mercoledì 28 luglio 2010

cristallo

Alba.

decine e decine di post sono iniziati così, e se non sono iniziati così avrebbero dovuto, è all'alba che penso alle cose più microscopiche e a quel che veramente significa tutto quello che mi circonda. Ed è all'alba che mi guardo intorno, che provo paura per il silenzio, che gli edifici sembrano animati, che le persone compaiono senza che io le abbia invitate, che le parole tornano a risuonare e che assumono significati completamente diversi, che la letteratura esce dalle pagine e che provo nostalgia per una me stessa che non c'è. Oggi all'alba ho parlato con Dick Diver, sorseggiavamo qualcosa di ghiacciato e ho chiesto come si fa dopo essere stati a tante feste e aver partecipato a tante brillanti discussioni a starsene inscatolati in una città di provincia, facendo meccanicamente ma impeccabilmente il proprio mestiere, ma lui ha masticato un cubetto di ghiaccio senza rispondere. Dick passa di rado e parla poco, un giorno voglio sapere da che dipende quella smorfia che ha sul viso, che sospetto sia una specie di ruga d'espressione dovuta all'aver sorriso molto sia per genuina contentezza che per ipocrita educazione, e poi smesso.

Chiama il lavoro sono le dieci del mattino. Io sono ancora in mutande e devo uscire fra venti minuti per andare a prendere le nuove bozze da correggere, ma non dico così, penso fra me di dire che ho il caffè sul fuoco, anche se non ho nessun motivo per mentire e mentre penso questo penso immediatamente che non mi inventerò proprio nulla, ché non ce n'è bisogno, e poi non è che non mi vada di parlare, solo che prima di una certa ora la voce non mi esce come dovrebbe, è più bassa e mi fa sembrare un po' scema e allora parlo poco volentieri. Nel frattempo entra una cliente, così la conversazione finisce velocemente e io metto su il caffè per davvero.

intanto guardo l'acqua della doccia/cascata che picchia per terra e smuove i fiori di gomma antiscivolo e medito su che mettermi oggi. Eccomi, sono paolino paperino: jeans e canottiera bianca oppure jeans e canottiera nera? Arduo dilemma. Le scarpe no. Le scarpe colorate. Suona di nuovo il telefono, esce il caffè e quella sensazione di essere sola scompare di colpo. Non sono sola, c'è un mondo che corre tutto intorno a me, che non si cura dell'estate e delle vacanze, che in vacanza non ci va, che non ha bisogno di maremaremaremare come me che penso sempre di starmene nuda sotto una palma a fissare le nuvole e a nutrirmi di noci di cocco, (ci penso sempre, estate e inverno, non solo adesso) oppure tutta questa gente ne ha bisogno quanto me ma non ci pensa, non lo dice, non lo sa. Caffè, orologio, sono le undici meno un quarto e non ho ancora fatto la doccia, come è possibile? Come si fa a dilatare così tanto il tempo senza accorgersene? La pila di libri ammucchiata sul tavolo mi guarda e chiede che faccia qualcosa. Ecco come passano altri dieci minuti fra caffè e progetti di letture. Il bambino della casa accanto lancia un grido acutissimo, è l'ora della poppata. Ripenso alle parole di ieri, quelle che mi vergogno di ripetere. Mi vergogno di ripeterle anche a me stessa, che razza di cacasotto che sono. Come ho fatto a dirle a voce alta ieri? Come, come... Entro sotto la doccia con dietro un disco di Noah and the Whale.

San Frediano ore 12. Recupero le bozze, faccio due chiacchiere con le ragazze, parliamo di vacanze naturalmente. Mi manca questo quartiere, mi mancano le strade scassate, i crocchi di gente di tutti i colori che chiacchierano negli angoli, il mio baretto e mi manca tantissimo la cartoleria. C'è una cartoleria favolosa proprio vicino alla piazza che vende ogni genere di cosa che scriva o che colori e ogni genere di carta da quella da disegno a quella per i pacchi regalo. Tutto profuma lì dentro, e non c'è niente che non comprerei. Anche oggi cedo alla mia fissazione per le penne verdi. Prima o poi dovrò sottoporla a un medico, questa mania. Torno indietro verso le strade ordinate del mio nuovo quartiere, ascolto la radio con le cuffiette, c'è il telegiornale, butto distrattamente un occhio alle vetrine mentre sono ferma ai semafori. ancora dieci minuti di traffico e sarò arrivata.

