martedì 30 dicembre 2008

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enough for tonight.

venerdì 26 dicembre 2008

natale

Penso per immagini.
La più ricorrente, tanto che l’ho anche sognata, è la veduta di Delft di Vermeer.
Poi immagini notturne.
Poi un taxi, preso in mezzo al traffico, impazzito per la costruzione della tramvia.
Una finestra illuminata da un lampione.
Un marciapiede coperto di foglie inzuppate dalla pioggia.
Un volto guardato in controluce.
Un cappello di velluto rosso con una grande rosa applicata su un lato.
Parole stampate su una pagina.
Le briciole dei crackers sulla tastiera del computer.
E quella notte passata a cercare di dormire guardando un cruciverba già finito, a cui mancavano solo due caselle.

Quante volte, chiedevo alla mia amica due giorni fa, quante volte si possono distruggere le cose, farle a pezzi, e poi avere di nuovo la voglia di ricominciare a metterle insieme? Quante volte, nella vita di un essere umano, il castello di carte può essere buttato giù e ricostruito?

Tante, diceva lei. Tutte quelle che vuoi.

lunedì 15 dicembre 2008

fuochi


Sono in mezzo a tantissimi fuochi.
Tanti, tantissimi, troppi fuochi.
E in mezzo a tutti questi fuochi che faccio? Quello che si fa in questi casi.
Brucio. In diverse maniere. Ardo, mi infiammo, mi consumo. Nei momenti migliori c'è solo brace e calore. Nei peggiori un vero e proprio incendio.

Ci sono cose che mi aiutano.
Cose come questa.

The misery of us that are born great!
We are forced to woo, because none dare woo us
And as a tyrant double with his words
And fearfully equivocates, so we
Are forc'd to express our violent passions
In riddles and in dreams, and leave the path
Of simple virtue, which was never made
To seem the thing it is not. Go go brag
You have left me heartless; mine is in your bosom:
I hope 'twill multiply love there. You do tremble:
Make not your heart so dead a piece of flesh
To fear, more than to love me.Sir be confident:
What is't distract you? This is flesh and blood, sir;
'Tis not the figure cut in alabaster
Kneels at my husband tomb...

Miseria di noi che siamo nate grandi!/Costrette a corteggiare perché nessuno osa farlo lui./E come un tiranno ricorre ad ambigue parole/E spaventosi equivoci, così noi dobbiamo/ manifestare le nostre violente passioni/per enigmi o con sogni, abbandonando il sentiero/della semplice virtù, che non è fatta/per sembrare ciò che non è. Vantatevi dunque, vantatevi/di avermi strappato il cuore; il mio è nel vostro petto,/ove spero faccia crescere l'amore. Voi tremate:/non fate del vostro cuore un pezzo di carne così morto/da ridurlo a temermi più che amarmi. Coraggio signore,/questa non è una statua scolpita nell'alabastro,/inginocchiata presso la tomba del suo sposo... [The Duchess Of Amalfi, trad. Anna Nadotti in La vergine nel giardino]

lunedì 8 dicembre 2008

two nights

Ho sognato che guidavo, di notte, e delle luci mi passavano sul viso ogni tanto.
Una specie di chiarore illuminava a tratti la strada, una strada in campagna molto stretta. Nel sogno ero sola in macchina e sapevo di dover arrivare da qualche parte urgentemente. Un luogo lontano. Sentivo l’ansia crescere mentre le luci continuavano a passare e intorno non c’era nessuna traccia di niente a parte l’asfalto e i campi.
A un tratto mi dovevo fermare.
Per la stanchezza e per la paura di non andare nella direzione giusta, mi dovevo fermare.
Scendevo dalla macchina nel buio della notte e mi accorgevo che le gambe mi tremavano e la vista mi si appannava e tutto intorno girava vorticosamente. E mi rendevo conto di essere completamente ubriaca. Ubriaca e impaurita. Eppure dovevo guidare ancora. Dovevo andare.
E così ripartivo, con la paura raddoppiata ma la sensazione di non poter sostare più, fino all’arrivo.
E ricominciava la strada e le luci, la strada e le luci.

E’ un sogno semplice.
Stamattina, da sveglia, sapevo benissimo anche quale era quella strada. Conoscevo quei luoghi.
E’ stato angosciantissimo, ma non tanto strano.
Mi ha fatto pensare che è davvero così che mi sento. Come se fossi completamente ubriaca, con i sensi amplificati, attentissima ad ogni rumore e ad ogni cosa che vedo o annuso. Eppure in una situazione rischiosa.
Con una meta, ma con chissà quali pericoli e incognite per strada.

lunedì 1 dicembre 2008

Fin qui


La pioggia cade con una violenza tale che mi impedisce di sentire le parole del film che sto guardando.
Ho iniziato a fare la pendolare sui treni regionali Firenze-Pisa.
Ho iniziato a studiare una cosa nuova.
Ho capito quanto sia fragile il mio sonno.
Ho comprato una grossa radio sveglia con dei numeri rossi giganteschi che si iflettono sul soffitto.
Ho capito che non digerisco la pizza la sera.
Oggi ho corso così forte ma così forte che quando mi sono fermata mi girava tutto mi ronzava la testa e le gambe mi tremavano. Però c'erano. Le gambe, quindi, a quanto pare ancora mi reggono.


queste le certezze, fin qui.

lunedì 17 novembre 2008

lunedì mattina

Son giorni di cambiamento, il 2009 si avvicina al galoppo, nel magico mondo delle candele c'è già un albero di un metro e ottanta montato, con le lucine e gli addobbi nuovi, io ho superato lo scritto del master e quindi comincio fra poco, (diventerò sponsor ufficiale di trenitalia) l'amico di sempre ha trovato un lavoro all'estero in dieci giorni e se ne sta andando, l'amica a cui ho fatto visita ieri cominciava oggi il suo nuovo lavoro con contratto a tempo indeterminato, si sente profumo di cose che cambiano, oltre che di bagnato e di foglie secche.

E Roma, Roma è incantevole, mi resta sempre la voglia di starci a lungo, senza dover correre dietro agli orari per riprendere il treno e pensare, mentre stramazzo sul sedile, appena scaricate le borse, che bello sarebbe stato avere ancora una sera...

Se i miei piani funzionano il prossimo anno forse questo accadrà.
Per ora mi limito a pensare che vorrei essere un po' meno stanca e conoscere meglio certi autori, quindi leggo, leggo, leggo.
Riprendo volumi abbandonati da tempo e riscopro la bellezza di certe parole lasciate a metà.
E quando la solitudine mi aggredisce, e quando le domande sono difficili, mi siedo, accendo una sigaretta e penso che posso riuscire a far funzionare tutto, posso anche trovare il coraggio, se voglio, di rimettere a posto la mia camera, ridotta a un informe accumulo di vestiti appallottolati negli angoli, borse disfatte, sacchetti e carta da riciclare, basta non farsi prendere dal panico.

mercoledì 12 novembre 2008

sappiamo tutto, eppure non ne sapremo mai abbastanza

Da La Repubblica del 12 Novembre 2008

Diaz, l´ultima immagine dello scandalo
ecco l´uomo che porta le molotov

In una ricostruzione della Bbc si vede un uomo che introduce nella scuola le bottiglie incendiarie

di Massimo Calandri

Eccola la fotografia-simbolo di quella notte maledetta . Inedita. Oscura. Inquietante. È stata estrapolata da un filmato girato da un operatore Rai e depositato dalle parti civili il mese scorso. Nel mosaico riportato qui a fianco, è il quadrato sulla destra in alto. Si riconoscono il cortile della scuola Diaz, le sagome dei funzionari di polizia che si allontanano dopo aver chiacchierato a lungo intorno al sacchetto azzurro con le due bottiglie incendiarie. Sullo sfondo le grandi finestre dell´istituto, le stanze illuminate. E a sinistra - piccolino, cerchiato di rosso - il profilo di un uomo sulla soglia dell´ingresso laterale. È di spalle, in borghese, indossa un casco protettivo. Nella mano sinistra stringe qualcosa. Sì. È il sacchetto azzurro delle molotov. Accanto riporta una didascalia in inglese, perché l´immagine fa parte di un´inchiesta giornalistica della Bbc di prossima pubblicazione: «Naples Digos Inspector entering Diaz Pertini». Si tratta cioè del fantomatico ispettore della Digos di Napoli che introduce materialmente nella scuola le molotov della vergogna, una della prove fasulle - la "regina" delle prove false - con cui la Polizia di Stato avrebbe voluto "giustificare" il massacro e le manette ai 93 no-global.

