domenica 23 dicembre 2007

Santo Natale

La prima cliente di oggi entra con passo marziale e chiede il prezzo di un albero di Natale.
-Come lo vuole?
-finto.
(rapido sguardo fra me e la mia collega che significa "si comincia malissimo")
-d'accordo, ma che altezza?
-Quello.
-Viene xx.
-Voi siete matte! Vi siete montate la testa, voi commercianti, ma che vi credete, ormai è Natale, me lo deve fare a metà prezzo!
-Noooo... (sorriso di compatimento)
-Come?
-No signora, non possiamo proprio.
-Mi chiami la titolare!
-Non occorre, basto io a dirle che non si può farle il prezzo che chiede (o pensa che abbia bisogno di una balia? Sembro giovane e carina? Sbagliato, sono vecchia e malvagia. Non sa quanto sono malvagia. In questo momento mi trattengo dallo sfoderare un ghigno malefico da cartone animato e dirle "sa signora che la sua sciarpa e basta costa il doppio dell'albero che chiede?" Sa che i miei nervi sono particolarmente tesi e che sono le dieci del mattino e ancora non ho preso il primo caffè?)
-Chiami la titolare e mi faccia l'ultimo prezzo!

Mi volto a rallentatore e faccio cenno alla mia collega di chiamare lei.
La signora riesce a strappare un considerevole sconto di venti euro.
Non le basta.
-Me ne faccia trenta
-No.
-Sì
-No.
-Ma insomma...
-Signora, che mestiere faccio io?
-...
-Vendo alberi di Natale finti.
-Appunto!
-Secondo lei se non li vendo a Natale quando dovrei venderli?
-Ma...
(sorriso.)
-Ma..!
(Se ne vada o la caccio.)
-Ma io li ho visti ai Gigli meno cari!
-A parte il fatto che dubito che siano della stessa qualità, se si trova meglio ai Gigli faccia pure.

E qui scatta il tocco di classe finale.
La signora si divincola dal mio sguardo da hostess sorridente durante una turbolenza.
-Ci penserò. Mando mio marito.
(Forse il marito è un seduttore di gran classe. Forse noi stupide ragazzine saremo così intimidite dall'autorevole personalità del virilissimo marito da scioglierci, o smarrirci e regalargli l'albero aiutandolo anche a caricarlo nel portabagagli.
Provo la stessa sensazione che proverei a vedere un bambino delle elementari che piange e dice "lo dico alla maestra!")

-Ottimo, l'aspettiamo.

In questi giorni di festa -si fa per dire festa, credo che in nessun periodo dell'anno la gente riesca ad essere così acida, sgarbata e frettolosa- mi torna sempre in mente questa canzoncina. La canticchio in motorino mentre congelo, penso alla neve, contemplo le mie dita arrossate, e sogno dodici ore al giorno di svernare come i ghiri sotto al piumone, con una scorta di nocciole.


C'è la luna sui tetti e c'e' la notte per strada le ragazze ritornano in tram
ci scometto che nevica tra due giorni è natale ci scometto dal freddo che fa.

E da dietro la porta sento uno che sale ma si ferma due piani più giù
è un peccato davvero ma io già lo sapevo che comunque non potevi esser tu.
E tu scrivimi scrivimi se ti viene la voglia e raccontami quello che fai
Se cammini nel mattino se ti addormenti di sera e se dormi che dormi e che sogni che fai
E tu scrivimi scrivimi per il bene che conti per i conti che non tornano mai
se ti scappa un sorriso e ti si ferma sul viso quell'allegra tristezza che c'hai
Qui la gente va veloce ed il tempo corre piano come un treno dentro una galleria
tra due giorni è Natale e non va bene e non va male
Buonanotte torna presto e così sia.

Francesco De Gregori, Natale

martedì 18 dicembre 2007

Evil Look

lo so che lo avranno già visto tutti ma a me lui mi ha fatto stare di buon umore tutto il giorno.
E in questi giorni non è facile.

giovedì 13 dicembre 2007

le ore

Ore frenetiche e ore lente.

Nelle ore frenetiche faccio tre pacchetti insieme, mentre do il resto a una signora e spiego a un'altra le proprietà meravigliose della terracotta antigelo. Faccio la linguaccia ai bambini fuori che spengono apposta le candele accese sulla soglia del negozio (costringendomi a fare la spola avanti e indietro per riaccenderle) e butto un occhio che non ci siano nuovi ordini su internet. Nel frattempo degli ispettori dell'INPS terrorizzano i negozianti costringendo tutti a riempire un registro ogni sera con dati sulle ore di presenza, assenza, e varie serie di numeri di cui ignoro la funzione. Si tratta del registro numero tre, che va ad aggiungersi ai due in cui, all'ora di chiusura, vanno regolati, scontrini, ricevute di bancomat e carte di credito.
Infine conto banconote e monete, e sperando che i conti tornino vado a casa a godermi le ore lente.

Nelle ore lente bevo tè bollente da boccali di birra (per la capienza, così vado direttamente a pinte).
E faccio la conta dei miei sogni nel cassetto.

Sia in negozio che fuori ho a che fare coi grandi numeri.

lunedì 10 dicembre 2007

amaro (nota da un venerdì)

Aveva pianto.
Come era potuto succedere?

Ancora si chiedeva come succedano queste cose. Una parola che sembra una parola qualunque, un gesticolare preciso, un dito puntato sopra il tavolo come a puntualizzare le sillabe una per una. E un clic. Come sentirlo dentro, come aver girato un interruttore. Come se l’occhio di bue si fosse improvvisamente acceso sulla sua testa lasciandola sola sul palco senza nessun monologo da recitare.

Clic.

Ci aveva riprovato, poi, da sola. Si era ripetuta quelle parole mentre faceva altre cose, mentre sistemava oggetti sugli scaffali, distratta, al lavoro. Voleva riavere quel pianto solo per sé, perché fosse davvero liberatorio, invece nulla, nemmeno la pioggia fuori e i piedi freddi avevano aiutato.

Nella stanza bianca, concentrata a torcersi le mani e a fissare le tende tirate davanti a lei era stato tutto automatico. Ma già mentre attraversava l’enorme atrio e scendeva le scale riagganciandosi il giubbotto e infilandosi i guanti, tutto era tornato normale, composto, in ordine. Aveva inghiottito il groppo che aveva in gola e respirato a fondo prima di uscire dal portone. Aveva risistemato le cose in borsa con la solita cura e aveva dato il passo a una signora con le stampelle prima di attraversare il marciapiede e la strada.

Non era più capace, adesso di tirare fuori tutto quel nero.
Tutto era di nuovo in ordine.

Le era tornato in mente un pomeriggio quando da piccola avevano fatto visita agli zii, tutti insieme e lei aveva voluto a tutti costi fermarsi in un posto a bere una cioccolata calda. Nessuno aveva voluto prendere niente e di colpo si era sentita stupida e viziata a fare aspettare tutti per quel suo capriccio. Così aveva bevuto la cioccolata più in fretta che poteva e si era scottata la lingua tanto che per tutto il giorno aveva sentito l’amaro di quel desiderio.

Che stupido che le venisse in mente adesso quel pomeriggio di vent’anni prima.

