lunedì 14 maggio 2007

ore piccole

niente, stasera non combino niente.
Leggo, rileggo e rileggo, ma la mia mente si svuota in cinque minuti e ricominciare da capo sembra non servire a niente.

Ieri sera la galoppata fino alle tre di notte per finire la traduzione da consegnare stamattina, stamattina i problemi con internet e altro tempo perso dietro alla spedizione del testo.
Poi un pomeriggio di lavoro come non ne ricordavo da un bel po': clienti acide, ordini da evadere, nuovi arrivi da riprezzare e risistemare.
A cena, dopo un paio di chiacchiere con le coinquiline e una razione di riso e insalatina mi sentivo come se mi fossero cadute addosso tonnellate di mattoni. Gambe molli, palpebre impastate, e ancora tre ore di lavoro alla tesi in programma.
Ed eccomi qui: fuori, dietro quel buio, è estate. L'aria tiepida, i profumi la brezza. Dentro, alla luce del lume sulla scrivania, la bottiglia d'acqua a metà, il posacenera da svuotare, i gomiti incastrati fra i libri.
Non è nemmeno voglia di uscire a divertirmi la mia. E' una stanchezza fatta di minuti chilometrici e fogli gialli.

Venerdì scorso, in modo totalmente inaspettato rispetto alle mie previsioni, ho dovuto affrontare dei discorsi su me stessa che mi hanno sempre fatto una paura nera.
Ne sono uscita spossata e barcollante, ma incredibilmente abbastanza lucida e per niente imbarazzata. Non è stato facile. Mi sono accorta distintamente che mentre parlavo muovevo un indice in cerchio sul tavolo davanti a me come se stessi tracciando un disegno. Seguivo un corso di pensiero che si trasformava in parole precise e nude, e la prima sensazione che ho provato è stata lo stupore.
Perché le frasi escono così bene, così facilmente incatenate al significato? Quando le ho formulate in un modo così chiaro da potersi tradurre in una discussione?

Mi chiedo da quanto tempo tutto sia lì fermo a sedimentare. Un vino invecchiato che rischia di trasformarsi in aceto e va bevuto tutto d'un fiato prima che vada perduto.

Nessun commento: