lunedì 25 ottobre 2010

cristallo


A chi serve tutto questo parlare.

Tutto questo analizzarsi, tutto questo capirsi, scorticare le emozioni fino a vederle nude e crude, tutto questo darsi torto continuamente, punirsi, ricredersi, assolversi, sentirsi comunque addosso nuvole di domande che fluttuano e si depositano come foglie di tè sul fondo della tazza.

Sotto casa, nella via cieca dove abito, macchine parcheggiate e autoradio accese con gente che bisbiglia. Pozzanghere di acqua gelida che riflettono lame di luce storta. Le auto della polizia stradale che ordinatamente rientrano in caserma.

Nel silenzio della notte fra sabato e domenica ho fatto la cosa più difficile del mondo. Ho tolto dagli scatoloni i cd e li ho sistemati tutti nella libreria, uno per uno, a un anno dal trasloco.

Dopo aver concluso l’operazione, ore 4:38 del mattino, ho saputo con certezza perché avevo aspettato tanto a decidermi a compiere questo passo. Lettere, biglietti, foto, date, parole che saltavano fuori come coriandoli da una busta, totalmente incontrollate e totalmente inaspettate. Roba che non ha ancora trovato un posto dentro questa casa, che forse non ce lo troverà. Roba che non ha un posto da nessuna parte: nessuno la conosce e i pochi che la conoscono non la ricordano, allora a chi serve rileggere, cercare di capire e mettere a nudo tutto? E se non serve, cosa fare con quella mole sproporzionata di ricordi che son già perduti, perché impossibili da condividere?

Alla fine, eccola, la libreria colorata piena di dischi che sognavo da anni. Tutto spolverato e ordinato alfabeticamente. Tutto: senza censure, senza accantonamenti di sorta. Un percorso iniziato nel 2001, anno in cui mi fu regalato il mio primo lettore cd.

Tutto quel che non era musica, spolverato, ammucchiato, e chiuso dentro una scatola l’ho messo, alla fine, in uno scaffale in alto. Una specie di terra di mezzo delle decisioni sospese. Poi mi sono seduta in poltrona e ho iniziato a leggere il nuovo romanzo della Byatt.

Ho pensato che quel momento mi piaceva, e che ero stremata.

Brava biondina.

La polvere, quella accumulata e tolta col piumino, non è volata fuori dalla finestra come avrebbe dovuto. L’ho ingoiata io.

venerdì 15 ottobre 2010

senza pudore


Il mio shampoo si prende gioco di me.
C'è da dire che io glielo permetto: ieri al supermercato davanti a quella fila di bottiglie ho scelto proprio quella, e credo di averla scelta apposta per quel colore spudorato, un po' da adolescenza, un po' un hello kitty da grandi (ma cosa dico), e un po' me lo aspettavo profumoso e lucido anche dentro. Quello che ignoravo è che il colore spudorato della bottiglia fosse lo stesso di quello del liquido, cosa che mi ha messo un po' di apprensione.
Ma la cosa più assurda è l'etichetta che dice:
"Lasciami accarezzare i tuoi capelli con il mio abbraccio di seta" e poi "applicami e massaggia fino ad ottenere una schiuma cremosa. Stupisciti con un lungo oooh! Poi risciacqua e ripeti (anche l'oooh!)."

Ora dico io.

Dopo questa lettura ho acceso la radio e mi sono messa all'ascolto di Uomini e camion.

lunedì 4 ottobre 2010

up

Un mucchio di palloncini vola via dalle mani di un bambino e corre in cielo, in un cielo d'ottobre limpido, che sembra dipinto. Un bambino è caduto e si è sbucciato. Un altro insegue la sua amica sotto lo scivolo, poi si stufa e dà un calcio al pallone. Io vado a vedere la mostra del Bronzino, evento cittadino dell'autunno, la trovo interessante, esco con parecchi pensieri e due cartoline che sono già sul frigo. Per le sale di Palazzo Strozzi c'era anche Paolo Poli, elegantissimo e molto bello, che andava avanti e indietro da una tela all'altra e si soffermava poco su ciascun quadro. In negozio il figlio del Capo mi racconta tutta una storia su una casetta con gli uccellini e mentre lo fa è tanto assorto che mi accarezza le dita della mano una per una, poi un po' le stringe e un po' le accarezza di nuovo, finché la mamma non lo chiama per andare e allora lui si interrompe e cambia discorso mentre si incammina fuori. E' un bambino tenero. Come tutti i bambini mentre ti racconta qualcosa segue un suo filo mentale misterioso che io trovo affascinante, potrei starlo a sentire per delle ore. Chissà, forse sono io che regredisco.
Tutto questo, più un pranzo in campagna a base di tortelli mugellani, succedeva negli scorsi tre giorni. Oggi no, oggi piove, di uscire non se ne parla allora metto un po' a posto in casa e sento tutti i possibili telegiornali che ci sono alla radio. Ho anche ballato un bel po' mentre lavavo i piatti e ascoltavo un disco, fra un telegiornale e l'altro.

Mi dicono che è questa la mia vita che la devo accettare così com'è perché è questa, punto e basta. E io ci credo, che devo fare. Desiderare le cose è impossibile, quindi mi tengo quelle che ho, che sono queste cose, questo bel giardino che mi porto dentro e la pioggia fuori e quei trenta secondi in cui mi è venuta voglia di correre dietro ai palloncini che fuggivano via e fare come il signor Fredricksen per vedere un po' dove andavo a finire.