Sono passati molti giorni prima che riuscissi a rimettere insieme due pensieri da scrivere dopo gli avvenimenti tragici del mese di giugno. Una notte ho scritto una lettera alla mia amica M., così sconclusionata che non riesco a rileggerla, e mi sono resa conto solo lì che questa cosa non la sapevo affrontare.
E' proprio come dicono: gli esseri umani sono preparati ad affrontare la morte di qualcuno che è anziano, o di qualcuno che è malato, ma la morte improvvisa, inspiegabile, in giovane età e per motivi che restano e resteranno ignoti, non fa parte delle capacità di cui siamo dotati. Oppure di cui sono dotata io.
A dispetto del mio ateismo, della mia mancanza di fede, della mia ritrosia nei confronti del pensiero di un "altrove" o di un "dopo" ho sempre pensato che la vita fosse un dono e allo stesso tempo una responsabilità. Ho riletto il dialogo di Plotino e Porfirio [...non volere esser cagione di questo gran dolore agli amici tuoi buoni, che ti amano con tutta l'anima; a me, che non ho persona più cara, né compagnia più dolce. Vogli piuttosto aiutarci a sofferir la vita, che cosi, senza altro pensiero di noi, metterci in abbandono. Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Si bene attendiamo a tenerci compagnia l'un l'altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita. La quale senza alcun fallo sarà breve. E quando la morte verrà, allora non ci dorremo: e anche in quell'ultimo tempo gli amici e i compagni ci conforteranno: e ci rallegrerà il pensiero che, poi che saremo spenti, essi molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora.] e mi sono sentita consolata da quel ragionamento cristallino, che tuttavia si conclude semplicemente con un'affermazione che sta al di fuori della ragione e cioè che non si può privare chi ci ama del conforto della nostra presenza, della consolazione che può derivare dall'essere sulla stessa barca amandoci e consolandoci delle fatiche che ci vengono incontro. Eppure c'è un territorio dove non so andare: quello di un dolore così grande che fa dimenticare tutto il resto e tutti gli altri.
Non posso parlare del mio dolore, perché è solo egoismo a questo punto. E poi è stato così forte che non ho potuto esprimerlo, né lo so esprimere ora, né lo voglio, perché ho paura che se viene fuori non riuscirò più bene a camminare dritta. So, però, che il mio istinto "naturale" mi ha spinta verso la vita, senza che quasi me ne rendessi conto, nel bel mezzo di una traduzione noiosa mi sono infilata in cinque minuti sul sito di ryanair e ho comprato un volo per andare a vedere le mie nipoti.
Che sono bellissime, piene di gioia, di risatine e curiosità verso il mondo. Che si fanno abbracciare e stropicciare da una zia che vedono ogni sei mesi, perché probabilmente ci piace il nostro odore.
Quando la più grande mi ha portato il suo libro e mi si è seduta in braccio come per dire "ora leggi", mi sono sentita così emozionata che avrei voluto chiamare tutti per mostrare cosa stava succedendo.
In realtà non stava succedendo una cosa straordinaria, era solo fiducia, e mi sono trovata a pensare che anche solo per vivere un istante del genere, anche se dura solo un secondo, vale la pena di restare in giro e tollerare le umane sofferenze.
Passerà molto tempo prima che riesca a farmi una ragione di quello che è accaduto, forse una ragione non me la farò mai e dovrò vivere con questo enorme "perché?" depositato in fondo al cuore. Nel frattempo, ogni giorno dedicherò un pensiero a tutto questo, cercando di non essere troppo arrabbiata e cercando di non sentirmi in colpa, che è la trappola peggiore, la prova più difficile da affrontare.
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