mercoledì 31 luglio 2013

Gold

Domenica scorsa l'ho passata a fare i ruzzoloni fra le onde proprio come da piccola, quando mi dovevano portare via dall'acqua per un orecchio, minacciandomi di saltare il gelato se non fossi uscita subito. 

Dopo aver finito di fare i ruzzoloni erano le otto di sera, il cielo dipinto d'oro, il vento ancora un po' alto, la spiaggia deserta, un castello di sabbia abbandonato destinato a sgretolarsi nella notte. Gli amici, come me, sorridenti e avvolti nell'asciugamano. 
Un'immagine di perfetta beatitudine che avevo scordato davvero da tempo.
Abbiamo bevuto l'aperitivo tutti bagnati e salati godendoci il tramonto e chiacchierando. Siamo tornati verso casa con il buio, con le bici tutte incolonnate dietro l'unica che aveva la dinamo.

Nel frattempo la mia mente faceva ginnastica.
I miei progetti paralleli hanno avuto una spinta nel mese di luglio. Ci sono cose belle che potrebbero davvero succedere. Altri castelli che sembravano completamente in aria ora sembrano poter atterrare e trovare qualche forma di fondamento. Sogni, forse, che come direbbe Saba si fanno e disfanno nella mia mente dandomi quel brivido a lungo dimenticato di poter essere speranzosa, di poter fantasticare.
Soprattutto, i miei progetti paralleli mi hanno permesso di ritrovare quella gioia grande di lavorare insieme, di passare le notti a scrivere con un'amica accanto, mentre l'altra amica disegna e nel frattempo ci somministriamo gelato e vino bianco.

Quando tutti tornano a casa da discoteche e locali, noi torniamo sorridenti inventando nuove storie e ridendo come se non fosse notte fonda e non dovessimo andare a lavorare dopo poche ore. 

Se anche tutto questo galoppare fosse servito solo a questo, sarebbe già sufficiente per rendermi felice.

lunedì 15 luglio 2013

Onda


Sparsi sul letto Il nuotatore di Cognetti e Cerri, I fichi rossi di Mazar-e Sharif di Mohammadi, Riportando tutto a casa di Lagioia, le fotocopie della traduzione da finire, sparpagliate e piene di note di mille colori, la carta di un gelato, il telefono.
E me.
Finalmente con la testa vuota e senza dover correre da nessuna parte, ragiono se mettere un punto o un punto e virgola all’interno di una certa frase e le lettere e le parole mi si schierano in formazioni sempre nuove, come soldatini pronti a diverse strategie.
Ogni volta che mi trovo davanti a una traduzione è così, ci sono strumenti da scegliere e suoni da accordare e ogni volta questo lavorio mi riempie di gioia.
Una settimana tutta per me, che sta per finire e che è stata troppo breve, ma che mi ha riscossa, come se tutto fosse solo sospeso e non interrotto. Un film lasciato in pausa di cui non conosco ancora la fine.
Naturalmente stare sola con i propri pensieri è inebriante tanto quanto destabilizzante. Ho riletto vecchie lettere che dovrei proprio buttare se fossi un po’ più furba, ho riascoltato certe vecchie cicatrici pungere e credo che non smetteranno mai di pungere, ho riso e ho pianto senza troppi pudori e probabilmente mi serviva di mollare un po’ certi freni, in solitaria, senza dover dare tante spiegazioni.
Ho visto le mie nipoti, una più bella dell’altra, e gli amici cari, uno più caro dell’altro, poi sono tornata ai miei interrogativi, alla musica, alle parole spezzate alle parole che non sono mai uscite, ma il senso di impotenza non mi ha aggredita come al solito, forse ho finalmente ho imparato a non darmi la colpa per tutto quello che mi è successo nella vita.
Non costa poi molto immaginarsi al mare, con un po’ di ombra e un po’ di libri e il rumore dell’onda che batte.