Eppure la sensazione non era tanto diversa.
Il pianto si era trasformato presto in amarezza e in nostalgia.
C’era stato un momento in cui quell’amarezza non c’era.
Ed era lontano quasi quanto quella tazza di cioccolata bollente.

mercoledì 5 dicembre 2007

botte

Fatto.

I-pod caricato, piatti lavati, borsa dell’acqua calda nel letto.
Ci sono, anche se le gionate, le cose da fare e la polvere aumentano.
Ci sono, ci sono.

Con tutti questi dischi nuovi da ascoltare, con un sacco di fogli scarabocchiati e anche –perché no- con un bernoccolo sulla fronte. Nuovo di zecca. Sportello della piattaia che mi si è avventato addosso mentre mi alzavo di scatto dopo aver raccolto la spugna.
Barcollo, oltre che per la botta in testa, per quanto siano vorticosi questi giorni. Così vorticosi da far girare la testa.

Dal fine settimana sembra già passato un mese, ed era solo ieri.

martedì 20 novembre 2007

in viaggio

In una veglia quasi ipnotizzata prendo il treno delle otto e ventiquattro stamattina.

Fa freddo.

Di fronte a me un bambino nero, sui tre anni si racconta le novelle da solo mentre suo padre sonnecchia. Il dito indice della sua mano destra racconta al dito indice della sua sinistra i tre porcellini. Con tanto di coreografia. “il lupo allora bussò alla porta del primo porcellino...” (e vigoroso battere di pugni sul tavolino davanti)

Intanto gli occhi mi si chiudono e si aprono al ritmo usuale della campagna pietrificata e bianca, dei piccoli brividi dovuti all’aprirsi della porta automatica che fa passare l’aria fredda dentro il vagone, e dei pensieri vorticosi e poi lenti.

Penso al fine settimana che mi è rotolato addosso pieno di momenti bellissimi.

Un dopo cena degustazione di vini a casa dei miei amici, un dopo cena lungo lungo, di chiacchiere e chiacchiere e risate e risate, il viaggio in vespa per tornare a casa, un bagno caldo alle tre di notte, un letto fresco di bucato.

Penso al buio della notte di Siena e a quel freddo penetrante. Alle risate calde e alle persone belle che mi erano intorno. La notte al museo e la musica e quelle pareti bianche.

il lupo allora gonfiò le sue guance e soffiò e soffiò...” (seguono soffi veementi misti a sputacchi).

Una città misteriosa e familiare, un’amica in qualche modo molto vicina, una mano che mi cinge la spalla e una parola all’orecchio a intervallare una conversazione ad alta voce.

Capirsi con un’occhiata.

e la capanna di paglia cadde al primo soffio, e il porcellino molto spaventato corse e corse e corse...

La marmellata della mamma di M., una specie di madelaine della mia adolescenza, il latte, la sigaretta in pigiama sul balcone, mentre il freddo della ringhiera mi si ramifica su per i gomiti fino a raggiungere il collo.

Sul pullman delle due, stipato di turisti e pendolari, un uomo enorme piange consultando un dizionario, parla un po’ da solo, borbotta irrequieto. Il sole invernale scalda il vetro a cui sono appoggiata. Poi in treno, mentre varco gli appennini di nuovo, leggo e mi appoggio storta allo schienale. L’umanità in viaggio e tutte le domande che mi fa porre. Facce dopo facce, scarpe e borse, parole smorzate, libri, musica, riviste e parole crociate.

Bologna. Un libro nuovo, una trapunta rosa, una tazza di tè bollente. La cena e la tv, e ancora musica, altra dimensione e altro spirito. Ancora freddo. Qualche lacrima a condire la serata. Qualche lacrima e molti abbracci. Che salvano dal mondo che è fuori e per un po’ lo lasciano a contorcersi nelle sue pieghe.

e la capanna di legno cadde al secondo soffio, e i due porcellini sempre più terrorizzati corsero e corsero e corsero...

Quando sono arrivata a casa stamattina mi sentivo male dal sonno. Mi sono messa a fare qualcosa ma era impossibile mantenere la concentrazione. Ho tolto di mezzo le scarpe e mi sono buttata sul letto nella mia casetta di mattoni, faticosamente costruita in questi anni.

E ho dormito.

E sognato.

giovedì 8 novembre 2007

è natale...

il magico mondo delle candele, ore 16.

mercoledì 7 novembre 2007

nota a margine

Il problema è che nella lotta quotidiana fra senso di inadeguatezza e rafforzamento dell'autostima un punto a entrambe non fa un pareggio.
Vince sempre l'inadeguatezza, a meno che il punteggio non sia dieci a zero.

lunedì 5 novembre 2007

Novembre

Fa un caldo strano, un caldo da estate di San Martino, ci sono le finestre spalancate e i panni stesi e di contro tutte queste foglie gialle dappertutto (e viene subito in mente una di quelle poesie* che ti fanno imparare a memoria alle elementari che allora odiavo e mi faceva tristezza e che invece a ripetersela adesso suona piena di musica e silenzi).

Ho rifiutato la proposta di un lavoro che sarebbe stato molto remunerativo perché semplicemente le ore della settimana non bastavano, e questo mi rende molto inquieta.
Non so se era un’occasione, se lo sarà, ma quando le mie forze non sono sufficienti io mi sento un po’ sbagliata da qualche parte, difficile spiegarlo diversamente da così.

Le mie scelte sono sempre un po’ imperfette, io sono sempre un po’ inadeguata rispetto a quello che vorrei da me. Qualcuno direbbe che da me stessa pretendo quasi l’impossibile (qualcuno l’ha detto e io mi sono subito sentita in difetto di nuovo e lo scopo non era affatto quello) io dico sempre che faccio quello che devo, e poi quello che posso.

A queste riflessioni segue un pomeriggio passato a sfogliare le pagine di un vechio diario che mi è capitato per le mani mentre cercavo un’altra cosa e a chiedersi come diavolo sono venuta fuori da certi pantani mostruosi in cui mi ero cacciata. Certe cose sono molto lontane adesso, ma a rileggere provo lo stesso smarrimento di allora e il dolore, quello me lo ricordo, vivido come se fosse successo tutto ieri.

Quello che mi salva in questo periodo sono i progetti. Ne ho tanti, uno per ogni dito delle mie mani, mai avuti tanti progetti e desideri tutti insieme. Forse è per questo che nonostante tutto sento una vena di ottimismo pulsare piano piano ma costante, in mezzo alle scartoffie e alla fatica.

*Gemmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l'estate,
fredda, dei morti.

Giovanni Pascoli, Novembre.

sabato 3 novembre 2007

generazioni

Di là a tavola ci sono i miei coi loro amici a cena che si scannano dibattendo sulla scuola.
A un tratto mi ricordo perché dopo un po' qua dentro mi manca l'aria.
Questa è una famiglia in cui si grida si picchiano i pugni sul tavolo e ci si accalora.
Questa è una famiglia di sinistra in cui certe cose sono vitali e una di queste cose è discutere, confrontarsi e poi bere l'amaro e mangiare il dolcetto.

Questa è una famiglia passionale, nel bene e nel male.

