: quello della cartapesta di Viareggio non certo quello sofisticato delle maschere veneziane, facce gonfie e distorte, parole sputate, scherzi di pessimo gusto.
Un incubo a occhi aperti.
Un orrore.

martedì 8 febbraio 2011

doors


Sento un profumo, addosso e intorno, un profumo che riconosco.
E' il detersivo per i panni, è la crema per le mani, è l'odore della carta.
Mi piace.
Sento un fremito, addosso e intorno, un fremito che riconosco e che mi intimorisce e mi attrae allo stesso tempo.
Non lo so se mi piace ma ho deciso di coltivarlo per un po'.
Sono giorni che, anche se dormo veramente pochissimo, faccio sogni strani e mi sveglio col desiderio di trascriverli, di farmeli apparire come pensieri razionali.
Perché io ho bisogno, quasi sempre, di razionalizzare.
Invece poi ho deciso - forse me lo sto dicendo adesso, mentre lo scrivo- che no: non posso mettere nero su bianco anche quelli.
Ho pensato: sarà il caso di lasciare che qualcosa nella mia vita non sia spiegabile con virgolette aperte e poi chiuse, o con sottolineature in grassetto? Sarà il caso di lasciare che la mia pancia abbia le sue reazioni senza sentirmi in dovere di prenderla a bacchettate per farla rimanere ferma e buona seduta nel suo banchino?
Così forse quando mi dicono "ok, adesso stai razionalizzando, ma i tuoi sentimenti quali sono?" avrò anche io qualcosa da dichiarare.
Di solito mi guardo intorno come se "i sentimenti" di cui si parla fossero delle persone entrate nella stanza dopo di me per sbaglio, perché non mi sono chiusa bene la porta alle spalle.
Invece credo che proverò a mettermi in ascolto.
Ascolterò questo profumo che mi piace, e speriamo che abbia davvero qualcosa da dire.

lunedì 31 gennaio 2011

adesso


Passo le notti a tradurre, ultimamente, oppure a correggere traduzioni altrui ed è veramente, e sempre, la cosa che mi fa sentire più in pace con me stessa ad ogni attimo. Ultimamente, ero alla ricerca di non so che concetto che sapevo di aver già trovato, e mi sono persa in mezzo ad altre parole, a varie scartoffie. Come molti traduttori ho da sempre l'abitudine di annotare le cose a matita sul testo originale, (lo facevo già con le versioni a scuola) e questa cosa mi permette di ripercorrere fasi di un percorso di comprensione o incomprensione che mi dà molta sicurezza. C'è di tutto in quella scrittura piccola piccola: domande, definizioni copiate dal dizionario, disegnini, e commenti di tutti i generi. Non so dove mai riuscirò ad arrivare con questa professione che amo, ma so che disseminati sulle pagine di tutti i miei lavori ci sono tutti i dubbi che mi hanno accompagnato, e anche tutto il divertimento, e anche certe piccole ferite, e certe vicende private che solo io posso distinguere fra le righe. Nonostante tutto vivo con l'idea che mi piacerà sempre, chissà, fra vent'anni, ritrovare tutto questo.
Gennaio ha corso, ed è stato un mese di cose belle. Notizie inaspettate, foto di Celeste che ride, regali di compleanno bellissimi fra cui questo, la correzione delle poesie di Margaret Atwood e adesso la traduzione.
A tutti quelli che mi dicono che potrei desiderare tanto di più rispondo che non è vero, non è detto, che le cose possono sempre essere migliori, ma che se restano in questa media io mi sento già bene.
Credere al futuro non è mai stato il mio forte, ma a credere al presente sono parecchio allenata, e non intendo rinunciarci.

