Una serata di chiacchiere prima del fine settimana, in cerca di un po' di sollievo dal caldo torrido della città, poi un vecchio film poi il sonno.
Ho sognato, ho fatto un sogno buffissimo, in cui ero a una festa a casa di un pubblicitario nella New York anni ottanta, e tutti eravamo vestiti à la Hepburn e con un Martini in mano.
C'era anche una piscina, e sprofondata su una poltrona rossa c'era Fernanda Pivano, con la quale non smettevo di chiacchierare che mi ascoltava e rispondeva sorridente.
(E' un saluto ufficiale, il mio, perché in un modo molto particolare le ho voluto bene, e in fondo è un pezzo di storia che se ne va. )
Firenze è ufficialmente un forno: dalla mia finestra entrano folate di aria bollente, io mangio solo insalata e non perché faccio la dieta, ma perché non riesco ad accendere il fornello quasi neanche per farmi un caffè. Intanto penso alle letture da fare e compro all'usato vecchi classici del jazz per cancellarli dall'hard disk e averli nella loro veste reale, di plastica e copertina e ringraziamenti in fondo.
Mi sento rabbiosa eppure bene, ho ancora il mare negli occhi ed è un segno buono, perché quando il mare mi accompagna e mi fa rinascere e non mi lascia amara e malinconica vuol dire che le cose sotto sotto sono a posto.
Certo molto sotto, perché nel mezzo mi arrabbio e sbraito e sudo e penso a chi me lo fa fare, di essere così vigile, invece di lasciare scorrere le cose e lasciarmi prendere dalla serenità che ogni tanto cerca timidamente di bussarmi alla porta.
Per ora non apro, ma credo nell'autunno, e in tutto il vortice di caos e impegni che si annuncia.
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