Io sono zitta, zitta, gridare mi stanca, dirimere le questioni mi sembra sempre più difficile, ci sono cose semplici che mi sembrano più vere.
Secondo me siamo proprio due generazioni politiche.
Una, la loro, fatta di gente che si mette in fila per votare alle primarie del partito democratico.
-Perché?- Chiedi.
-Perché da qualche parte bisogna pur ricominciare.-
Una, la mia, di disillusi che credono che l'unica parte da cui ricominciare sia lavorare al meglio delle proprie possibilità qualunque lavoro si faccia, e attendere pazientemente che quello che hai votato tappandoti il naso abbia un senso.

E che si ritappa il naso alle elezioni dopo.

martedì 30 ottobre 2007

stacanovismo e altro

Mi prendo un minuto prima di ricominciare col lavoro vero.

Ho milioni di cose da dire e da fare, sono stanca e mi sento le ossa umide, ma contrariamente ad altri giorni che sono morti senza lasciarmi il tempo di riordinare e riprendere le fila di quello che ho lasciato a metà, in questi giorni tocco vertici di stacanovismo difficili da descrivere.

Sono arrivata in negozio un’ora in anticipo e sono uscita un’ora in ritardo, anche oggi, e alle dieci mentre finivo la mia cena (=tazza di cereali) ho scritto due mail fatte apposta per sollevare discussione.

Ho fatto la voce grossa ai bambini oggi e loro, incredibilmente, mi hanno ubbidito.

Adesso, mentre fumo l’ultima sigaretta autoconcessami (non più di dieci, biondina, prendere o lasciare) metto in fila le pagine da rivedere e quelle da scrivere per l’appuntamento col prof. domani. Senza particolare vittimismo (che stasera, volendola dire tutta, mi spetterebbe di diritto, insieme a un massaggio al collo).

Mi va bene, mi va bene anche questo discutere e scalzare gli argomenti da sotto le radici che ci si sono abbarbicate sopra.

Mi va bene non truccarmi, vestirmi da guerrigliera, appallottolarmi sotto il plaid di pile quando dovrei essere addormentata da tre ore e mettere in discussione tutto, ogni giorno, perché così mi sento a posto, così mi sento in pace con le cose che voglio da me e che mi sono promessa di non perdere.

Mi vanno bene anche i rischi che corro, sono più attaccata al mio pavimento proprio ora che svolazzo più in alto della realtà della mia vita.

Mi va bene anche la stanza sottosopra, le tazzine di caffè consumati ammonticchiate in un angolo della scrivania, la valigia sempre pronta, i soldi da contare e il fatto che non faccio un giro in libreria (come dico io) da almeno un mese.

Mi va bene perché una parte di me dice che tutto questo passerà e lascerà il posto a mattine fresche e viaggi.

Tutto mi sembra insieme passeggero e stabile.

martedì 23 ottobre 2007

brivido

Stasera sento il passato vicino.
Ho chiuso il cervello a doppia mandata e ho messo i tappi nelle orecchie.
Ma è lì.
Io vorrei essere altrove.

venerdì 19 ottobre 2007

sospiro

è stata una settimana dura.
Culminata in un momento davvero critico all'ora di pranzo di oggi.
Ma oggi è venerdì, mi son detta.
E questo momento che adesso sembra insuperabile, che mi fa arrossire, che mi fa venire voglia di ritornare a cinque anni e sentirmi autorizzata a succhiarmi il pollice, questo preciso istante finirà. Prima o poi.

E poi ci sarà il treno e poi due giorni senza computer, senza telefoni e senza convenevoli da commessa. Vertebre allungate e scrocchiate. copertina e tè caldo.

Quindi quando oggi mi hanno chiesto "ti sembra di stare andando avanti?" ho stretto la mascella forte e ho detto "sì".

martedì 16 ottobre 2007

Tema: la mia città (Sottotitolo: il Rinascimento è stato bello, ok ma è finito)


[Firenze, sale sull'albero la polemica sulla tramvia

Singolare protesta a Firenze: Antonio Laganà da venerdì scorso è salito su un albero per protestare contro il taglio delle piante previsto dal comune per far passare la linea 3 della contestatissima tramvia.]

Questa città si autoseppellirà presto.

Una mattina, all'inizio dello scorso settembre, avevo un appuntamento dal dentista.
Alle undici e trenta.
Pioveva a dirotto, scrosci gelidi di fine estate che non si potevano prevedere né evitare in alcun modo. Non mi andava di rischiare la vita in vespa e mi son detta: vado in autobus. E' un po' lontano ma tanto ho tutto il tempo.
Esco di casa alle dieci.
Aspetto quaranta minuti il primo autobus.
Aspetto venti minuti il secondo.
Traffico impazzito, auto ovunque, schizzi dalle pozzanghere e scarpe che si impantanano e si inzuppano.
Alle undici mi trovo all'ultimo incrocio, a venti minuti a piedi e sei in bus dalla meta.
Decido incautamente per l'autobus.
Aspetto.
Aspetto.
Aspetto.
Si creano file infinite sul marciapiede, la gente guarda sgomenta in giro per cercare cartelli che avvisino di eventuali soppressioni di corse e non ne trovano.
Quando è troppo tardi per raggiungere a piedi lo studio dentistico mi rassegno e cerco un taxi.
Non ce ne sono.
Furibonda e zuppa telefono al dentista e gli dico che arriverò una mezz'oretta in ritardo. Mi incammino sotto la pioggia maledicendo Firenze.

La scorsa settimana, di nuovo, ero senza vespa.
Appuntamento alle due in pieno centro.
Pranzo dai miei come le galline alle 12 e 30 poi alle una e un quarto esco di casa al grido di "prendo un autobus e arrivo anche dieci minuti prima per prendere il caffè".
Invece sono arrivata all'appuntamento alle due e dieci.

Firenze fa 500.000 abitanti più o meno.
milioni di turisti l'anno.
Il biglietto dell'autobus costa uneuroeventi. Ma l'autobus non c'è.

E c'è ancora qualche deficiente, esibizionista, fanatico, dogmatico, chiamatelo come vi pare che protesta per la tramvia.

Io voglio la tramvia, la metropolitana, il filobus, lo skilift, e una funicolare.
A meno che non mi diano il teletrasporto. Voglio che questa città sia vivibile anche per me, che sarò sfigata ma sono nata qui e non ci vengo in vacanza e non mi va di sorridere e dire "com'è pittoresco" come gli americani.

Alberi?
Pazienza.

venerdì 12 ottobre 2007

la ricetta per la felicità

Chissà se succede anche a qualcun altro.
Possibile che qualunque genere di cattivo umore mi trovi addosso passi all'istante se vedo ballare Fred Astaire?
Possibile che mi compaia in faccia un enorme sorriso da ebete e la voglia insensata di credere che la vita sia leggera e facile?

mercoledì 10 ottobre 2007

(intanto...)

cristallo

Equilibrio.

Questo ci vuole, equilibrio.
Reagire alla sensazione di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato che mi ha aggredita in questi giorni ogni volta che mi svegliavo.
Reagire al nervosismo che mi fa venire voglia di rispondere male e andarmene sbattendo la porta.
Reagire alla voglia di dormire. E poi reagire all’insonnia.
Reagire al fatto che ho tutto sparso in giro e non trovo le cose.
Reagire al “che faccio, dove vado, cosa voglio che c’entra tutta questa gente con me”.