Non è difficile provaci: uno due tre apnea. uno due tre... a me piace calcolare quanto tempo riesco a restare senza respirare. Mi è sempre piaciuto fin da piccola, quando chiesi in regalo un orologio col cronografo ai miei genitori pensavo a questo: che potevo calcolare... La penombra in casa è come un pergolato fresco sotto cui sostare e rinfrescarsi. Nella penombra tiro fuori acqua fresca, insalata e affetto dei pomodori. Ci sono delle cose da lavare,
la piantina di salvia resiste, il basilico è morto. Troppo amore. Troppa cura a questa pianta così delicata, troppa acqua non troppo poca, troppi tentativi di esposizione a una luce migliore, troppo di tutto. Una pianta profumatissima e delicata, troppo amore, così si può solo soffocare. E così mi torna in mente il sogno che facevo prima dell'alba, stanotte. Prima che arrivasse Dick Diver. Sognavo che ero in una specie di albergo e che bisognava organizzare i posti in cui avremmo dormito, sognavo che il mio amico e la sua fidanzata incinta dormivano in un letto piccolo piccolo tutti e tre e io da sola stavo in un letto grandissimo. E non dormivo. Loro sì, io no. Che cosa insensata, mi dicevo anche in sogno, che cosa insensata. Eppure non stanno male, mi dicevo, io soffocherei. Io soffocherei... poi mi è mancato il respiro e mi sono svegliata. E ho trovato Dick Diver.

Dice l'agiografia di Leonardo da Vinci -eh se la prendo larga- che lui abbia detto "chi è solo è tutto suo, chi divide la vita con un compagno è suo solo a metà". Poi dice anche che la passione per la natura gli è venuta osservandola, e a osservare la natura gli aveva insegnato un suo zio perdigiorno che compare nell'estratto familiare fra le bocche da sfamare con la seguente descrizione "sta in villa e non fa nulla".
Ora Leonardo era un genio ed è diventato un genio, fra le altre cose, aprendo in due le lucertole da piccolo. Cosa che abbiamo fatto tutti senza diventare geni, ma magari un po' osservatori sì.
Stanotte ci pensavo, a quante osservazioni ho messo insieme, a quanto sono dettagliate e fedelmente annotate e trascritte con la penna verde e analizzate.

Annotatrice di fatti inutili e calligrafa in verde.
Se fossero dei mestieri mi sa che sarei ricca.

giovedì 22 luglio 2010

risate a denti stretti


Oggi ore 9.30 sono arrivata in negozio con colazione già fatta -quasi un miracolo- un sonno spaventoso e un caldo già decisamente superiore alla soglia di sopportazione. La mia, intendo, che come è noto resiste impavida a 38 gradi girandosi di là. Però l'aver già fatto colazione aiutava, in fondo è la parte più bella della giornata, la colazione, sempre e comunque.
Accendo il computer.
Schermata nera.
Un ragionamento di dieci minuti, poi una scritta.
Chiamo il tecnico.
"il computer non si accende, compare una schermata nera e dice questo e quello"
"oddio"
"come oddio?"
"è la cosa peggiore che ti potesse succedere."
"cioè?"
"Cioè il tuo computer ha appena detto che è morto e ti prega di seppellirlo"

Ora, per fortuna non si trattava del mio computer, però un po' di effetto me lo fa lo stesso. Siccome io in negozio praticamente ci vivo, dentro ci sono tutte le mie ore lavorative, tutte le mie foto scaricate in un angolino, un paio di traduzioni e due tesine. Ah, e la mia tesi di laurea.

"vengo domani" dice il tecnico "che qui sono tutti in ferie e io ho lavoro fino alle nove di stasera."
"domani? Ma io..."
"guarda, non mi posso commuovere, ti giuro che dico la verità.

