domenica 25 maggio 2014

Lucky

Strappato alla campagna, lo spiazzo su cui si trova l'edificio è circondato dal traffico della rotatoria. Intorno spighe, sterpi, erba alta, papaveri come macchie di colore lanciate da un pittore pazzo, piscialletto e margherite più delicati e nascosti fra il ghiaino che costeggia il marciapiede e l'asfalto su cui sfrecciano le macchine. La siepe che delimita l'edificio è piena zeppa di api che si affannano su e giù: non si notano a un primo sguardo, ma in pausa caffè, mentre cercavo un raggio di sole per scaldarmi la schiena, mi sono avvicinata e subito tirata indietro. 
Le api sono attratte dall'odore del polline, e io da quello della carta: ogni mattina quando entro in quel magazzino e sono un po' in anticipo mi fermo un attimo a respirare: carrelli che vengono portati su e giù, scaffalature alte e mucchi di libri dappertutto, e quel profumo: di infanzia, di passeggiate in libreria con il mio babbo, ferma su uno sgabello a sfogliare qualche libro illustrato mentre lui sceglie questo o quell'autore e concorda l'arrivo di questo o quel volume con il commesso. 

So che è molto più prosaico il lavoro che poi c'è dietro tutti questi libri: so che ci sono corse pazze dietro alle scadenze, mucchi di fogli da riciclare, post it da tutte le parti, arrabbiature e piccole soddisfazioni. So anche che è buffo e nella mia testa lo vivo ogni giorno: il contrasto fra tutto quell'etereo e tutta quella poesia e poi il duro lavoro che c'è dietro, fatto di tante altre cose e simile a tutti gli altri lavori. 
Ma a me sembra lo stesso un lavoro magnifico, una specie di Paese dei Balocchi, oppure, ancora meglio, il buco del Bianconiglio, dove tutto è allo stesso tempo misterioso e affascinante ma crea anche qualche piccola inquietudine. 

Mi sforzo di essere brava e di fare il mio dovere e prima o poi forse sarò capace. 
Per ora, ogni mattina cerco di imparare tutto in cinque minuti e di far sì che il tempo non mi sfugga dalle mani, ma ogni tanto mi fermo e mi sorprendo a chiudere gli occhi un istante e  mi viene da dire "ragazzi, che fortuna".

[Dedicato a S. con tutta la gratitudine del mondo per tutta la sua pazienza e per avermi portata per mano nella tana del Bianconiglio.]

lunedì 7 aprile 2014

cristallo

"Ascolta le canzoni, diceva lui. Ascolta. Le canzoni che ho scelto io". E io, ubbidiente, ho ascoltato. "Ora le puoi mescolare come vuoi e ascoltare quando vuoi. Mescola bene, mescola ancora. Mescolati lo stomaco, poi girati e fammi vedere." E io mi giravo e mostravo. Eccomi, con tutto lo stomaco sottosopra. 
Ma non so perché l'ho fatto. Io non ero mai stata ubbidiente.

Cammino in Via de' Bardi in mezzo all'odore di mordente dei falegnami e dei restauratori, in mezzo al freddo perché ho creduto che fosse primavera e non mi sono vestita a sufficienza, con in testa una traduzione e una preoccupazione.
Lo stomaco forse l'ho rimesso a posto. Ma ci ho messo anni, e non sono più stata uguale.

Non sono mai più stata uguale.

"Sanguini", mi diceva, "sanguini e stai sporcando tutto il tappeto. è un bel tappeto e la macchia non se ne andrà più via."

Raggiungo il Lungarno e scopro che sono ancora mortificata per quella macchia. Ci penso e mi vergogno. Cammino a passi pesanti guardando l'acqua grigia, la riga dei palazzi di là dal fiume, i miei stivali consumati e penso a quel tappeto. Avrei tanto voluto rimediare.
Ho sempre voluto rimediare a tutto. Ma ero ferita e non mi sono uscite le parole.

Però poi ci ripenso. Scommetto che non serve più.
Scommetto che la macchia si è sbiadita piano piano e che adesso è scomparsa del tutto.

lunedì 24 febbraio 2014

lunedì

Rientro faticosamente a casa dopo aver passato il fine settimana a chiacchierare, vedere partite e festival di Sanremo, lavare piatti, rilavare piatti, cercare di sentirsi utili.
Rientro in casa ed è tardi, mi accoglie il mio profumo di colonia e polvere di caffè, qualche volta di panni stesi, metto sul fuoco il bollitore, mangio un biscotto. Riapro il lavoro quasi finito, spulcio Repubblica, ascolto due o tre canzoni, e mi ripiego sulle mie virgole e i miei punti.

Ieri ho incontrato al supermercato un vecchio amico che non lavora, ed è contento. Parte, poi torna, lavora tre mesi poi smette, e sembra contento. Non so se c'è o ci fa, ma mi sembra sincero. Mi chiedo come si fa, io se non faccio tre lavori insieme mi sento persa e inutile, e poi mi coglie il pianto. Mi coglie di sorpresa senza preavviso, perché ho ritrovato una fotografia o perché ho rivisto il finale di un film d'amore. Mi coglie quando sono inattiva e mi fa impazzire
di rabbia, e allora inattiva non ci resto, a costo di svenire per strada, perché sono andata di corsa a lavorare senza aver fatto colazione.

Quindi ecco la mia medicina, correre, fare, poi fermarmi per tirare il fiato, poi ricominciare.
Pazienza per tutto quello che non c'è.
Pazienza per le storie che non posso raccontare o per le lampade che devo scegliere da sola. Me lo ricordo com'era fare le cose con la voglia di condividerle, e semplicemente non lo voglio fare più. Non mi voglio ritrovare con altre foto che mi facciano imboscate o con altra musica che mi paralizzi.

La fortezza rialza il ponte levatoio e chiude il portone.

mercoledì 22 gennaio 2014

cristallo

Il primo raggio di luce primaverile dell'anno lo raccolgo sola, in un luogo desolato, seduta su una giostrina da bambini in attesa che sia l'ora giusta per mettermi in moto.
Faccio l'inventario del mio futuro mentre mi accorgo che un sole pallido e qualche uccellino ardimentoso hanno fatto capolino a metà della giornata umida.

Il primo mese di questo anno complicato è già alla fine e io non so bene che pensare.
Va tutto di corsa, ho trentasei anni, faccio ancora delle cose che facevo a ventisei e tante altre invece non le faccio più ma non so se sia proprio un bene. Forse sì.
Il sonno mi sfugge e i sogni sono complicati e lunghi.

Per ora ho messo via questo attimo di pace solitaria, senza foto, senza musica e questa illusione di primavera in arrivo.