Che hai?

Ascolto dischi e chiudo le finestre che per tanti mesi sono rimaste generosamente aperte, mi sento addosso le foglie rosse degli alberi della mia via e mi sembra che troppa gente mi chieda consigli e mi chieda come sto.
Mi ritornano le vecchie pulsioni: per esempio avrei assolutamente bisogno di muovermi e parlare una lingua diversa. Avrei bisogno di un aereo sul quale abbandonarmi alla lettura di riviste. Di un volo che mi obblighi a portarmi una giacca sul braccio, che chissà che tempo farà quando atterro.

Ma non è il momento della fuga, è il momento della trincea.
Del coltello tra i denti in negozio e fra le mura della stanza davanti ai libri aperti. E se la rabbia c’è, (per quanto sia inspiegabile c’è) è il momento di incanalarla nella realizzazione dei progetti, non nelle camminate sfiancanti fra metropolitane e marciapiedi stranieri.

Sarebbe bello ma non si può.
E stavolta resisto. Stavolta vinco io.

domenica 7 ottobre 2007

nostalgia

(lo sa che prima o poi i miei torneranno a casa, ma si strugge nell'attesa...)

venerdì 5 ottobre 2007

sembrava un lunedì

Uno passa due giorni belli ma faticosi a correre, prendere e perdere treni, godersi un concerto favoloso mischiandosi a sessantacinquemila persone, spiaccicarsi negli autobus, dormire per terra, ammirare di corsa una città che non conosce, stringere mani, combattere col torcicollo, combattere con gli appuntamenti, contare gli spiccioli, ricontare gli spiccioli, sbadigliare, programmare, soffrire il freddo e il caldo, ricombattere col torcicollo (che sembrava debellato invece guarda un po'? eccolo lì di nuovo) vagare nella periferia della sua città in cerca della propria vespa rimossa dalla municipale e portata in un posto che sembra lo scenario di un film western e intanto, a bordo dell'ultimo treno mentre torna a casa, mentre il vicino di sedile legge il giornale invadendo quel minimo di spazio vitale che gli servirebbe per respirare, spera che la giornata di lavoro che comincerà alle tre e mezza sia gentile, che non ci siano troppi ordini da evadere, che non ci siano scatoloni da sollevare (ché il collo davvero si arrenderebbe del tutto all'idiozia della testa che regge) che non si accalchino le solite vecchiette, o meglio, che si accalchino pure ma che evitino di tergiversare o di essere acide.

Invece, puntuali ecco le clienti impossibili.


Ed ecco come appariva il negozio all'arrivo della biondina.




Però il concerto è stato davvero favoloso. L'ho già detto?

giovedì 27 settembre 2007

fra un acquazzone e l'altro

Giornataccia, temo.

Dopo vari tentativi di organizzare il fine settimana in modo che avesse una logica salta tutto per aria e mi ritrovo con la prospettiva allettante di studio+lavatrici+gatta urlatrice da badare causa viaggio a Parigi dei miei. E mi trovo qui a fantasticare su Parigi in Ottobre, la mostra di Fragonard, una pioggia fine (nel suo primo giorno a Parigi si procuri della pioggia signor Larrabee) scarpe allacciate e piccoli caffè con lucine gialle in cui fermarsi a scrivere su un quaderno nuovo e con una matita con la punta appena fatta, magari verde.

Pioverà questo fine settimana. Le previsioni sono funeste e io allora ho fatto scorta di biscotti al cioccolato.

E scaccerò la tristezza in qualche modo, anche se il venerdì si annuncia massacrante e la spalla mi fa di nuovo male (comincio a pensare che sia psicosomatico, ma può davvero essere psicosomatico un dolore così acuto?) fantasticando sul mio prossimo tour de force.

Ché in fondo questa cosa l’aspettavo da una vita, e non credevo nemmeno che fosse possibile.

martedì 25 settembre 2007

che meraviglia

Il figlio del mio capo ha appena iniziato la prima elementare.
Oggi dopo la scuola è passato dal negozio e mentre aspettava che sua madre finisse delle cose si è messo a fare i compiti proprio qui, sul tavolone ingombro di candele, pacchi, pennarelli indelebili trincetti e carta velina.
Una lunga serie di colori e forme:

cerchia di rosso la lettera "A"
unisci gli oggetti alla forma a cui assomigliano


e lui in piedi con in mano la sua matita rossa e tutta la lingua fuori a fare le sue "a" nei quadretti

Sono emozionanti, gli inizi.
La soddisfazione di quel bambino quando ha finito e mi ha fatto vedere il quaderno è veramente un'immagine incantevole.

mercoledì 19 settembre 2007

tutto relativo

-signorina lei che è alta...
-... ... io?
(questa proprio non me l'aveva mai detta nessuno..)

guardo la signora che mi arriva alla spalla.

-mi prenderebbe le lasagne lassù?


intanto tira un vento fortissimo che scuote tutto dentro e fuori.
Le finestre sbatacchiano, le tende svolazzano e i miei capelli sono elettrici.

Oggi per strada si respirava l'autunno.

lunedì 17 settembre 2007

lunedì

Niente, non passa.

Quest'irrequietezza è qualcosa che non sembra appartenermi, eppure è come se mi avesse morso la tarantola e mi dibattessi e contorcessi in silenzio e senza farmi notare.
Certo il fine settimana ha aiutato a rimettermi a posto, il buon cibo, il dormire fra lenzuola color mattone, certi impegni rispettati, certi schemi definiti. (Però lentamente. Aspettando che fossero maturi e si staccassero da soli dal ramo perché era esattamente il momento giusto.)
Ha aiutato anche quella telefonata, nel cuore del pomeriggio lavorativo del giovedì, che annunciava idee e progetti potenzialmente meravigliosi, anche se molto difficili.

Ma oggi è lunedì, mi hanno rubato per la seconda volta il casco della vespa e stavolta l'hanno fatto scassandomi la serratura della sella.
Una ragazza ha rubato sicuramente una candela da uno scaffale e io l'ho persa di vista prima di poter fare qualcosa.
In generale non mi importa (a parte per il casco perché son soldi che non ho).
In generale quello che accade è che mi sento come una tigre in gabbia e non ho voglia di parlare, di raccontare, di fare i miei soliti sorrisi gentili.
Mi sento pulsare i polsi, mi sento come una febbre che sale: tutti quei desideri lasciati a metà che ora sembrano impossibili da trascurare.
C'è una serie di cose da scuotere e sbattere dopo anni che stanno negli angoli a impolverarsi. Sarà un lavoro duro.

giovedì 13 settembre 2007

buone notizie


allora perché sono così rabbiosa?

domenica 9 settembre 2007

tenera

E’ tardi e sono ancora qui che mi faccio bella, pezzo per pezzo, cera, crema, smalto, capelli. E’ stato veramente stancante raccogliere tutte le forze per essere perfetta domani. Ho dovuto correre, sudare, arrabbiarmi. Con il lavoro nel mezzo, con nel mezzo gli altri impegni, lo studio, e tutto il resto.

Mi sono anche sciolta in lacrime a metà del tragitto, e ho provato la cara vecchia paura mostruosa di guardare fuori dalla finestra. Quella sensazione che riesco a descrivere solo ricorrendo all’immagine del dottor Dick Diver alla fine di Tender Is The Night.

