Marzo.
La traduzione finita, limata e limata, alla ricerca di eleganza e sveltezza, cercando di non trascurare i significati e non facendo mai - guai - trapelare quanto le idee dell'autore siano distanti dalle mie. Sono abbastanza soddisfatta e, naturalmente, mi rimane il famoso lutto da elaborare per tutto quello che, purtroppo e inevitabilmente, da una lingua all'altra si è perduto.
Così stasera sono uscita, dopo due mesi che nemmeno ci provavo, facendo a botte col mio sonno e con la ritrosia che mi contraddistingue ultimamente.
Le amiche e gli amici, ognuno col sorriso migliore, ognuno con un dolore personale, ognuno felice, a modo suo, di essere lì in quel momento. Guardavo tutti in faccia e mi dicevo che mi sa che è questo quello che ci rende speciali. Non siamo persone che si srotolano al primo colpo di vento, ma siamo felici di vivere un attimo, anche quando la settimana o il mese è stato difficile. Questa è una cosa che vedo sempre meglio e che riesco ad apprezzare in ogni sua sfaccettatura, ogni volta che la colgo.
Perché la cosa che vorresti fare in realtà è buttare delle braccia al collo e non parlare nemmeno, ma c'è l'autocontrollo che c'è, e poi c'è anche tutta questa gente intorno. Va bene così.
Credo.
Perché poi ci sono quei momenti in cui no, non è così.
Tipo quando ti tamponano alle tre di sabato pomeriggio e ti prendi una paura boia, e impugni il telefono con l'impulso di fare dei numeri. E non li fai.
Oppure quando tua madre, con lo stesso tono di quando ti spiegava che gli spinaci sono brutti ma fanno bene, ti dice una cosa un po' allarmante. Ti rassicura e tu le credi, ma te lo ha detto con la faccia della hostess che sorride durante una turbolenza e non hai voglia di fidarti troppo.
In casa è fiorito il mughetto, fuori si muore di freddo, piove e -Povera Patria- la primavera intanto, tarda ad arrivare.
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