Il documento è paradossalmente eccezionale. Perché da un lato rappresenta il punto di non ritorno della vicenda: ecco come le forze dell´ordine hanno truccato le carte, barato, mentito fin dalla prima ora di quella notte dannata. È tutto vero: fu un pestaggio cinico e bestiale, e i servitori dello Stato preferirono raddoppiare l´orrore - aggiungendo alla carneficina l´ingiustizia della prigione - piuttosto che ammettere le proprie responsabilità, il fallimento. Ma d´altro canto, quella spaventosa bugia è così chiara, solare, che persino alcuni avvocati della difesa nella loro recente arringa la davano per scontata. Alla Diaz abbiamo imbrogliato, embé?
La catena è stata definitivamente ricostruita nel corso di quasi quattro anni di dibattimento e centocinquanta udienze.

L´agente Michele Burgio prende le due molotov - che erano state sequestrate nel pomeriggio durante gli scontri di corso Italia dal vice-questore Pasquale Guaglione, e da lui affidate a Valerio Donnini, padre degli specialissimi nuclei anti-sommossa e capo di Burgio - e nel cortile della scuola le consegna al vice-questore Pietro Troiani. Il funzionario le mostra al collega Massimiliano Di Bernardini. Poi entra in ballo Gilberto Caldarozzi, l´uomo che qualche anno dopo avrebbe partecipato alla cattura di Bernardo Provenzano. Qualche minuto più tardi, il sacchetto azzurro delle molotov è impugnato da Giovanni Luperi e mostrato agli altri super-poliziotti che gli si fanno intorno. E questa, di immagine, la conosciamo bene. Quello che succede dopo ce l´hanno raccontato gli stessi protagonisti in negativo del blitz. Luperi, attuale direttore dell´ex Sisde, ricorda di aver chiamato una funzionaria che stava all´esterno della scuola. Perché mai? Per affidarle il reperto, che pure in quel momento - visti gli sviluppi successivi - aveva una straordinaria importanza investigativa. Bene: Luperi chiama Daniela Mengoni e le dice di avere cura delle molotov. E la Mengoni che fa? A sua volta chiama un sottufficiale. «Credo fosse un ispettore della Digos di Napoli».

Credo, dice. Non ne conosce il nome, non è in grado di riconoscerlo. Nessuno degli ispettori Digos napoletani, rintracciati anni dopo dai magistrati, corrisponde a quello indicato dalla donna. E dunque, con lui e il sacchetto si avvicina all´entrata secondaria della scuola Diaz. Chissà perché. Si avvicina, e gli affida la prova «regina». Le molotov, che il nostro codice equipara ad armi da guerra. La prova intorno alla quale avrebbero poi giustificato l´intera operazione. «Tienile un momento, che devo fare una cosa». Lo molla lì. Quando torna, le bottiglie incendiarie saranno allineate sul lenzuolo che ospiterà il resto dell´"arsenale" sequestrato ai fantomatici Black Bloc della Diaz: i coltellini multiuso, le sottile anime in alluminio degli zaini fatte passare per spranghe, gli assorbenti femminili, la biografia del reverendo Jesse Jackson fatta passare per materiale "eversivo". E i picconi, le mazze rubate da un vicino cantiere.

martedì 4 novembre 2008

Dr. Biondina

(...And so it is
just like you said it would be...)

giovedì 16 ottobre 2008

mentire


Lo riconosco, l'amore quando lo vedo.
Il mio zio che sorridente mi guarda e chiede "allora! Come va! Quanto sei felice?"
Quello è amore. Di un tipo semplice e ingenuo. Non potergli dire "sì, sono felice" per me è una sconfitta.
Riconosco l'apprensione, quando la vedo. Quel modo di guardarmi dentro della mia amica quando sa che sto per piangere ma trattengo tutto sotto la frase "in qualche modo sistemerò tutto" è apprensione. Anzi è apprensione+amore. Vorrei dirle quanto le sono riconoscente.
Non ne sono capace.
Mi consolo sapendo che lei, in fondo, questo lo sa.

La sensazione generale è quella di essere inciampata, caduta ed essermi spaccata i denti sul selciato.
Non chiedetemi come sto, così non dovrò mentire.

sabato 4 ottobre 2008

A winter's tale


la biondina è uscita dal metro, trascinando la sua pesante borsa -rigorosamente verde- carica di scartoffie, libri, telefoni e relativi caricabatterie, e altra roba tipo pacchetti di caramelle a metà, bottigliette d'acqua, scontrini usati, sigarette, quattro mazzi di chiavi, cinque penne (tre verdi) e quattro matite di cui una spuntata, fazzoletti, una busta con dei trucchi e uno spazzolino da denti, e altri oggetti inutili.
vestita solo di un velo di tristezza nuovo di zecca, di una collana a maglie fitte con un ciondolo al centro e del suo profumo di fiducia.
Stanca. La biondina non è mai stata così stanca in vita sua. Ci pensa solo un istante prima di ripartire per un nuovo viaggio alla ricerca di caffè per tenersi in piedi e versi in rima per tenere il ritmo.

Intanto si avvicina l'inverno.


giovedì 18 settembre 2008

la biondina nel metro


tutto sembra vagamente impreciso.
La giornata passata interamente sui tacchi alti (l'ultima presa di posizione della biondina dopo le vacanze) si risolve in un prolungato sospiro di sollievo quando li sfilo dopo le ormai consuete dodici ore distanti dalla mia camera. 
L'abbigliamento, fatto di strati di diversa pesantezza per ovviare al caldo delle due di pomeriggio come al freddo dell'ora dell'aperitivo e poi al gelo del ritorno in motorino intorno alle undici, si rivela un' armatura quando fa caldo e un velo di cipolla quando fa freddo.
La tesi sembra ogni volta finita ed intoccabile, ed ecco che salta fuori una discordanza di tempi dei verbi, una leggerezza di scelta di vocabolario o, peggio, un errore in bibliografia o nelle note.

Tutto si trova leggermente fuori asse.

Ho imparato a conviverci, in questi giorni. 
Ho imparato molto in questi giorni.
Sto diventando un mostro di senso pratico e allo stesso tempo -figuriamoci se non succede una cosa e il suo opposto insieme, in questi giorni- sto fantasticando alla velocità di un treno lanciato a tutta birra nello spazio.

Leggo, più del solito.
Come al solito, con la presunzione che mi contraddistingue, quando leggo pensieri di Frederica Potter, mi sembra che qualcuno mi abbia spiata e si diverta a parlare di me al resto del mondo.