Non ho provato veramente quella sensazione l’altro giorno, ma mi sono ricordata com’era. Ho ritrovato i suoi spigoli e il senso di vuoto. E’ stato orribile. Non riesco a pensare che sia possibile la guarigione, riesco solo a mettere tutto quanto in soffitta.

Come con la stola di volpi che era chiusa nel baule quando ero piccola. Avevo il terrore di quelle volpi, di quegli occhi gialli, imbalsamati eppure feroci. Ma mi tranquillizzava sapere che erano chiuse nel baule delle cose vecchie, con un lucchetto sulla fibbia.

Poi ho fatto dei lunghi respiri.

Domani, al matrimonio, sarò perfetta. Sono davvero felice di quello che sta per accadere, mi dà un senso di fiducia nel futuro che per natura non avrei. Avrò il guscio giusto, senza una sbavatura, senza un filo tirato, senza un capello fuori posto. Voglio ridere, bere, abbracciare la mia amica più che posso.

I capitoli sono nuovi, nonostante Fitzgerald.

mercoledì 5 settembre 2007

settembre

Ticchettio dietro la porta del bagno (rasoio battuto piano sul bordo del lavandino), squittire di scarpe da ginnastica su gradini lucidi, cigolio di sedie nei pomeriggi di lavoro/studio. Acqua che bolle, lavandino di cucina che gorgoglia, sigla del telegiornale.

Ho nostalgia.

domenica 2 settembre 2007

addio al nubilato

L. si sposa. Lei e il suo fidanzato stanno insieme da qualcosa come dieci anni o forse sono nove. In ogni caso è da tantissimo tempo. Insieme sono cresciuti e cambiati tanto e io, da vicino o da lontano, ho assistito ad ogni passo. Abbiamo fatto vacanze insieme, cene, studiate; ho fatto il servizio fotografico alla laurea di lui e organizzato compleanni e feste. Mi hanno accudita quando vivevo come una larvetta perché l’infelicità era più larga delle ore che passavano e si sono accollati i miei malumori e i miei batticuori senza mai scomporsi. Ci sono sempre stati.

E un po’ anch’io.

Ero lì quando si sono messi insieme e sono qui adesso.

Alle nozze sarò una delle testimoni della sposa con altre due amiche del liceo.

C’era da organizzare una festa. Chiamarla addio al nubilato mi fa tristezza, vengono subito in mente quelle tristi vicende di spogliarellisti e sbronze fini a se stesse in cui nessuno si diverte davvero. Roba rozza. Roba che fa somigliare subito la gente a personaggi del grande fratello e che fa pensare al Paese che si sfascia e che vota per Berlusconi.

Ci voleva una cosa che somigliasse a L., e a noi.

Così siamo state in volo su una mongolfiera.

E., l’altra testimone, aveva preparato tutto per mesi, una cena nella sua casa in campagna a base di panzanella, carpaccio di zucchine e insalatina dell’orto. E vino bianco per brindare. Poi gelato e a letto di corsa. La sveglia prevista per le quattro e trenta del mattino. La mongolfiera si alzava in volo alle sei e trenta.
Quando ci siamo svegliate era notte fonda, il cielo nero della campagna intorno era ancora tutto pieno di stelle. L. ha ricominciato a chiedere e chiedere, non vedeva l’ora di scoprire la sua sorpresa. Abbiamo alzato la radio in macchina per tenerci sveglie. Dieci minuti dopo che eravamo partite i fari hanno illuminato tre cerbiatti che attraversavano la strada lentamente. Ci hanno lanciato una breve occhiata prima di proseguire piano, guardando avanti come se avessero uno scopo.

Quando siamo arrivati a destinazione il cielo schiariva appena. Nella loro casa diroccata, nel Chianti senese Robert e sua moglie Liz ci hanno accolte con caffè e tè. Noi avevamo portato uno strudel. In giro animali domestici, libri, luci soffuse.

L. era stata bendata all’arrivo, tolto il foulard solo nella cucina calda, piena di stoviglie e tazzine da caffè tutte diverse, si guardava intorno come se fosse finita di colpo nella casetta di marzapane. Robert era stato avvertito. Ha detto “qualcuna di voi venga ad aiutarmi a sellare i cavalli”. Un minuto dopo E. ed S. Tiravano i fili del pallone che si gonfiava, e L. scopriva la sua sorpresa, mentre il cane Mosca correva su e giù come un pazzo davanti alla casa.

E’ difficile descrivere la faccia che ha fatto. Rapita, incredula, con le braccia spalancate. Siamo entrate dentro il pallone mentre si gonfiava e ci siamo guardate sorridendo coperte di riflessi verdi.

Il resto è stato strepitoso. Volare all’alba nel silenzio più totale, toccare con le mani le cime degli alberi, vedere dall’alto la dolcezza della campagna toscana, i cipressi, i viottoli, l’ocra e il verde.
Poi atterrare in un campo e fare colazione lì con pizza, melone e spumante per il battesimo del volo.

Infine tornare a casa su un fuoristrada tutto aperto, come avessimo fatto un safari, e prendere il caffè nel paese vicino. E’ stato tutto perfetto, compreso il resto della giornata passato al mare a Baratti, a prendere il sole e dormire.

Abbiamo fatto tardi. Ci siamo fermate a cena a Massa Marittima davanti alla cattedrale, sporche di sale e sabbia. Nessuna di noi realizzava davvero, ancora, quanto la giornata fosse stata incredibile.

Non riuscivamo a liberarci dall’emozione, dalla voglia di raccontare. A tarda notte, incuranti delle gole seccate dalle mille chiacchiere e dalle risate, abbiamo cantato i Beatles a squarciagola in macchina come se fossimo state in gita scolastica

Poi, poco prima di arrivare a destinazione, stanche morte, desiderando di dormire come mai prima, un cerbiatto ci ha attraversato la strada.





Update
messaggio ricevuto il 26 agosto 2007 ore 15:11

Ma quanti baci vi vorrei dare... Le mie sognatrici belle entusiasmanti divertenti gioiose tutte matte!

La Sposa

giovedì 9 agosto 2007

partenza

Ci siamo, ce l’ho fatta.

Valigia vuota sul letto con pile di vestiti accatastati intorno. La decisione è la cosa che mi pesa di più. Questo o quello, tanto o poco, leggero o pesante. Boh.

So solo questo: due grandi parei uno a fiori uno a strisce.

So solo che ho pagato l’affitto, che ho chiuso il negozio e appiccicato il cartello chiuso per ferie, che sono stanca di essere stanca, ecco, soprattutto so questo.

Sono stanca di essere stanca e che i miei amici mi dicano “hai un po’ di occhiaie”.

Ancora non mi sento in vacanza. Ma quando la valigia sarà fatta e la vespa depositata a casa dei miei e le piantine dotate di acqua gelificata a rilascio graduale, miracolo della scienza per cui si annaffieranno da sole per i prossimi dieci-quindici giorni, ecco, allora chiuderò gli occhi e mi addormenterò pensando Ok, domani parto.

