Ha piovuto tutto il giorno, i panni stesi non sono ancora asciugati.
Mi sono svegliata alle sei del mattino per un'ultima trasferta a Pisa.
Cielo plumbeo e la stazione non è più a cinque minuti a piedi come quando abitavo nella casetta di San Frediano.
La mia casa stamattina era raccolta in un risveglio silenzioso e ordinato.
C'era la camicia croccante stirata, c'era la luce acciaio e bianco, l'odore di legno e sapone e la caffettiera già pronta.
La mattinata è stata vorticosa e piena di facce amiche, complimenti e salamelecchi.
Un videomessaggio di congratulazioni dell'autore che abbiamo tradotto, il volume pubblicato, una pergamena con un nastrino rosso, strette di mano, una meravigliosa chiesa sconsacrata dove le parole volavano nella penombra e si sentivano appena.
In treno, l'unico treno sopravvissuto a uno sciopero di cui non sapevo niente, mi sono asciugata le ossa e ho ripreso i sensi dopo tutto il freddo che ho sofferto, e guardando fuori dal finestrino ho dato un bell'arrivederci al mio ultimo sogno nel cassetto.
E' stato quasi indolore, una cosa a cui sono abituata ormai, non mi pesa più come qualche tempo fa, non mi fa nemmeno più la rabbia che mi faceva prima. E' solo scivolato via col resto del paesaggio grigio, rotolando sui binari.
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