Arriva a scuola stringendo tra le mani la lezione su amore e matrimonio in Forster e Lawrence. Il viaggio in metropolitana la rincuora. Ci sono tante persone, tante facce, tante vite possibili. Persone reali, sebbene la moda imperante spinga molte ad assomigliare a bambole pallide con occhi tondi e bocche lucide. Crani calvi e acconciature a cupola, chiome fluenti e ispide creste, berretti dei Beatles e cappellini impermeabili, semicerchi di plastica trasparente a pois cremisi e smeraldo, porpora e arancio, fermati su capelli grigi da nastri annodati sotto menti flaccidi. Lì si sente sicura e anonima, e tutti sono interessanti.

Antonia Byatt, La torre di Babele


martedì 9 settembre 2008

dubbi


c'è un ragno enorme, delle dimensioni di una tarantola, che mi guarda dal soffitto, esattamente perpendicolare alla mia testa.
Non ho paura dei ragni in realtà.
Temo un po', che ne so, che perda l'equilibrio e ci troviamo a una involontaria colluttazione notturna.

Che si fa in questi casi?
NON si uccide
NON si scuote giù con la scopa (perché se cade nel letto e non lo trovo più sto con più ansia di prima)
NON si convince con la dialettica a spostarsi di lì (già provato.)

E' bello interrogarsi su certe cavolate di martedì alle nove, appena rientrata dal lavoro e col punto interrogativo su che farsi da cena, oltre che su che fare del resto della propria vita.

mercoledì 3 settembre 2008

Leggermente instabile



Dopo aver passato tre giorni ad aggiungere virgole, punti, note, rimandi, citazioni, bla, bla, bla, bla, è finito anche il penultimo giro di revisione della tesi.
Arrivo dopo i fuochi, lo so, ma sono perdutamente innamorata di Open Office che ha fatto un sacco di cose al posto mio (e soprattutto sono eternamente grata ad E. che mi ha insegnato come usarlo) e per festeggiare sono andata a sentire, per la seconda volta quest'anno, Cristina Donà che cantava gratis alla festa dell'Unità, anzi no, alla festa del PD, insomma la solita baracconata fatta alla Fortezza ma purtroppo senza la ruota di Montespertoli dove si vince il prosciutto, senza il gioco dei tappi dove si vincono le piante e soprattutto senza i banchetti di libri e fumetti a metà prezzo.
Ho pianto a un certo punto del concerto.
Ma tanto ormai piango ogni dieci minuti.

Ho pianto a rivedere Notting Hill quando lei dice "posso restare ancora un po'?" e lui risponde "resta per sempre".
Ho pianto quando il mio babbo ha compiuto gli anni ieri.
Ho pianto dopo che il professore mi ha detto "via, allora è tutto a posto"
Ho pianto una mattina la settimana scorsa dopo essermi svegliata a metà di un sogno in cui la mia amica che aspetta un bambino mi diceva "tocca la pancia porta fortuna!"

Insomma in questa settimana non ho quasi fatto altro che piangere, ridere, scrivere al computer, spedire pacchi, correre da una parte all'altra della città.

Questo fine settimana vado al mare.

E volare sopra campi sconfinati puntando a sud Poi toccare con le ali le tue ali senza andare giù Devi credere che al mondo non c'è niente di impossibile Se atterri nell'ombra ricorda la luce anche s'è nascosta Pensa leggero, come un foglio leggero Assecondando anche le curve violente Vola leggero su di un foglio leggero La paura appesantisce la mente Questo lo sai, lo sai

[Cristina Donà, Migrazioni]

venerdì 29 agosto 2008

prima di ricominciare


Ancora stordita dalla giornata di super lavoro, aspetto che salga il caffè per riuscire a connettere un altro paio di ore e fare ancora qualcosa.
Oggi pensavo al lavoro, al mio lavoro nel negozietto, al modo in cui l'ho sempre affrontato e al modo in cui lo vivo.
Adesso che dovrò cominciare a cercare strade diverse, ho l'impressione che mi succederà la stessa cosa che è successa alla ragazza che mi ha preceduta.
Lei è una giovane Colombiana, bella e brillante, giornalista, scrittrice e probabilmente una serie di altre cose che mi sfuggono. Soprattutto quello che mi affascina di lei è che è probabilmente la lettrice più avida e rapida che conosca: quando lavoravamo insieme non si faceva in tempo a comprarsi un libro o a scoprire un autore che lei ti poteva fare una recensione e dirti cosa altro leggere di simile. Piuttosto naturalmente è passata dal nostro negozietto ad una casa editrice, con risultati, non dubito, ottimi.

E' un po' che non la sento perché si è trasferita, ma l'ultima volta che l'ho vista, un paio di mesi fa, mi diceva che un po' rimpiange i ritmi lenti del negozio, quando poteva passare i pomeriggi a leggere dietro al bancone e allo stesso tempo scrivere le sue cose, studiare, e tutto.
Credo che stia fomentando il mio capo perché apra una succursale del negozio nella sua nuova città, per poter avere di nuovo quel tempo e quella larghezza di riflessioni.
Il nuovo negozio non somiglia neanche un po' a quello vecchio. E' più grande, ha molti più clienti, una gestione più difficile e richiede maggiore attenzione in tutto.

Ma oggi pensavo, mentre continuavo le mie revisioni e il mio studio fra un cliente e l'altro (un'attività che sconsiglio a meno che non si sia, come me, in un momento tanto frenetico da non potersi permettere altre pause se non quelle destinate al pranzo e alla cena) che forse anche a me mancherà questa sensazione di poter sempre fare come mi sembra meglio, di poter sempre prendere decisioni e godere di una fiducia praticamente illimitata da parte delle persone con cui lavoro, e poi di poter dire in certi giorni e in certe circostanze -anche se ormai rare- adesso mi apro un libro mentre aspetto la cliente delle otto meno due minuti.

Ché tanto arriva sempre, costringendoti a rincasare mezz'ora dopo il previsto e con una fame che divoreresti una scarpa come Charlot, ma che però, il giorno dopo, torna e dice alla tua collega "non c'è oggi quella signorina bionda, tanto carina..."

mercoledì 27 agosto 2008

due minuti


.. di pausa sigaretta (mezza sigaretta) per fare capolino qui e far presente che sono tornata.
Da un bel pezzo, direi.
Già al lavoro, anzi ai lavori, in casa è tornato anche il consueto cic ciac di ciabattine infradito e le risate. Vicino al mio letto, sull'asse da stiro, si accumula una pila sempre più inquietante di panni da stirare, le cose intorno si accomodano sulle pieghe di un agosto che climaticamente sembra già settembre. Io no, non mi accomodo, anzi mi sento sempre un po' in due posti diversi allo stesso tempo ma, temo, dovrò farci l'abitudine.
Progetto, poi mi scopro povera, poi riprogetto, poi mi scopro stanca, poi riprogetto e penso che andrà tutto per il meglio. 
Il finale è incoraggiante. 

mercoledì 6 agosto 2008

silenzio


Agosto, proprio come dovrebbe essere, trenta gradi già alle otto del mattino, una valigia aperta da riempire e tanta voglia di staccare un sacco di spine.
Non sarà del tutto possibile, ma un po' sì e, soprattutto, desiderato come mai nella vita, ci sarà un mare limpido nuovo e inesplorato.
Nel frattempo mi sciolgo sui documenti della tesi, sogno di essere alta e magra come ogni anno quando mi provo dei costumi da bagno, cerco soluzioni per emigrare e attendo fiduciosa che la sera porti vento fresco. 
Non riesco a leggere i giornali perché la politica mi fa venire l'orticaria, sia quella locale che, naturalmente, quella nazionale. Quando tornerò sarà peggio e quando ricomincerà l'anno sarà peggio ancora, allora perché rovinarsi le vacanze? I punti salienti della finanziaria li rimando al primo settembre.
Ci sarebbe tanto ancora da dire, ma invece di chiacchierare adesso voglio riflettere.