Buone vacanze.

mercoledì 1 agosto 2007

in apnea



Finché non arrivano le vacanze.

mercoledì 25 luglio 2007

cristallo

Fa caldo, in negozio non c’è nessuno, per strada nemmeno. Succhio gelato con la cannuccia, in attesa che i punti smettano di tirarmi. Va meglio, ora dopo ora, sento che il peggio è passato, ma mi sento come regredita a una specie di infanzia forzata, senza poter masticare, sgranocchiare, sbadigliare, nemmeno ridere bene. Tolto di mezzo il dente del giudizio che doleva, mi scopro a desiderare abbracci, mattinate lunghe e letture evasive. Non ho voglia di stare al computer, non ho voglia di vedere film. Vorrei solo leggere, passeggiare sotto il sole e dedicarmi al mio corpo, prendermi cura di mani, braccia, collo, capelli, e tutto il resto. Un pezzo alla volta, piano piano, volermi bene senza sentirmi vanitosa e frivola.

Il mio babbo, colto da raptus amoroso nei confronti di mia madre, mi chiama per sapere se lo posso accompagnare a scegliere un gioiello per lei.

Mi commuovo.

Questa famiglia brontolona e affettuosa, tutti questi fili tirati fra di noi senza i quali non staremmo nemmeno in piedi, come burattini molli.

Eppure qualcosa c’è.

A me non manca l’affetto, ma in questo momento sento come un languore: avrei bisogno di abbracci e carezze. Quando non si sta bene è naturale, ma in me è anche naturale la ritrosia, perché detesto vedere le persone che amo in agitazione per il mio benessere.

Così rimango lì, in attesa che l’asfalto smetta di essere bollente per appoggiare le gambe alla ringhiera del balconcino e sentire l’aria finalmente fresca che mi sfiora la pelle, cercando di scambiare quel tocco con quelli che vorrei, cercando di abbandonarmi, una volta tanto, a una carezza che non porti con sé anche qualche preoccupazione.

E facendomi un po’ male con la musica.

[Stay tonight
We'll watch the full moon rising
Hold on tight
The sky is breaking
I don't ever want to be alone
With all my darkest dreaming
Hold me close
The sky is breaking

I don't ever want to be alone
With all my darkest dreaming
Hold me close
The sky is breaking

David Sylvian, Darkest Dreaming]

lunedì 23 luglio 2007

firenze, 37 gradi

-come stai del tuo mal di denti?
-non bene.
-hai fissato dal dentista?
-sì, domattina.
-tesoro... e che mangi stasera?
-mamma non lo so dai..
-mangia qualcosa però eh!
-sì mamma daai..
-va bene.. se hai bisogno chiami?
-Sì..
-davvero?
-sì dai chiamo..
-va bene.. fammi sapere come va domattina eh.. e.. mi raccomando..
-va bene..
-e.. non prendere freddo...

venerdì 20 luglio 2007

di prati, notti stellate e musica

Non si sono ancora spenti i racconti entusiasti delle mie amiche che hanno campeggiato al Latitude Festival a Southwold nel Suffolk che qui è cominciato l’Italia Wave Love Festival.

In questo caldo da sauna costante, mentre mi struggevo a leggere di come le due belle si sono sdraiate sui prati, hanno bevuto caffè fatto sul fornellino, ascoltato gruppi bellissimi, fatto amicizia, e dormito poco, mi telefona la mia amica E. e decidiamo di andare laggiù laggiù a vedere che ci riserva il festival in versione fiorentina.

Arriviamo in due su una vespa, in mezzo a una nuvola di motorini e polvere io a pezzettini direttamente dal lavoro, ma con una maglietta nuova che mi piace, lei bella e elegante in nero. Dal parcheggio al pratone dove ci sono i palchi c’è un po’ di strada da fare a piedi, mentre camminiamo per la stradina polverosissima uno sudato e coi dread mi guarda e dice in aretino “guarda che non ti fanno entrare col casco”.

E infatti all’arrivo ai controlli c’è una grande impalcatura con tutti caschi appesi come tanti uccellini sui fili della luce.

“No, non posso lasciarlo lì.. me lo rubano di sicuro...”

“torniamo indietro?”

“ma se torniamo e riandiamo poi per cinque minuti bisogna pagare...”

perché l’ingresso è gratuito fino alle nove. E noi naturalmente siamo arrivate alle otto e cinquantasette.

“che si fa?”

Mi ricordo di certi trascorsi e vado da un poliziotto a pigolare sbattendo le ciglia. Lui mi guarda e dice “non posso, davvero”. Mi guardo intorno e vedo il baracchino degli organizzatori.

“ma se vado a chiedere lì se mi fanno mettere il casco dietro i loro banchetti?”

“ma se lo fai tu lo vorranno fare tutti...”

“me ne hanno già rubato uno, se perdo questo... dai...”

“...”

“per favore dai... fammi almeno tentare...”

“vai dai, sbrigati”

Fase due. Molto più semplice della prima direi. Il ragazzo del baracchino coi capelli più rossi che abbia mai visto mi dice, sempre in aretino, “ma sì, poi se fai tardi e chiudiamo la tenda passi sotto e lo prendi lo stesso, tanto non è veramente chiuso, è solo una tenda...”

Metto il casco su un mucchio di qualcosa coperto da un telo bordeaux.

Faccio un fioretto che se alla fine della serata lo ritrovo…

E ci buttiamo sul pratone, dove la maggior parte della gente mangiucchia, beve vino in bottiglie di plastica, combatte con le zanzare e semplicemente giace chiacchierando. C’è profumo di erba falciata, sembra estate, sembra un po’ di essere al mare. “Cavolo, siamo vecchie” ci diciamo io ed E. guardandoci intorno.

Poi ci ripensiamo: che bello essere di dieci anni più grandi di quando ci facevamo le paranoie se il vestito era giusto, se avremmo incontrato questo o quello, se avremmo saputo a memoria i testi delle canzoni. Una gran bella rilassatezza, ora dobbiamo solo goderci la musica e respirare il profumo di erba tagliata e notte fresca, chiacchierando del più e del meno e ciondolando fra le bancarelle. E infatti facciamo proprio così: ciondoliamo fra le bancarelle provandoci collane e inspirando incensi vari. Io alla fine compro anche un braccialetto fatto di fili verdi.

Poi i concerti.

Abbiamo sballettato come matte con le teenagers innamorate di Mika: carino anche se non ci avrei scommesso niente; buffo con dei pantaloni verde pisello fasciati sulle gambe magre magre che lo facevano sembrare un insetto lungo e saltellante. Un grillo eppure una voce strepitosa e avvolgente, davvero un bel sentire quando ha rifatto I want you back dei Jackson 5 e anche Sweet Dreams degli Eurythmics. Cose adatte all’estate, adatte a sentirsi un po’ scemi e allegri.

Poi ci siamo godute l’energia dei Kaiser Chiefs. Una botta nello stomaco e poi quel pazzo di cantante che nel bel mezzo del concerto salta giù dal palco e corre al baracchino più vicino a prendersi una birra, con dietro tutto il pubblico di magliette a righe a correre con lui. E noi, confesso, a ridere piegate in due. Sembrava la scena di un fumetto. Tutta una fila di ragazzini a correre nel prato dietro a uno con un boccale di birra.
Buffo davvero.

