
Come era potuto succedere?
Ancora si chiedeva come succedano queste cose. Una parola che sembra una parola qualunque, un gesticolare preciso, un dito puntato sopra il tavolo come a puntualizzare le sillabe una per una. E un clic. Come sentirlo dentro, come aver girato un interruttore. Come se l’occhio di bue si fosse improvvisamente acceso sulla sua testa lasciandola sola sul palco senza nessun monologo da recitare.
Nella stanza bianca, concentrata a torcersi le mani e a fissare le tende tirate davanti a lei era stato tutto automatico. Ma già mentre attraversava l’enorme atrio e scendeva le scale riagganciandosi il giubbotto e infilandosi i guanti, tutto era tornato normale, composto, in ordine. Aveva inghiottito il groppo che aveva in gola e respirato a fondo prima di uscire dal portone. Aveva risistemato le cose in borsa con la solita cura e aveva dato il passo a una signora con le stampelle prima di attraversare il marciapiede e la strada.
Tutto era di nuovo in ordine.
Il pianto si era trasformato presto in amarezza e in nostalgia.
C’era stato un momento in cui quell’amarezza non c’era.
Ed era lontano quasi quanto quella tazza di cioccolata bollente.
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