Buone vacanze

mercoledì 30 luglio 2008

fresca


Sarà che sono stata un'ora a leggere nella vasca da bagno (più per combattere questi 45 gradi che per fare la signora, in realtà)
sarà che a furia di correre in motorino da una parte all'altra della città a qualunque ora del giorno o della notte ho le braccia un po' abbronzatine, e un po' anche i piedi
sarà che, soprattutto, lavoro serena e contenta e il mio lavoro, contrariamente a quanto appare, ha un senso, ma un senso così importante e profondo per la mia vita che sembra pervadere ogni mio pensiero e riempire gli spazi di silenzio con idee e riflessioni sciolte, che poi sono belle da organizzare.
Sarà la casa vuota e pulita e fresca
sarà che le ferie sono vicine
eppure oggi è uno di quei rari giorni in cui mi sento bellissima.

martedì 22 luglio 2008

Genova, sette anni dopo


IL LODO BOLZANETO

Impunità per le torture

Su 46 imputati per gli abusi nella caserma genovese, 30 assolti. Gli altri condannati a pene lievi o lievissime. Il primo processo alle forze dell'ordine per i massacri del G8 si conclude con la vittoria dei torturatori

Sara Menafra

INVIATA A GENOVA

Scarnificata, privata dei particolari più raccapriccianti. La storia delle torture della caserma di Bolzaneto che nelle notti del G8 genovese coinvolsero quasi trecento persone (209 sono le parti civili che hanno partecipato al processo) emerge ripulita e stravolta dalla sentenza che ieri sera ha assolto la maggior parte degli imputati e condannato quindici persone su quarantasei ad un totale di ventiquattro anni di carcere, contro i 76 e quattro mesi chiesti dai pm Patrizia Petruziello e Ranieri Miniati.
E anche se i magistrati che hanno seguito l'inchiesta per sette anni si dicono «soddisfatti» perché «l'impianto accusatorio ha retto, nonostante alcune valutazioni differenti del tribunale», basta scorrere le condanne per capire che il collegio presieduto da Renato Delucchi ha creduto solo parzialmente alle accuse delle parti civili che in questi anni hanno ripercorso le notti di Bolzaneto cercando di ricordare volti e torture.
Assolti tutti i carabinieri, quelli che, dopo la morte di Carlo Giuliani in piazza Alimonda, erano stati dirottati a Bolzaneto ad occuparsi dell'«accoglienza» ai manifestanti arrestati e fermati . Via gli agenti della polizia penitenziaria Oronzo Doria, Ernesto Cimino e Bruno Pelliccia. E a casa anche i poliziotti che si occupavano dell'«ufficio matricole», gli unici per i quali i pm avessero chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche.
La condanna più grave, a cinque anni, contro i 5 anni 8 mesi e 5 giorni chiesti dalla procura, è stata chiesta per Antonio Biagio Gugliotta, l'ispettore della polizia penitenziaria responsabile dell'intero «sito penitenziario». Quello che, secondo le testimonianze delle vittime, introdusse a Bolzaneto la «posizione del cigno» decidendo che la maggior parte dei detenuti dovessero attendere in piedi, faccia al muro con gambe divaricate e braccia alzate (la cosiddetta «posizione del cigno», appunto) per tutto il tempo della detenzione, fosse anche un giorno intero. Alfonso Sabella, coordinatore di tutte le attività dell'amministrazione penitenziaria durante il G8 (archiviato alla fine delle indagini preliminari), raccontò ai pm: «Gugliotta mi fece capire che la polizia di stato teneva gli arrestati in quel modo e dunque poteva essere visto come una sorta di delegittimazione operare una scelta differente».
Decisamente ridimensionata la posizione di Giacomo Toccafondi, il medico «in tuta mimetica», per il quale i pm avevano chiesto tre anni e mezzo di carcere e che è stato condannato a un anno e due mesi. Evidentemente - ma saranno le motivazioni a chiarire quale sia stata la ratio - i giudici non hanno creduto ai racconti delle tante vittime passate in infermeria, che hanno parlato delle minacce del medico, di come costringesse le ragazze a spogliarsi e girarsi e rigirarsi nude davanti a lui. O di come abbia ricucito senza anestesia la mano strappata di Giuseppe Azzolina.
Per quel taglio in due parti, che ha danneggiato in modo irreparabile il giovane genovese, il responsabile, Massimo Luigi Pigozzi, 44 anni, assistente capo di polizia ancora in servizio a Genova, è stato condannato a tre anni e due mesi. Una punizione a metà: la corte ha deciso che quel gesto, quello strappo, non era aggravato dall'aver agito con «crudeltà nei confronti della vittima». Anche lui, come tutti gli altri, potrà beneficiare di una rapida prescrizione, a gennaio del 2009.
Perché la beffa nella beffa, più crudele delle condanne fortemente ridimensionate, è proprio questa. L'incapacità della giustizia italiana di riconoscere che quel che accadde a Bolzaneto era tortura ha fatto in modo che i responsabili della caserma che accoglieva i detenuti fermati durante i cortei fossero accusati di abuso d'ufficio (art. 323 del codice penale, pena massima 3 anni), solo in alcuni casi di lesione personale (art. 582, 3 anni) o di falso (art. 479, 6 anni) perché nel nostro paese il reato di tortura non esiste. E non c'è norma che riconosca i calci, i pugni, l'attesa per ore in piedi, il passare tra due ali di agenti che picchiano, il dover cantare «Uno due tre, viva Pinochet» o «duce duce». E nei prossimi mesi prescrizione e indulto cancelleranno tutto il resto. Con l'incubo lasciato appena dietro l'angolo di un decreto «blocca processi» che poteva fermare persino questa sentenza.
Serve a poco pensare che i giudici abbiano riconosciuto anche le responsabilità dell'ex numero due della Digos genovese, Alessandro Perugini, vicequestore e dirigente più alto in grado presente a Bolzaneto condannato a due anni e quattro mesi (invece di tre e mezzo) insieme ad Anna Poggi, vice di Canterini all'interno della struttura.
E le parole del pm Vittorio Ranieri Miniati, «nella sostanza l'accusa di abuso d'autorità (e dunque di tortura, ndr) è stato riconosciuta», lasciano l'amaro in bocca.

Il Manifesto, 15 Luglio 2008

Processo Diaz, oggi le richieste per 29 imputati

Alessandra Fava

GENOVA

Il falso sta nei verbali perché «non si comprende la necessità di far firmare un gruppo raccogliticcio di persone». La costruzione artificiosa delle molotov sono il «frutto avvelenato» di una perquisizione non riuscita. La calunnia è nell'aver arrestato 93 persone dicendo che si trattava di una pericolosa banda di criminali, tanto criminali da dover essere liberati pochi giorni dopo, dire che erano tutti nella scuola mentre quattro di loro furono arrestati fuori. Ieri, nella sesta udienza della requisitoria del processo Diaz, l'ultima prima della richiesta delle pene da parte della Procura prevista per oggi, il pm Enrico Zucca che con Francesco Albini Cardona ha condotto le indagini contro i 29 poliziotti imputati, ha approfondito le responsabilità di chi eseguì i pestaggi nella Diaz e il tema dei falsi nei verbali d'arresto, nei verbali delle perquisizioni e nelle relazioni di servizio, oltre ai reati consumati nella cosiddetta perquisizione alla Pascoli. Nella giornata di oggi, i due pm chiederanno le condanne per ciascun imputato. Si sa già che cercheranno di circoscrivere le richieste senza azzardare domande roboanti. E che sarà esclusa la posizione di Alfredo Fabbrocini, oggi vice questore a Bari.
«A commettere certe brutalità e pestaggi - ha affermato Zucca - è stato il settimo nucleo antisommossa guidato da Francesco Canterini e Michelangelo Fournier. I due comandanti sono almeno colpevoli di concorso morale nella "macelleria messicana", se non altro per la loro condotta omissiva». E quindi: «Non è sufficiente che Fournier abbia gridato "basta, basta" perché il suo intervento è stato comunque tardivo». Intanto, è cominciata ieri la «settimana dei diritti» organizzata per ricordare l'anniversario del G8.