Ma la verità è che nel 2010 lavorare una giornata intera senza computer è veramente impossibile.
Tutti gli ordini per i clienti in attesa: saltati;
l'ordine che dovevo fare alla ditta danese: saltato;
l'inventario del Natale 2009 che dovevo consultare per compilare l'ordine per la ditta danese: irraggiungibile: quindi l'ordine per la ditta danese non si può fare neanche a mano;
la stampa delle bolle per la merce in partenza: saltata;
la conferma dei pagamenti della merce acquistata on line: saltata.

E di sicuro mi sto scordando qualche cosa.
Comunque è stata una giornata estenuante. Le cose da non poter fare si moltiplicavano, le persone da chiamare, con cui scusarsi, con cui litigare, con cui fingere, sembravano infinite.
Ho iniziato a navigare on line col telefonino, pur di non sentirmi dire per la ventesima volta
"c'è un problema? Mi mandi una mail a questo indirizzo"
"io non posso usare internet è QUESTO il problema!"
La capa, giunta in negozio per cercare di arginare le falle, a un certo punto mi ha guardata e ha cominciato a ridere.
Ho cominciato a ridere anche io.

Siamo a un passo dall'isteria, tutti.


N.B. Un grazie alla B. che nel momento di massima crisi è arrivata con due bibite fresche. Gli amici, nel momento del bisogno, a volte neanche li devi cercare.

sabato 17 luglio 2010

pietre

In queste giornate bollenti uno pensa alle cose più varie e diverse, e si immedesima nei sassi, nei fiori, nelle pietre degli edifici, e tutti i pensieri evaporano come bollicine senza lasciare altro addosso se non una specie di residuo di futilità e fatalismo.
Così, pensa che ti ripensa, sono caduta dal motorino. Non era colpa mia, era colpa del signore che non mi ha vista, complice la ridicola macchina enorme, fatto sta che dovunque uno si trovi non essere vista non fa mai granché piacere, e soprattutto non fa piacere appoggiare un piede nudo sull'asfalto zozzo e rovente in cerca del sandalo perduto nell'urto.

Altra cosa che lascia un po' interdetti è l'amica dell'amico che ti dice che si è appena laureata nel tuo stesso dipartimento e ti chiede consigli per il futuro.
"Futuro?" dico io, e immediatamente penso ai giorni in cui al futuro ci pensavo come a una cosa diversa dal presente, son stati pochi, lo confesso, ma insomma la parte della tipa che ci è già passata e che dovrebbe dare delle speranze alla fanciulla già di per sé speranzosa non mi si addice tanto, tanto che ho spudoratamente mentito sulle cose belle che ti capitano quando ti sei scelta come compagna di vita la letteratura e la lingua di un altro, e ho giurato che è una cosa meravigliosa e che non ti abbandona mai. Quest'ultima non era propriamente una bugia (va bene, neanche la prima è propriamente una bugia), d'altra parte mi capita anche di pensare di avere accanto, più che un compagno fedele e amoroso, un marito bisbetico che ti sgrida se non hai cucinato la cena, ma questa è solo una sensazione degli ultimi tre giorni di stanchezza e insonnia, non so se la sottoscriverei domattina, anzi, quasi sicuramente no.

Mentre io penso agli ordini in sospeso del magico mondo delle candele, alle clienti e a bere 4 litri di acqua minerale al giorno, la mia amica M. scrive delle cose belle, e le scrive proprio bene. Forse avrei dovuto far leggere questo, all'amica dell'amico in cerca di speranze per il futuro.


lunedì 5 luglio 2010

un'ultima domanda

Alla domanda "cos'è che la rende felice" la candidata abbassa il capo, arrossisce, poi non sa rispondere, poi balbetta: "certe luci del giorno, e certe canzoni".
Aggiunge, arrossendo ancora di più e trattenendo una lacrimuccia di vergogna "cose minuscole".
Questo lo fa sorridere e lo porta alla seconda domanda.
"Ma perché si vergogna delle cose che la rendono felice?"
Nessuno lo sa e non se ne esce.
La candidata cerca elegantemente di cambiare discorso, torna a casa e, dopo un po' di ore, quando la calura lo permette, apre una bottiglia di vino bianco a lungo serbata in frigo per dare un senso a momenti come questo.