mercoledì 12 gennaio 2011

stagioni


Così ho compiuto gli anni. Ho ricevuto in regalo una foto della mia nonna e del mio nonno a una festa da ballo, tutti eleganti e sorridenti, lei in poltrona, lui appoggiato al bracciolo con l'inseparabile sigaretta fra le dita, lei con lo sguardo pulito, che ha avuto sempre, lui con quello sguardo ironico, che ha avuto sempre e che persino io mi ricordo, anche se l'ho conosciuto poco. Sembrano personaggi di un romanzo del secolo scorso, uno di quelli in cui la gente beve tanto e fuma tanto, ma non perde mai la flemma, anche se magari si stanno spezzando dei cuori o rivoluzionando delle vite fra un giro di danza e un bicchiere. L'ho messa sul cassettone, insieme alla foto di Celeste e a quella dell'Elba, cioè, dell'Eucalipto dell'Elba (che è un luogo già di per sé, un incrocio della mia vita) e mi intenerisco tutte le volte che la guardo.
Il giorno del mio compleanno mi hanno dato un lavoro bello, e improvvisamente mi sono sentita giovane e ho pensato che in fondo posso anche superare l'inventario, anche quest'anno. E poi oggi ho tenuto in braccio Federico per una decina di minuti e ci siamo fatti le facce, poi lui mi ha rigurgitato il latte sulla sciarpa e io mi sono messa a ridere e ho pensato "che tipo buffo che sei, e come sei morbido". Alle otto stasera non avevo ancora cominciato a fare i conti e a pulire, i brillantini delle piante dorate ce li avevo dappertutto, i fogli degli ordini non erano ancora archiviati e il computer si rifiutava di spegnersi.
Ho fatto un respiro e mi sono messa cinque minuti sulla porta a fumare una sigaretta nel freddino della sera, con le luci abbassate e il bandone a metà.
In quei cinque minuti ho annusato l'aria, e mi è sembrato di sentire un odorino di stagione che cambiava.
So che non è ancora ora, che il freddo durerà ancora e le giornate non si allungheranno che fra un bel po'.
Eppure c'era qualcosa nell'aria.
"Che stia succedendo qualcosa?" Mi sono chiesta.

Non ho saputo rispondere, ma il computer, quando sono rientrata, si era misteriosamente - e per motivi che solo lui sa - spento.

domenica 2 gennaio 2011

propositi


E’ il primo dell’anno, anzi no, il 2.
Mi sono addormentata alle dieci e mezza davanti a un filmetto e poi mi sono svegliata alle undici. Ho deciso che avevo voglia di leggere e mi sono resa conto solo adesso di che ore sono. Non è così strano per me, ma stasera mi fa impressione, essere qui ferma col plaid addosso a cercare la parola giusta.
Quella della parola giusta è un’ossessione di chi traduce e forse (ma chissà se viene prima l’uovo o la gallina) anche un modo di vedere le cose e di vedersi. Il sentire che hai sulla punta della lingua quell’unico aggettivo che descriverebbe perfettamente quell’istante, quel preciso, irripetibile stato d’animo o il senso profondo che ha la frase che vorresti riprodurre.
Immagino – lo immagino solo, perché non mi azzardo a provare davvero – che sia un’esperienza simile a quella di chi scrive e credo che sia per questo che mi faccio rapire da chi è capace di accuratezza e di equilibrio nel raccontare una storia. E intanto penso alle tante volte in cui quello che ho detto non è stato chiaro quanto volevo o magari è stato troppo duro o troppo debole.
Vorrei correggere questa ineguatezza, nel 2011, almeno un pochino. Quell’impressione che le cose appartengano solo a te soltanto perché non sei stato capace di descriverle nel modo migliore. Quella piccola frustrazione nel pensare che quel che provi ti resta dentro senza sfogo, per mancanza di verbi. E vorrei anche provare più spesso quel senso di ebbrezza di quando la parola giusta ti affiora sulle labbra o esce dalla punta della matita quasi naturalmente, senza sforzo, perché era lì, chiara e semplice e pronta a farsi raccogliere