Il Manifesto, 17 Luglio 2008

Chiusa la requisitoria nel processo per la sanguinosa irruzione nella scuola a Genova
Contro gli agenti e i vertici della Polizia, 110 anni. Attesa per ottobre la sentenza

G8, processo per l'assalto alla Diaz
Chiesta la condanna di 28 poliziotti

GENOVA - Centodieci anni contro gli agenti responsabili della sanguinosa irruzione nella scuola Diaz durante i G8 di Genova. Chieste dalla Procura ventotto condanne ed una assoluzione nei confronti degli agenti e dei vertici della Polizia imputati nel processo per i tragici fatti del 2001.

"Condannate i poliziotti delle molotov".
Le richieste variano da cinque anni a tre mesi di reclusione. La pena più alta è stata chiesta per Pietro Troiani all'epoca vicequestore, accusato di aver portato due molotov nella scuola nel tentativo di farle passare come armi trovate in possesso ai no global.

Accusati i dirigenti della Ps.
Per i vertici della Polizia Francesco Gratteri (attuale capo del dipartimento anticrimine) e Giovanni Luperi (ex numero due dell'antiterrorismo), i pm hanno chiesto 4 anni e 6 mesi ciascuno per le accuse di falso ideologico, calunnia e arresto illegale. Per Vincenzo Canterini che secondo le ricostruzioni dell'accusa comandava il settimo nucleo della squadra mobile protagonista dell'assalto alla scuola, la Procura ha chiesto 4 anni e mezzo. Pena leggermente più bassa per Michelangelo Fournier il poliziotto che in aula raccontò di aver assistito ad una "macelleria messicana": 3 anni e 6 mesi di reclusione. Chiesta la condanna anche dell'agente Massimo Nucera che si inventò di aver ricevuto una coltellata durante il blitz della scuola. Quattro anni a lui e al suo superiore Maurizio Panzieri, che avallò nel verbale il finto accoltellamento. Condanne sono state richieste anche per gli allora dirigenti della mobile di Genova Nando Dominici, e della Digos Spartaco Mortola.

Sentenza ad ottobre. Conclusa la requisitoria dei pm, il dibattimento riprenderà dopo la pausa estiva a settembre con gli avvocati delle parti civili. La sentenza è attesa per ottobre.

Il verdetto sulla caserma di Bolzaneto. Tre giorni fa, la sentenza contro agenti e medici accusati di abusi nei confronti di duecento no global rinchiusi nella caserma di Bolzaneto durante gli scontri in città del luglio di sette anni fa. Con un verdetto che ha suscitato molte critiche, 30 imputati furono assolti. Contro una richiesta di poco meno di 80 anni di reclusione, i giudici ne hanno inflitto solo 24 e, grazie alla prescrizione e all'indulto, nessuno dei 15 condannati finirà in prigione.


La Repubblica (17 luglio 2008)

giovedì 17 luglio 2008

universi

Sto poco al computer in questi giorni.
Quando ci sto navigo, navigo, navigo in cerca di possibilità, e ne trovo così tante che poi mi gira la testa.
Allora torno sui miei passi, ripercorro vie note, riapro vecchi libri.
Non so se stavo meglio senza desideri, o adesso che di desideri ne ho così tanti. Il passaggio è stato vorticoso e ancora non mi rendo bene conto di quanto sono diversa da due mesi a questa parte.

Il signore anziano che ogni tanto lavora da noi è venuto a trovarmi.
Mi ha raccontato una sua vicenda difficile, che teme per la sua salute, che gli hanno consigliato un terapista. Dice "preferirei cento volte dover subire un'operazione e sapere che quando mi sveglio starò meglio, che dovere intervenire sulla mia psiche".
Cerco di confortarlo dicendo frasi di circostanza ed ovvietà. 
Torna alla sua bicicletta dicendo "ti voglio tanto bene".

Sembra che tutto concorra a strapparmi di dosso la pelle, e a farmi sentire tutte le sensazioni amplificate e  risonanti.


 

martedì 8 luglio 2008

"...un crayon jaune"

Da oggi, quando non scrivo con la tastiera, voglio scrivere tutto a matita. Voglio poter cancellare tutto e riscrivere tutto infinite volte. Voglio poter ricominciare sempre da capo, anche se le tracce di quello che c’era prima si intravedono e i solchi si toccano.

Tanto i solchi si toccano sempre: le cicatrici, le rughe, le pieghe dei vestiti e delle lenzuola.

In questi giorni mi sembra che la corsa si sia leggermente fermata, si prende fiato, ci si rifà il trucco e ci si spazzolano un po’ i capelli per tornare sul palco.
Che è pronto lì, allestito, e sembra un foglio bianco, su cui graffiare con la mina della matita e su cui salire e fare, o scendere e guardar fare, a seconda dell’inclinazione del momento.

E la musica poi.

Insieme all’ingestibile frangetta estiva, è tornata la musica.

domenica 6 luglio 2008

plans


Resto in casa, fumando sigarette e godendomi il fresco della sera che si spande sulla pelle e sulle cose. 
Attendo, paziente, che gli spigoli si stondino.
Dopo due notizie molto belle ieri, di cui faccio tesoro e da cui dipendo per soffrire un po' meno, oggi, una giornata demenziale, a correre dietro al caldo, ai negozi chiusi e al telefono. 
Oggi uno sguardo con mia madre, incontrata per caso in centro, valeva più di mille ore passate a parlare.

E continuo a cercare strade per uscire dal caos, ma forse è proprio il caos la strada, quello che mi tiene in piedi, quello che mi impedisce di abbattermi.
E mi chiedo se fare piani serva, e mentre me lo chiedo so che non posso far altro che fare piani, ché i piani di fatto sono una scorta inesauribile di speranza, ed è questo quello che serve, in fondo, credere che domani le cose andranno dove tu vuoi che vadano, o almeno, in quella direzione.  

venerdì 27 giugno 2008

schiuma


Parlare di questa ultima settimana è molto molto difficile.

Mercoledì sera ho passato una serata solitaria con i miei libri e le mie carte a farmi forza per non pensare che quel lavoro estenuante, dopo il lavoro estenuante in negozio sotto dieci faretti bollenti mi stava facendo perdere un concerto che poi si è rivelato il concerto del secolo. Alle una, mi sono sdraiata sul letto e ho messo su un film vecchissimo, poi ho chiuso gli occhi e mi sono addormentata.

In tutti questi giorni ho faticato come mai nella mia vita, credo, per concentrarmi solo e soltanto sui miei doveri e sul pensiero di un futuro che sia solo mio. Questo mi ha mandato avanti come una specie di mulo, senza farmi pensare al resto che intorno correva forsennatamente.

Tutto il resto.

Sentirsi sola, sentirsi smarrita, sentirsi costantemente sul banco degli imputati, tutto questo non mi ha spezzata. Piegata sì, e molto. E adesso sento che l’unica cosa che voglio è un po’ d’ossigeno.

Adesso voglio sperare, ne ho bisogno.

Ho bisogno di credere che l’amarezza che provo si dissolverà in una schiuma di onde che sbattono e di sonni freschi. Ho bisogno di credere che la fiducia che sento possa essere ripagata.

