giovedì 8 maggio 2008

wet paint

Oggi mi hanno chiesto trecento volte "che hai fatto di bello a New York?"
E naturalmente non so da che parte cominciare. Potrei cominciare dalla fine e dire che, intanto, ho comprato questo meraviglioso computer con cui sto scrivendo da sotto le coperte (grossa soddisfazione, conto in rosso, ma felice). Poi potrei parlare dei musei, dei concerti, delle ore a camminare. Ma di New York quest'anno mi hanno colpito soprattutto le persone. La gente all'ostello prima di tutto. Un matematico che passa tutte le sante notti a calcolare e calcolare su pacchi di fogli a quadretti -e chissà che risultato vuole ottenere, mi ha fatto pensare al calcolatore di guida galattica per autostoppisti, mi veniva da dirgli ok, fermati, la risposta è 42!- tenero, pacifico, simpatico. Strano, anche. Con un aspetto dimesso e un po' trasandato, e buste piene di giornali sempre dietro.
O la traduttrice dal ceco, una signora elegante e coi capelli bianchi con cui abbiamo condiviso una serata di chiacchiere e un gelato confezionato. O il gestore dell'ostello, che si commuove quando partiamo. O il gruppo di giapponesi al tavolo accanto, al ristorante, che festeggiava il viaggio del padre anziano fino a New York ("I told 'im: dad! first you visit New York, Then you visit heaven!" diceva il figlio un po' ubriaco sganasciandosi dal ridere) che per allargare i festeggiamenti ci hanno offerto un bicchiere di sakè. Gente in metropolitana e colori dappertutto, facce, miscugli etnici di una grazia meravigliosa, e poi tulipani dappertutto, in ogni aiuola di ogni angolo di strada. Fiori ovunque.

Non so, forse fra un po' mi verrà voglia di raccontare anche i concerti e le serate ed un ristorantino vicinissimo alla Bowery Ballroom con due tavolini fuori e un sacco di bella gente che è stata la prima vera accoglienza della città, dopo una giornata passata a prendere il sole a Central Park.
Per adesso però negli occhi ho solo colori, e la vernice è ancora fresca.

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