giovedì 18 settembre 2008

la biondina nel metro


tutto sembra vagamente impreciso.
La giornata passata interamente sui tacchi alti (l'ultima presa di posizione della biondina dopo le vacanze) si risolve in un prolungato sospiro di sollievo quando li sfilo dopo le ormai consuete dodici ore distanti dalla mia camera. 
L'abbigliamento, fatto di strati di diversa pesantezza per ovviare al caldo delle due di pomeriggio come al freddo dell'ora dell'aperitivo e poi al gelo del ritorno in motorino intorno alle undici, si rivela un' armatura quando fa caldo e un velo di cipolla quando fa freddo.
La tesi sembra ogni volta finita ed intoccabile, ed ecco che salta fuori una discordanza di tempi dei verbi, una leggerezza di scelta di vocabolario o, peggio, un errore in bibliografia o nelle note.

Tutto si trova leggermente fuori asse.

Ho imparato a conviverci, in questi giorni. 
Ho imparato molto in questi giorni.
Sto diventando un mostro di senso pratico e allo stesso tempo -figuriamoci se non succede una cosa e il suo opposto insieme, in questi giorni- sto fantasticando alla velocità di un treno lanciato a tutta birra nello spazio.

Leggo, più del solito.
Come al solito, con la presunzione che mi contraddistingue, quando leggo pensieri di Frederica Potter, mi sembra che qualcuno mi abbia spiata e si diverta a parlare di me al resto del mondo.

Arriva a scuola stringendo tra le mani la lezione su amore e matrimonio in Forster e Lawrence. Il viaggio in metropolitana la rincuora. Ci sono tante persone, tante facce, tante vite possibili. Persone reali, sebbene la moda imperante spinga molte ad assomigliare a bambole pallide con occhi tondi e bocche lucide. Crani calvi e acconciature a cupola, chiome fluenti e ispide creste, berretti dei Beatles e cappellini impermeabili, semicerchi di plastica trasparente a pois cremisi e smeraldo, porpora e arancio, fermati su capelli grigi da nastri annodati sotto menti flaccidi. Lì si sente sicura e anonima, e tutti sono interessanti.

Antonia Byatt, La torre di Babele


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