Voglio essere felice e amata perché, e forse è la prima volta che lo dico a voce alta, io me lo merito.

mercoledì 25 giugno 2008

all'inizio dell'estate



Giorni duri.
Da tutti i punti di vista.














Servono i vecchi amici.

martedì 10 giugno 2008

dopo il temporale (forse)


..e come previsto questo martedì sera mi sento a pezzi. 
Lo sapevo che sarebbe successo: vado avanti a scariche di adrenalina da troppo tempo e da troppo tempo questo è quello che mi fa andare avanti. 
E' vero che questa è l'ultima settimana di vera potente tensione, però l'amaro calice lo devo bere tutto, fino in fondo, per non dover dire di nuovo di non aver fatto tutto il possibile.

Non ho musica nelle orecchie. Questo è strano, in genere c'è sempre una canzone dentro di me nelle circostanze più tese. Invece la mia musica delle ultime settimane è un lavorio continuo di parole mandate a memoria e pensieri tesi ad un unico obiettivo. 
Con rari momenti di silenzio, in cui sento scricchiolare le ossa e battere il cuore.

Domani un altro colloquio da affrontare, dopodomani un esame (oh sì, è vero, non finiscono mai. Nel mio caso è la mia idiozia a non avere limiti. Ma questa è una storia diversa), poi il voto da registrare, sperando che vada tutto liscio, poi incrociare le dita perché le cose si mettano per il meglio.

E nonostante tutto questo provo una grande, grandissima dolcezza nel pensare che la tesi è finita.
L'avevo detto questo? Finita.  

mercoledì 4 giugno 2008

day after

Studio.
Vedo film a metà, troppo stanca, troppo intimista, troppo vicino.
Cerco di dormire.
Telefonata alle una e un quarto di un amico lontano. Piango. Non so perché.
Cerco di dormire, impossibile.
Faccio una camomilla, scrivo una lunghissima mail. Spedisco.
Bevo la camomilla, torno a letto.

Ore quattro meno un quarto del mattino.

Forse rinuncio.
Rabbia.
Dolore.
Altra rabbia.
Poi la forza di volontà che salta fuori come un coniglio dal cilindro.

Quiete.
Sonno.
Sogni.

Sogno il cigolare delle suole di gomma delle scarpe da ginnastica sui gradini di graniglia. Salgono salgono e non arrivano mai. Sogno che aspetto.
Sogno che il fiume si riempie d’acqua –perché intanto fuori piove a scrosci e le gocce battono sul tettuccio di plastica del giardino di sotto- e che io sto a guardarlo, incantato, grigio e luccicante.
Sogno che qualcosa mi stringe alla gola, mi tocco ma non c’è niente e nessuno, eppure il senso di soffocamento leggero leggero mi rimane.

Mi sveglia il telefono alle 8.45
Comincio la giornata in una nebbia di pensieri sbagliati e stanchezza.
So cosa sta succedendo.

Stavolta, per nessuna ragione al mondo, mi faccio trovare impreparata.

martedì 3 giugno 2008

vita spericolata


Piove forte.
Non so perché, ma mi sento scoppiare di adrenalina. 
Mi sento come se tutta la mia vita dipendesse dai prossimi cinque minuti.
E' ovvio che il minuto prima di quei cinque minuti lì è difficile da descrivere. 
E' un misto di ipersensibilità, di lucidità estrema, di paura e di desiderio.

E' bellissimo. 
Dovrebbe succedere più spesso.

lunedì 26 maggio 2008

una spiaggia in città


 E’ stato un fine settimana strano.  Dopo tanti mesi che non succedeva più sono rimasta chiusa nella mia stanzetta per una giornata intera, a studiare, a riordinare appunti, a fare lavatrici e nutrirmi di riso bianco con verdure. La casa era nel frattempo gentilmente invasa dagli ospiti delle mie coinquiline, e io, dopo aver svolto il minimo sindacale della cortesia da ospite, ho ritrovato uno spazio segreto per pensare a tutto quello che devo fare e che farò nelle prossime settimane.

Sabato mi sono svegliata alle sette e mezza, ho fatto il caffè con calma, ho passato alcuni momenti a contemplare l’albero pieno di gemme davanti alla mia finestra, finalmente spalancata senza timore del freddo. Mi sono sentita di nuovo dopo tanto tempo, al mio posto.

Mi sono sentita quella che è capace di godersi i chicchi di riso basmati attaccati alla padella e un po’ abbrustoliti. Quella che aspetta le nove di sera per mettersi in tasca cinque euro e le chiavi per andare a prendere una pizza da asporto in piazza, dall’ economicissimo pizzaiolo napoletano che parla dialetto e mi da del voi. Mi sono sentita per la prima volta libera dopo tanto tempo di contare i miei passi sul selciato respirare l’aria del crepusolo guardando in su e sentire gli odori delle cene degli altri dalle finestre basse di S. Frediano senza pensare “oddio, quanto tempo sto perdendo”

E’ buffo che accada proprio adesso, che invece ho i minuti contati e il lavoro moltiplicato per dieci. E’ buffa questa serenità quando proprio ieri sera la mia padrona di casa si è prodotta in una di quelle sfuriate stratosferiche per cui uno dovrebbe solo rivolgersi a un avvocato o cambiare casa in due settimane. E’ buffo che accada proprio adesso che mi sento sfiorare dall’amore anche se l’amore non può essere il mio primo pensiero, e allora mi tengo stretto il desiderio e lo centellino fantasticando su chissà quali impossibili vacanze esotiche mentre mangio insalata di pomodori e tonno sul mio balconcino.

E’ buffo perché con tutti questi ingredienti potrei essere al centro di una delle mie famose terrificanti crisi di panico e ansia. E invece mi sembra tutto così dolce. 


martedì 20 maggio 2008

star

Capricorno (22 dicembre - 19 gennaio)

In tutta la tua vita non sei mai stato così libero dal bisogno di essere salvato da qualcuno. Non devi essere salvato dalle tue fantasie più cupe perché, almeno per ora, sono oscurate dai tuoi pensieri più brillanti. Non devi essere liberato dall'oppressione o dalla schiavitù perché puoi benissimo farlo da solo. Non hai neanche bisogno che ti liberino dal male: grazie al duro lavoro che hai fatto negli ultimi tempi, il male è diventato allergico a te.


(L'ho già detto, lo so, ma io adoooro l'oroscopo di Internazionale.
E alla previsione felice vorrei aggiungere un'altra cosa. Che sono molto determinata a vincere la guerra, anche se le battaglie sono abbastanza cazzute.)

giovedì 15 maggio 2008

clienti

Il mio miglior cliente di ieri è stato un vecchietto che è venuto a trovarmi in negozio con una pallina di cotone avvolta nella carta igienica. Siccome io sono una curiosa tremenda, non stavo nella pelle nei tre minuti che ci ha messo per arrivare dalla porta al banco a passi lentissimi e cadenzati dal tic tic del suo bastone. quando poi è arrivato e si è appoggiato mi ha detto, reggendo il suo pacchettino, di avere un problema con le sue piantine di rosmarino e salvia.
"sono coperte di ragni. Questi". Svolge lentamente il fagottino e mi mostra, per completezza di informazione, i ragni, vivi e vegeti, prelevati dalle piantine.
"ce l'ha qualcosa per uccidere questi?"
Se avessi avuto una mezz'oretta libera sarei andata io a casa sua a schiacciarli col dito uno per uno.