Bello, bella serata, gente tranquilla, nei limiti del possibile con tutto quell’alcool in giro (e infatti pazienza per il tizio ubriaco che per dimostrarmi che si era innamorato di me mi ha tirato forte forte i capelli, non mi sono nemmeno scomposta tanto, ho riso e gli ho detto qualcosa, poi lui si è accorto che aveva finito la birra e il richiamo del bicchiere è stato assai più forte della chioma della biondina).

E il miracolo finale, quando sono scivolata dietro la tenda dell’organizzazione il mio casco era lì dove l’avevo messo. Quindi adesso devo mantenere una promessa.

Stasera Radio Dervish e signore e signori…The Good The Bad and The Queen

Update: perché il mio blog è impazzito e mi ha cambiato 4 formati del carattere? Qualcuno lo sa? Io non riesco a correggere... quindi scusate la scarsezza estetica di questo post...


lunedì 16 luglio 2007

parlo da sola

Non sono sicura di niente. Di quasi niente.

Ma stai bene?

Sì, sto bene. Per esempio stamattina mi sono svegliata presto, ho lavorato bene, ho preso anche confidenza con la libreria nuova. Mi sembra carina, oggi. Prima mi sembrava che prendesse tutto lo spazio del mondo, che si inghiottisse la stanza coi suoi scaffali ricolmi. Che si inghiottisse anche me. Poi piano piano mi sono abituata a vederla, adesso mi sembra che sia sempre stata lì. E adoro l’odore che ha. Un odore di legno fresco trattato. A volte appoggio il naso sullo scaffale e inspiro. E poi vedo i miei libri lì in fila sull’attenti, tutte le cose che ho letto in questi due anni e tutte quelle che leggerò e tutte le cose che un giorno saprò. Mi dà un senso di tranquillità sapere che non sono a prendere la polvere sotto il letto o impilati sul cassettone.

Li hai sistemati in ordine alfabetico di’ la verità…

Per niente. Sono sparsi e incasinati il più possibile. Alcuni sono mischiati con quaderni, diari, in mezzo ci sono anche un po’ di dischi. Non so perché. Credo che sia perché mi piace frugare fra le mie cose per trovare quello che cerco.Trovo sempre anche qualcosa che non cercavo. Per esempio mi ricordo quando trovai quel foglio dentro un libro di racconti di Carver. Una pagina scritta fitta fitta e lunghissima, datata 2002 che si concludeva con “chissà chi è il lettore di Carver”. Mi ha fatto molta tenerezza. Mi ha fatto anche tenerezza che un autore mi avesse accompagnata così silenziosamente e tanto a lungo.

Allora perché dici che non sei sicura di niente?

Ho detto di quasi niente.

E quel quasi cos’è?

Non importa…

Certo che importa.

L’ho già detto…

Ridillo.

Sono sicura di non essere sola. Sono sicura di essere circondata da tanto affetto. Per me questa è una grande ricchezza.

E allora l’insicurezza dove sta?

Nei giorni, che passano. Nei desideri che ho. Soprattutto nei desideri che ho…

E’ difficile conviverci?

Certe volte sì. Ma il più delle volte, almeno in questo periodo non è una sensazione del tutto sgradevole in realtà. Il punto è che questa insicurezza ha il sapore della potenzialità non dell’incertezza angosciosa. Ecco. Mi sembra –ma solo a momenti, difficilmente a dire il vero ho la possibilità di soffermarmi a pensare- mi sembra, ecco.. sì.. come di poter fare tante cose. Certi giorni ho persino il coraggio di pronunciare a voce alta certi desideri che ho. Prima li scacciavo e basta. Adesso almeno.. so che da qualche parte ci sono. Insomma non che si realizzeranno, ma..

Ma se hai detto che avevi i cali d’umore, che ti prendeva il panico, che temevi per il futuro..

È così, insomma è vero, sono piena di paure…

Allora?

Quindi?

Ti decidi?

No.

venerdì 6 luglio 2007

punti di vista

Ieri, ore 23
-"biondina, mi devo preoccupare? Ti vedo più stanca ogni giorno. Hai una faccetta che non mi piace. Ti serve una vacanza..."
"mmm... da che lo deduci?"
"mah.. hai un viso tiratissimo..."

Oggi ore 14
- "Certo che in questi giorni sei bellissima tu.."
"grazie... come mai mi dici così?"
"faccina pulita, un milligrammo di abbronzatura, stai proprio bene..."
"(ghi ghi ghi)"

A volte basta niente per darti l'incoraggiamento che serve a comprarsi quel vestito con cui poi ti senti una star.

mercoledì 4 luglio 2007

proprio rossa

... vorrei questa per favore.

martedì 26 giugno 2007

notti

Così, come una specie di carezza, cadono delle gocce di pioggia sulla città riarsa.

Voci festose di radio commerciali all’ora di pranzo, una gran fame e pochissime cose in frigo, polvere sugli scaffali. E’ estate. Distrattamente ho pensato all’ultima estate che ho passato lentamente. Mi sembra molto lontana. Non che sia impossibile ricordarsi di quell’odore di pini e terra bruciata, se mi concentro vedo anche qualche colore che balugina. Ma il mio corpo non ha altrettanta memoria. Cede, semplicemente cede, mi molla quando ho più bisogno di lui. E cado dalla vespa ammaccandomi e graffiando la laccatura rossa, poi passo il resto della giornata a dirmi come sono stupida e a camminare con la molla del freno davanti storta e lo specchietto piegato.

E poi faccio due lavatrici, mi metto a studiare e nel frattempo mi vergogno perché i miei mi hanno di nuovo regalato dei soldi a mia insaputa, e vorrei essere così forte da restituirglieli in qualche modo, ma invece la prossima settimana c’è l’affitto e quei due soldi in più non stonano per niente in questo via vai di bancomat e carte di credito.

A momenti mi sento invasa dalle cose, penso che dovrei semplicemente accogliere questo caos senza combatterlo, invece di digrignare i denti e spezzarmeli (e non pensare che non mi sia accorta che mi massaggiavi le guance di notte per farmi smettere: ho aperto un occhio e ti ho visto lì con le mani sulla mia faccia e mi sono sentita totalmente al sicuro, come non mi succede quasi mai). Dovrei lasciare spazio al caos e lasciare che si estingua come il calore dell’asfalto che evapora sotto questa pioggerellina fine.

lunedì 18 giugno 2007

chapliniana

.. me lo ricordo ormai anziano, forse proprio poco prima di morire, diedero una festa in suo onore e lui si presentò ormai un po' incerto nei movimenti e commosso. La gente era accorsa e si era stipata per vederlo e lui non poteva muovere un passo che tutti esplodevano in un applauso. Così, per riconoscenza nei confronti di quel pubblico adorante e di ogni età, fece il gesto di roteare il bastoncino e alzare la bombetta. E io mi sono commosso, allora come adesso che te lo racconto.

E due lacrimoni da bambino di tre anni gli rigano le guance immediatamente, al vecchio prof, e se non sto attenta gli corro dietro a chi tira più forte su col naso.

martedì 12 giugno 2007

sabato 9 giugno 2007

sabato al lavoro

Sabato, tutti al mare.

La pioggia dell’altro giorno ha fatto cadere un albero nella mia via, ma oggi si è rasserenato. Fa caldo.
Mi arrivano voci lontane della manifestazione (dovrei dire le manifestazioni) di Roma.

