martedì 13 settembre 2011

rette parallele


Il fatto buffo è che quando – raramente- vado alla mega fiera di prodotti per la casa con una delle mie cape, mi ritrovo a pensare che non è affatto semplice gestire tutto quel carnevale, saper scegliere le cose giuste da comprare (che non sono quelle che piacciono a te ma quelle che potrai vendere), che le capacità per comprare e vendere non sono affatto una cosa scontata, anzi sono sofisticati equilibri da saper mantenere, e vale tanto per noi che ci muoviamo in un negozio relativamente piccino quanto per quelli che hanno le filiali e le succursali e vale a maggior ragione per i rappresentanti, che le cose le devono rendere appetibili per noi venditori, e quindi devono essere scaltri due volte. Insomma mi trovo a pensare che nel suo piccolo e nel suo essere spietato e spesso anche volgare, anche il commercio è un’arte, nel senso che c’è una parte di quel lavoro che sembra meccanico che veramente si basa su una capacità un po’ innata o meglio, un po’ istintiva. L’altro pensiero che faccio è che quella capacità io un pochino ce l’ho, e questa cosa mi fa abbastanza paura. Dove l’ho presa? Come è possibile che viva questi due mondi così separati – uno fatto di letterature, traduzioni, articoli e saggi, mostre, cinema e studio e l’altro in cui (come dice mio padre) faccio la bottegaia? È una cosa un po’ misteriosa.
Certo, se una considerazione la posso fare, è che per stare in un mondo fatto prevalentemente di solitudine e ragionamento come quello della traduzione senza diventare una stramboide una come me ha anche bisogno di avere un bilanciamento. Ci vuole un po’ di palestra umana: sporcarsi un po’ le mani con l’Italia che “produce e lavora” dà un senso di grande concretezza e realtà ed è bene.
Ed è anche bene passeggiare per Milano pensando che bella città che è, anche se va così di corsa, fermarsi in un negozio e innamorarsi del commesso, chiacchierare con la mia capa dividendo la camera dell’albergo come in vacanza con le amiche, leggere un romanzetto sulla metropolitana fino a Rho e poi cenare in un ristorante giapponese buonissimo e tornare in albergo a piedi sbirciando vetrine illuminate e pensando all’estate che lentamente si consuma.
Nel mio cuore io sono una traduttrice e basta, nel mondo reale viaggio su due binari paralleli, e non è poi così sbagliato.

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