Ma il premio per il miglior cliente del mese se lo aggiudica il gatto che faceva ordinatamente la fila davanti alla porta del veterinario, ancora chiuso. Se n'è andato solo quando è arrivato il secondo della fila: un labrador nero che evidentemente voleva passargli avanti.

sabato 10 maggio 2008

sunny

Mentre il sole scalda finalmente la mia città e si spargono in giro migliaia di pelucchi bianchi provenienti dagli alberi dei viali, io mi preparo alla maratona della domenica coi parenti lontani (e l'unica cosa che mi fa prendere bene la terribile giornata di domani è che i parenti lontani vivono al mare e forse riuscirò a strappare un'oretta di passeggiata salsedinosa dopo le libagioni e i salamelecchi) e nel frattempo gongolo perché pare che sia sul punto di guarire: non so da cosa di preciso, ma pare che la guarigione si veda, pare che io sia l'unica a non vederla bene, pare che il mio arrossire a certe domande sia un po' diminuito e pare che le cose, in un modo o nell'altro, si sistemeranno.
Così, in questo languore da primavera finalmente inoltrata, mi rivedo un filmetto d'amore e non piango, pranzo su un prato con un pezzo di pizza, prendo il sole senza maglioncino prima di riaprire il negozio, e poi passo un'ora intera a cercare su youtube video di cantanti bellocci e musica di dieci anni fa, e mi viene anche un po' da ridere, a dire la verità.

giovedì 8 maggio 2008

wet paint

Oggi mi hanno chiesto trecento volte "che hai fatto di bello a New York?"
E naturalmente non so da che parte cominciare. Potrei cominciare dalla fine e dire che, intanto, ho comprato questo meraviglioso computer con cui sto scrivendo da sotto le coperte (grossa soddisfazione, conto in rosso, ma felice). Poi potrei parlare dei musei, dei concerti, delle ore a camminare. Ma di New York quest'anno mi hanno colpito soprattutto le persone. La gente all'ostello prima di tutto. Un matematico che passa tutte le sante notti a calcolare e calcolare su pacchi di fogli a quadretti -e chissà che risultato vuole ottenere, mi ha fatto pensare al calcolatore di guida galattica per autostoppisti, mi veniva da dirgli ok, fermati, la risposta è 42!- tenero, pacifico, simpatico. Strano, anche. Con un aspetto dimesso e un po' trasandato, e buste piene di giornali sempre dietro.
O la traduttrice dal ceco, una signora elegante e coi capelli bianchi con cui abbiamo condiviso una serata di chiacchiere e un gelato confezionato. O il gestore dell'ostello, che si commuove quando partiamo. O il gruppo di giapponesi al tavolo accanto, al ristorante, che festeggiava il viaggio del padre anziano fino a New York ("I told 'im: dad! first you visit New York, Then you visit heaven!" diceva il figlio un po' ubriaco sganasciandosi dal ridere) che per allargare i festeggiamenti ci hanno offerto un bicchiere di sakè. Gente in metropolitana e colori dappertutto, facce, miscugli etnici di una grazia meravigliosa, e poi tulipani dappertutto, in ogni aiuola di ogni angolo di strada. Fiori ovunque.

Non so, forse fra un po' mi verrà voglia di raccontare anche i concerti e le serate ed un ristorantino vicinissimo alla Bowery Ballroom con due tavolini fuori e un sacco di bella gente che è stata la prima vera accoglienza della città, dopo una giornata passata a prendere il sole a Central Park.
Per adesso però negli occhi ho solo colori, e la vernice è ancora fresca.

domenica 20 aprile 2008

fiducia

E' una giornata così bella che fa venire le lacrime agli occhi.

La musica strazia, mentre i colori del cielo si sono finalmente pacificati su un turchese limpido e accecante. Il negozio è vuoto, io lavoro zitta zitta alle mie pagine mentre tutti si stiracchiano ancora sotto le coperte e aspettano il caffè.

Non sono stanca oggi. Sono talmente tanti giorni che non dormo che ormai il mio corpo si è stabilizzato sulle quattro-cinque ore di sonno. Stanca no, forse un po' confusa.
Di recente parlare di me mi fa fremere. Quando mi siedo e raccolgo le idee un momento, mi sento sempre un po' sopraffatta.
Ma mi piace godermi le piccole cose.
Il barista che chiede "il solito?", l'I-pod mentre vado in motorino e la strada è assolata e deserta, la signora di fronte che mi porta la bomboniera perché il figlio si sposa e "sai che la tua candelina è stata il primo regalo che ha ricevuto? "

Buonismo veltroniano?
No.
Proprio no.
Malinconia piuttosto, e desiderio di credere alle persone.

mercoledì 16 aprile 2008

nuda

Oggi aggiungo un piccolo successo a una lista di cose lasciate a metà. Oggi mi sono messa in tasca una briciola di orgoglio che è solo mia. Che ripaga di tanta fatica e di tanta guerra interiore ed esteriore: oggi mi merito di andare a dormire con un romanzo (un romanzo, attenzione, non degli appunti, non delle pagine word da scorrere, e non un saggio, ma un romanzo vero e proprio, e lo voglio nuovo di zecca, lo voglio pescare dalla sezione della libreria dei libri da leggere, che è sempre più folta di costole colorate e attraenti)

Oggi è una giornata in cui vorrei essere felice, ma ho sonno e questa felicità la conservo per un momento migliore. Mi limito a fare dei sorrisi e a nascondere ben bene sotto il tappeto quel piccolo timore che le cose si guastino.

Tante cose si costruiscono con fatica e altre (anche impercettibilmente, eppure si sente, a volte, un rumorino di assi che scricchiolano) si sgretolano davanti ai miei occhi; io vedo tutto, ma proprio tutto, sono sempre stata una che vede tutto, e volendo è sempre stata un po' la mia sciagura. Però è così. A volte per non essere proprio una foglia al vento faccio finta di non capire. Ma faccio solo finta.

La biondina stasera si coccola.
E parte, di nuovo come l'anno scorso, per la grande mela.

martedì 8 aprile 2008

giovedì 3 aprile 2008

clienti

-Non c'è M.?
-No ci sono io.
-mm. Allora passo domattina.
-Perché scusi? Domattina ci sono di nuovo io.
-Ah. No, guarda, voglio più sconto di così. Chiamami la mamma.
-Chi scusi?
-Chiamami la mamma dai, tanto il negozio non è mica tuo, è lei che decide.

(La mamma!!!??? Sono senza parole. Senza parole.)

No signora. Non siamo mica al mercato. Questo è il prezzo.

Ah, e la informo che se davvero decidesse la mia mamma dovrei tirarle dietro il vaso, i fiori e anche una ciabatta.

cinque del mattino

Era scuro da così tante ore fuori che poteva essere quasi mattina.

Un po’ caldo, un po’ freddo, soprattutto alla spalla.
Un pensiero ricorrente.

Un po’ chiudere gli occhi un po’ trovarli spalancati ad indovinare l’ora secondo le stelle che si vedono dal rettangolo nero della finestra.
Ma ecco, il vicino di sotto ha acceso le luci (si capisce dal chiarore che arriva da sotto le foglie dell’albero, che improvvisamente sembrano vive anche loro) e sta uscendo per andare al lavoro. Quindi sono le tre e mezza, più o meno. Chissà che mestiere fa il vicino di sotto.

Forse ho fame. No mi sembra di no. Sete? Boh, forse. La bottiglia dell’acqua è troppo lontana dal letto. Facciamo che non ho sete.

Potrei mettermi a finire quel lavoro che ho in sospeso da tre mesi. Ma riaccendere il computer significa che la notte è proprio finita, che è già giorno e che sono già in moto sul serio, e questi sono straordinari che nessuno mi paga. Anzi li pago io, in salute.

Mi giro di là.

