domenica 3 novembre 2013

alla Barriera delle Cure

Il quartiere dove vivo, per molte cose, ancora è riconoscibile in questa descrizione, dolcissima.

Per virtù di quella rapida decisione, tre mesi dopo io mi trovava dalla parte opposta della città in quelli ch'erano, e sono ancora, i quartieri nuovi di Firenze, alla Barriera delle Cure, o "alle Cure" solamente, come dicono i fiorentini; dove i poderi avevano da poco iniziato a esser lambiti, manomessi, disseminati e invasi dalle costruzioni nuove. 
     Addio palazzi grandi e austeri, severità e magnificenza di architetture, pura grandezza delle linee, tettoie, capitelli, cornici: un'altra vita, un'altra luce, un'aria diversa. 
   Casette candide, variopinte, rosee o azzurrine, fra orticelli e giardinetti; persiane verdi, tetti rosseggianti o di corallo, cancellate, muricciuoli, terrazzini; fronde fiori e frutti; aiole bordate di fragole o violette, olezzo di cedrina e di menta, tralci di rose espansive che si sporgono dall'uno all'altro giardino o vi tendono l'occhio curiose; crosciare di cannelle, sgocciolio di acque, sbattere e posare di annaffiatoi; gorgheggi di uccelli e fanciulle, urla e risa di bimbi e pianti e cani che si mischiano alla loro allegria; passi vellutati di gatti sopra i muri di confine, tubare di colombe alle grondaie, crocchiolar di galline, frulli d'ali; lo stillicidio del pianoforte percosso da dita esili e incerte, il legno dolce d'un violino, una palla che evade inseguita da un grido; intrecciarsi d'occhiate e di sorrisi, di saluti, di richiami e conversari intorno a queste case che sembrano talune di legno o di cartone, fatte per le bambole, che giuocano e civettano al sole e gli ridono a bocca spalancata come se facesse loro il pizzicore, e tutte le possiede; che il temporale schiaffeggia e scarduffa, e fa rannicchiare ad occhi chiusi, trepidanti e silenziose. Vita che oggi mi fa pensare a un San Francesco dipinto sopra una scatola di confetti. 

Aldo Palazzeschi, Stampe dell'Ottocento, Firenze, Vallecchi 1957.