Leggo.

Stamattina per portarmi avanti ho rimesso a posto tutto il negozio, perché lo sapevo che questo pomeriggio sarebbe stato così pacifico e silenzioso e segretamente lo volevo per me.
Adesso leggo, prendo appunti, penso. Penso molto.
Mangiucchio sfogliatelle al cioccolato regalatemi dal vecio. Il solito cuore tenero.
A volte sospiro. Ah, che sospiri. Così potenti che si trasformano in sbadigli e lacrime di sonno.
Il gelsomino qui di fronte è fiorito, profuma moltissimo.

Mi sono placata dalla furia omicida che mi ha divorato il fegato ieri sera e che si è rovesciata come uno scroscio sul mio povero malcapitato amico.
Sono ancora convinta del punto di vista che ho sostenuto, ma forse potevo essere un po’ meno veemente nelle argomentazioni.

Che pace, eppure che caos.



update:"che bello che bello non c'è nessuno e posso leggere..."
E fu così che entrarono 400 clienti in un'ora.


giovedì 7 giugno 2007

però basta

piove così forte che non vedo fuori dalla vetrina del negozio.
così forte e con così tanto vento che la pioggia cade in orizzontale.
Mai visto niente di simile.
per lo meno non avrò clienti.
tempo per leggere.

e amletica malinconia eroica.

lunedì 4 giugno 2007

1984

Ti ricordi il mare quando eravamo piccoli?

Io mi ricordo giornate lunghissime. Mi ricordo che mi svegliavo presto e così com’ero, in mutandine e canottiera, correvo nello spiazzo davanti alla casa con le pareti fucsia, mentre i miei dormivano. Era una casa che odorava di calce, circondata dagli ulivi, in cui ho passato la maggior parte delle vacanze che ho fatto fino a sedici anni. Ma le ultime volte che ci siamo andati era già stata ridipinta e intonacata. Invece quell’anno era ancora un po’ scrostata e fucsia, in alcuni punti più chiaro e in altri quasi viola. Io portavo i capelli cortissimi, quasi a zero, canottiere a righe e calzoncini di spugna. La mia mamma portava, a quell’epoca, un vestito di cotone bianco con le bretelline sottili. Si fermava i capelli con una fascia elastica e ogni tanto mi si appostava alle spalle per darmi i baci sul collo mentre giocavo. Quei baci mi sembravano fastidiosissimi, mi interrompevano i giochi e i pensieri. A pensarci adesso mi commuove la sola idea.

Mi ricordo queste mattine lunghe mentre aspettavo che si svegliassero i miei, stavo sola e giocavo in quello spiazzo ombroso, raccoglievo sassi, coloravo sul retro di un pacco di fogli riciclati e disegnavo coi gessetti sul pavimento. Poi i miei si svegliavano e andavamo in spiaggia, armati di due o tre borse di paglia piene di secchielli, formine, giornalini e biglie.

In spiaggia c’erano gli altri bambini. Una spiaggia lunga, un mare profondo e di un blu quasi nero, ciottoli e sabbia, la grotta sullo sfondo.
Se chiudo gli occhi quel blu lo vedo adesso, e sento anche l’odore.

Quell’estate ho imparato ad amare il mare. Quel momento della sera quando tutti se ne vanno dalla spiaggia e noi invece restiamo finché non è proprio sceso del tutto il sole. Lo spazio da dare ai pensieri, ai pensieri sciolti, e quelle sere in cui il vero evento mondano è rappresentato dall’andare a mangiare la pizza e i calamari fritti nel paese vicino.

Succede che mi mancano giorni di quiete e mi manca un po' di mare da vivere in quel modo totale dei bambini. Dormire, mangiare bene, leggere e fare il bagno alle otto del mattino.

Guardare l’orizzonte con l’emozione di poter perdere tempo.

Mi serve tempo per riflettere e prendere delle decisioni e invece il tempo mi viene sottratto da moltissime cose che non mi interessano. Ma le decisioni vanno prese perché sennò è il tempo stesso a decidere per te e ti ritrovi senza bussola e senza cose che ti appartengano veramente.
Io voglio che il mio tempo mi appartenga.


mercoledì 30 maggio 2007

carburante

è una giornata soleggiata e ventosa. la sigaretta si è spenta con un piccolo sfrigolio dentro una pozzanghera sul marciapiede. I bambini che passano qui davanti sono innamorati dei girasoli. Il negozio è pieno di colori e oggetti d'ogni genere, ma i bambini notano solo i girasoli. E si sbracciano e li indicano ai loro genitori e ai loro nonni. Io mi sento bene.

Oggi sono andata titubante al mio colloquio del mercoledì col professore, dopo una sua telefonata alle otto e ventitre del mattino che mi informava che le mie pagine erano state viste e corrette. Nessun'altra notizia, ma la voce non prometteva granché.
Mi sono fatta coraggio e mi sono detta che se anche erano tutte sbagliate avrei potuto comunque ricominciare a scriverle da capo. Quelle piccole cose che fanno da carburante. Un pensiero veloce "se sbaglio semplicemente ho sbagliato" e tutto diventa immediatamente accettabile. Sbrigo prima delle dieci tutte le incombenze (oggi tante) della casa e della vita quotidiana, faccio la spesa, pago tre bollette, passo dal negozio per sicurezza. Mi guadagno un caffè dal capo, e anche due chiacchiere carine e generose. E vado.

L'università è il solito via vai di gente che in realtà non vorrebbe essere lì.
Aspetto la solita oretta che delle studentesse giovani si facciano approvare il piano di studi. Quelle che aspettano con me, come al solito, cercano di convincermi che il mio prof è una carogna, un maledetto perfezionista che non si rende conto che il mondo non gira intorno alla sua materia. Di solito non rispondo, mi metto a leggere, oppure mugugno un "ma no, dai...".
Oggi invece mi sono spinta a dire a una ragazza particolarmente aggressiva "ma se sai che è così perché ti ostini tanto a voler dare esami con lui? E' una materia facoltativa..." Il tutto con il mio solito sorriso standard da commessa e la mia -ahimè- proverbiale dolcezza.
Lei non replica. Mi spunta dalla lista delle possibili alleate di pettegolezzo.
Bene.

Quando tocca a me scopro che il prof è contento, che le pagine gli piacciono, che il mio progetto per le prossime gli piace anche di più. Dice "bene, si rimetta al lavoro. E' questa la strada".
Esco contentissima. Mi rendo conto d'un tratto che non ricevevo un complimento su queste cose da tanto, tanto tempo. Mi sento vagamente lusingata ma soprattutto mi sento avvampare dalla voglia di mettermi a scrivere. Come se avessi dato vento alle vele, mi si accavallano possibilità, paragrafi, temi. Ho quasi paura che tutto si perda se non prendo un appunto. Così lo prendo, in piedi, usando la sella della vespa come tavolino e una ricevuta del bancomat come foglio.

e tutta questa gente che sbraita per una volta mi scivola addosso: clienti insoddisfatti e arroganti, gente rozza, soprattutto rozza, incapace di formulare una frase di dissenso che non sia offensiva.
E assaporo il vento e le foglie che volano e il concerto di stasera.

Mi sento bene, mi dico.