Cuscino troppo basso. L’ho cambiato per colpa della spalla bloccata, per facilitare la posizione corretta di collo e scapole, per evitare quella curvatura innaturale delle vertebre all’altezza della cervicale. So che la mia maestra di yoga sarebbe fiera di questa iniziativa. Ma adesso mi manca il respiro. Mi sento troppo lunga, mi sembra di non poter vedere abbastanza angolazioni.

Pensiero ricorrente, di nuovo.
Forse se mi addormento lo sognerò.

Non voglio.

Eppure torna, come un pendolo, fa avanti e indietro si allontana piano piano poi torna giù come una mannaia, scatena tutte le paure poi si riallontana.
Mi fa male la spalla, porca miseria. Il cerotto va cambiato.
E’ un dolore tale che in confronto l’estrazione dell’ultimo dente del giudizio mi è sembrata uno scherzo.

Guardo fuori di nuovo. Il cielo è di un colore diverso. E’ blu, non è più nero. E’ blu, scuro ma blu. Mi restano forse tre ore utili di sonno.

Faccio apposta a non guardare l’ora, sennò mi do dell’imbecille.

Pensiero ricorrente.
Pensiero ricorrente.
Pensiero ricorrente.

martedì 25 marzo 2008

ladri di biciclette

Svegliarsi una mattina, presto, che il cielo è nascosto da cinque strati di nuvoloni grigi e spessi. Sentire il sonno legato alle caviglie, prepararsi la colazione nella casa completamente vuota, sentendo persino il rumore dei panni che asciugano stretti stretti sullo stendino. I gesti meccanici, i pensieri ancora agganciati all’ultimo brandello del sogno di cinque minuti prima. Aerei. Mi sembra che fossero aerei.

Alla fine, come sempre, anche se mi sono svegliata un’ora in anticipo riesco ad essere pronta per un pelo. Non riesco a non pensare che stasera la casa sarà di nuovo invasa dal brusio e dalle risate sguaiate. Questo bel silenzio è un desiderio vero, da custodire con cura. E da ricercare con cura.

Arrivo in negozio con le mani congelate.
La strada è deserta, non ci sono nemmeno le signore che fanno la spesa coi carrellini. Poso la borsa accendo le luci.
Sento già i morsi della fame, c’è già bisogno della colazione numero due.

Con questo tempo vorrei un tailleur alla Bergman per sentirmi affascinante. Vorrei non avere il dolore al collo. Vorrei del calore.

Sembra un film neorealista.

Al bar tutti i commercianti della via si stringono al bancone, quelli che parlano del clima e quelli che parlano di calcio. Quelli come me, imbambolati a fissare il ricciolo di fumo sopra la tazza di latte. Alla radio del bar (che dev’essere la Rai, vista la formalità della voce dell’annunciatore) un breve suono introduttivo, poi “messaggio elettorale a pagamento..

Mi sono immaginata anziana, ricordare tutto questo.

(Quelle lontane elezioni del 2008, quella moda, le corse che facevo in vespa, il sonno costante e un paio di stivali col tacco alto che portavo sempre per darmi un certo portamento.)

giovedì 20 marzo 2008

elettricità


Quello che succede in questi giorni a casa e al lavoro prende il sopravvento sulla vita scritta qui.

I giorni sembrano tutti uguali, ma non lo sono per niente.

Sono come le vetrine di un negozio –e questo paragone, si capisce, non è casuale- fuori tutte ordinate e brillanti, dentro polvere, ombre, beghe da risolvere, punti interrogativi.

Cerco di non restare a guardare ma nel frattempo mi sento i piedi freddi e il desiderio di fuga.

Schiele (che amo tanto e si sarà capito visto quante volte ricorrono immagini dei suoi dipinti in questo blog) mi sembra lo specchio preciso di come vanno le cose adesso: la bellezza non manca eppure è tutto terribilmente contorto, come percorso da scariche elettriche.

giovedì 13 marzo 2008

martedì 11 marzo 2008

parentesi autobiografica splatter

Dicono "via il dente, via il dolore"

Oggi il dentista mi fa l'ennesima radiografia e poi dice "Ti devo dire come stanno le cose: il dente è a cavallo del nervo quindi c'è una percentuale di possibilità che l'anestesia non se ne vada e che il nervo, se si graffia, ti resti addormentato per un po' di mesi."
"cioè?"
"ti potrebbe restare addormentato il labbro per un po' di mesi. Ma poi torna normale eh!"

Nella mia mente scorrono come scritte a macchina le parole "un po' di mesi".
Non penso al labbro, non penso a dire, fare, baciare; penso al mio viaggio di fine aprile.
Metto su un piatto della bilancia il mal di denti in viaggio e sull'altro piatto il rischio.

Decido per il rischio.

E' andata bene, anche se è stata una cosa truculenta.
Mi sento intontita, strapazzata, stanca morta.
Mi sento come chiusa in un barattolo e mi sembra che tutto intorno vada a rallentatore.
Bere un bicchiere d'acqua è un impresa, mangiare un po' meno, ma sempre stile neonato: biberon di latte con biscotti sciolti dentro. E antidolorifici.

Vorrei essere abbracciata per tutta la notte.
Ecco l'unico antidolorifico che potrebbe servire davvero.

mercoledì 5 marzo 2008

nell'attesa

Oggi, super corsa in motorino per arrivare puntuale al ricevimento, e come sempre -secondo un corollario della legge di Murphy- quando sono puntuale io non sono puntuali gli altri e viceversa. Sono rimasta molte ore ad aspettare prima di parlare col mio Professore.
All'inizio, seguendo un suo suggerimento, sono andata al bar a fare colazione, ma poi faceva troppo freddo per restare fuori a fumare o a leggere, così mi sono messa a sedere su una panca nello stesso corridoio della stanza del Professore, in un angolo un po' defilato, col fido Murakami in grembo.
Ho letto molto, ma mentre leggevo ho anche pensato molto.
Sono sempre un po' timida fra i ventenni neo iscritti, quando capita che mi chiedano informazioni non sono mai veramente sicura di darle giuste, sono cambiate talmente tante cose da quando ero io, la ventenne neoiscritta.

Mi è venuto in mente un giorno che stavo seduta proprio sulla stessa panca in attesa di dare un esame di letteratura inglese insieme alle mie due compagne di corsi/sorelline-amichette. Siamo tre tipe diversissime una dall'altra e anche le nostre vite hanno preso pieghe molto diverse, ma ci vogliamo bene e per gli esami eravamo una grande squadra, una macchina da guerra di appunti, schemi e ripassi.
In attesa dell'esame siamo sempre state sorridenti più che impaurite.

Per quell'esame lì eravamo accompagnate da fidanzati vari e conoscevamo tutti. Quindi eravamo un piccolo crocchio cinguettante.
E mi sono ricordata, più che dell'esame, del dopo esame, quando siamo sciamate tutte e tre al bar di sotto a festeggiare col cappuccino.
A quell'epoca, devo dire, il cappuccino era l'alimento principale della nostra dieta.

La nostalgia mi sembra uno dei sentimenti più pericolosi che esistano al mondo. Costringe all'immobilità. E infatti la scaccio, quasi sempre, anche perché ci sono pochi episodi del mio passato che mi rendano nostalgica (la maggior parte mi rende nervosa, se non arrabbiata). Ma in questo caso più che nostalgia ho provato della tenerezza, per quell'ingenuità e per quella voglia di assaggiare tutto e di mordere tutto e quella sensazione che tutto e il contrario di tutto fosse possibile.
E' forse davvero l'essenza stessa dela giovinezza, come diceva Penna.
[Che di sicuro ho già citato da qualche parte, ma è tutto il giorno che mi gira in testa, e poi son due versi così semplicemente perfetti..]

Forse la giovinezza è solo questo
perenne amare i sensi e non pentirsi