lunedì 5 novembre 2007

Novembre

Fa un caldo strano, un caldo da estate di San Martino, ci sono le finestre spalancate e i panni stesi e di contro tutte queste foglie gialle dappertutto (e viene subito in mente una di quelle poesie* che ti fanno imparare a memoria alle elementari che allora odiavo e mi faceva tristezza e che invece a ripetersela adesso suona piena di musica e silenzi).

Ho rifiutato la proposta di un lavoro che sarebbe stato molto remunerativo perché semplicemente le ore della settimana non bastavano, e questo mi rende molto inquieta.
Non so se era un’occasione, se lo sarà, ma quando le mie forze non sono sufficienti io mi sento un po’ sbagliata da qualche parte, difficile spiegarlo diversamente da così.

Le mie scelte sono sempre un po’ imperfette, io sono sempre un po’ inadeguata rispetto a quello che vorrei da me. Qualcuno direbbe che da me stessa pretendo quasi l’impossibile (qualcuno l’ha detto e io mi sono subito sentita in difetto di nuovo e lo scopo non era affatto quello) io dico sempre che faccio quello che devo, e poi quello che posso.

A queste riflessioni segue un pomeriggio passato a sfogliare le pagine di un vechio diario che mi è capitato per le mani mentre cercavo un’altra cosa e a chiedersi come diavolo sono venuta fuori da certi pantani mostruosi in cui mi ero cacciata. Certe cose sono molto lontane adesso, ma a rileggere provo lo stesso smarrimento di allora e il dolore, quello me lo ricordo, vivido come se fosse successo tutto ieri.

Quello che mi salva in questo periodo sono i progetti. Ne ho tanti, uno per ogni dito delle mie mani, mai avuti tanti progetti e desideri tutti insieme. Forse è per questo che nonostante tutto sento una vena di ottimismo pulsare piano piano ma costante, in mezzo alle scartoffie e alla fatica.

*Gemmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l'estate,
fredda, dei morti.

Giovanni Pascoli, Novembre.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non voglio che ti allontani,
dolore, ultima forma
di amare. Io mi sento vivere
quando tu mi fai male
non in te, né qui, più oltre:
sulla terra, nell'anno
da dove vieni
nell'amore con lei
e tutto ciò che fu.
In quella realtà
sommersa che nega se stessa
ed ostinatamente afferma
di non essere esistita mai,
d'essere stata nient'altro
che un mio pretesto per vivere.
Se tu non mi restassi,
dolore, irrefutabile,
io potrei anche crederlo;
ma mi rimani tu.
La tua verità mi assicura
che niente fu menzogna.
E fino a quando ti potrò sentire,
sarai per me, dolore,
la prova di un'altra vita
in cui non mi dolevi.
La grande prova, lontano,
che è esistita, che esiste,
che mi ha amato, sì,
che la sto amando ancora.
Pedro Salinas

cassandra ha detto...

bella! ;)