lunedì 27 dicembre 2010

si bien caché


Passato.
Come ogni anno c'è stata la folla, le valanghe di regali da impacchettare, le clienti impossibili, le corse per arrivare in tempo dopo la pausa pranzo, le ghirlande da confezionare, le bruciature da colla a caldo e le dita tagliate con la carta da regalo. Il solito orrendo male al collo, la solita voglia di cioccolata.
Poi c'è stata la neve alta.
Le guance rosse e gli alberi caduti in tutta la città ma soprattutto nel mio quartiere: pini di cento anni che perdevano rami enormi per strada, strade chiuse, mezzi pubblici ko, e le grandi camminate nella neve con la musica alta nelle orecchie e il sorriso spalancato su tutto quel bianco e quel silenzio. Il pranzo a casa del mio capo, col pollo fritto preso in rosticceria e il bambino tenerissimo che mi fa vedere tutti i suoi giochi e poi si adagia come un gatto in braccio a me per farsi mettere le scarpe.
Le albe grigie, la pioggia battente, i caroselli di camion dei vigili del fuoco per tutta la città, l'ennesima amica incinta, le foto di Celeste che cresce e la nostalgia di vederla crescere da lontano.
Passato il pranzo familiare e la cena degli avanzi, passate le telefonate di rito, lo zio che ti manda il biglietto con "la centomila" la serata di rito a vedere film di Chaplin.

Essere pieni e vuoti allo stesso tempo, sentire i propri passi che fanno rumore, sentire la pelle che tira, la dolcezza che ti invade e l'amarezza che resta ferma al suo posto.
Natale.
Due giorni per scoprire quanto nascosti possono essere i propri sentimenti.

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