sabato 7 febbraio 2015

Diario

Non è che non abbia avuto voglia di scrivere in questi mesi.
Ne ho voglia sempre, ho sempre diecimila fogli in borsa e diecimila idee in testa.
Mi è solo mancato il tempo per tirare le fila di tutto quello che ho fatto.
Intanto mi dico brava, perché ho lavorato dieci mesi di fila dalle 9 alle 20 senza sosta, con in mezzo un Natale in negozio e le scadenze dei libri che dovevano uscire. E con la sveglia, ogni giorno, alle 6.30: in barba a tutti quelli (fra gli altri me stessa) che non pensavano che le levatacce quotidiane si potessero combinare con la mia insonnia.

Lo devo dire: è stato bellissimo. 

Ho conosciuto autori, letto libri magnifici, compilato indici, scelto immagini per le copertine, fatto pasticci, imparato da tutti: dalla direttrice, dai grafici, dai compositori, dalle colleghe di redazione e di magazzino. Ho passato ore sugli autobus studiando la gente e leggendo senza sosta, ho bevuto decine di caffè della macchinetta e mangiato quando me lo ricordavo. Non mi sono annoiata nemmeno un momento, non mi sono pentita nemmeno un momento.
Ho ricevuto stima e affetto e la promessa di lavorare ancora.

Adesso che sono fuori dalla bolla, riprendo lentamente le forze. 
Molto lentamente.
Riprendo i miei progetti che sembrano avere ancora un futuro, e mi porto a casa ogni sera un lavoro che non volevo lasciare a metà.
Come se fosse un cerchio che si chiude, è un lavoro su un bellissimo diario, il lungo diario di un famoso intellettuale.
E non potevo chiedere una chiusura migliore: leggere pagine e pagine di vita di una persona interessante e capire - ancora più profondamente di quanto non lo abbia sempre percepito istintivamente - che la vita è scrittura, è narrazione, e a volte per leggersi dentro bisogna davvero fare un passo fuori da noi stessi.




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