domenica 24 aprile 2011

terre straniere

Finite le incombenze della giornata, archiviate le lenzuola da stendere, i piatti da lavare, il vento che ha scompaginato i fogli, i tulipani viola sopra la tavola; ora la tazza di tisana fuma sopra il comodino, metto un filmetto nel pc, ma ancora non so quale, mi accendo l’ultima sigaretta della giornata.

Dormire è complicato perché mi faccio brutti scherzi. La scorsa notte, per esempio, passeggiavo in una città che amo dove non vado da un po’, e che mi manca tanto. Molte strade buie e molte pozzanghere in giro.

Stereo Notte ha cominciato le trasmissioni con Iron and Wine e poi ha proseguito con Jeff Buckley. A me tutto appare significativo: anche la pioggia nell’unico giorno libero del mese, anche il libro con la costola consumata che si apre a una pagina precisa, e anche questo saltellio sulle corde della mia colonna sonora sentimentale che fa mancare per un istante la gravità nella stanza. Lo annoto mentalmente e poi dico fra me che è solo un’altra cosa da archiviare, e che tanto non importa. Me lo dico così spesso che ho sviluppato una specie di callo, una pelle durissima che si chiama proprio “tanto-non-importa” e che fa la stessa resistenza del mio vecchio giubbotto di pelle quando tanti anni fa feci quel volo in motorino. Il giubbotto distrutto, io nemmeno un graffio.

A me non importa, e quindi mi importa.

Il passato non è lì invano, fa parte del presente. Mi è capitato di ripensarci anche ragionando su cose che non c’entrano (si fa per dire) con me. Tipo le ri-traduzioni di Fitzgerald (cado sempre su questo, lo so). Ora, è vero che ce n’era bisogno, è vero che nella traduzione della Pivano c’erano delle cose da ripensare, come accade a tutte le traduzioni che hanno più di venti-trent’anni. Ma è anche vero che così è entrato nel mio orecchio Fitzgerald, prima che lo leggessi in originale. Forse mi fa meno effetto pensando a The Great Gatsby, ma se penso a Tender is The Night un po’ mi si stringe il cuore a pensare che si possa cambiare quell’inizio largo come un occhio che si apre sulla dolcezza e sui colori tenui e forti della riviera francese. Nostalgica? Non lo so. Non credo, perché poi le nuove traduzioni le leggo e le apprezzo. Non mi pare che si tratti di nostalgia, ma piuttosto di pilastri, di cose a cui siamo un po’ appesi: senza essercene resi conto certe immagini sono lì, come una canzone di dieci anni fa che ti fa pensare a un luogo o a una persona. Le canzoni, poi, si possono ricantare e anche bene, che c’entra.

Ecco, i miei sono pensieri tira e molla.

Mi importa ma non mi importa, mi piace ma non mi piace, è giusto ma anche un po’ sbagliato.

Quando fuori la luce si fa chiara, e il giorno fa capolino, di solito io prendo sonno. Dormo un paio d’ore, a volte tre, poi inizio a rallentatore le attività della mattinata. Adesso è ancora troppo presto. La schiena mi scricchiola, il collo pure, c’è un lavoro che aspetta da troppi giorni di essere finito. Questa settimana è stata tremenda. Lo dico così, per inciso, perché a un certo punto lo devo pur dire, senza sentirmi in colpa perché mi lamento. Io non mi voglio lamentare. Ma quando una settimana è tremenda, c’è poco da fare, l’unica cosa da fare è aspettare che finisca, magari consolandosi con un bel mazzo di fiori sul tavolo, con una pizza e due chiacchiere un po’ più distese, magari anche solo sognando la luce rosa e oro della riviera francese, e i tetti di una dozzina di vecchie ville (che) marcivano come ninfee in mezzo ai pini ammassati tra l’Hôtel des Étrangers di Gausse e Cannes, cinque miglia più in là.

martedì 5 aprile 2011

di cosa parliamo quando il giorno finisce (frammenti)

Oggi ho ascoltato quasi ossessivamente In Ear Park dei Department of Eagles, e nel frattempo mi sono tagliata i capelli e ho finito di leggere un giorno questo dolore ti sarà utile. Adesso mangio pane e marmellata, dopo che ho risolto diciotto problemi diversi al lavoro e fatto tre composizioni. Prima di questo ho ritirato una nuova revisione che mi ha assegnato la casa editrice e dopo questo sono andata a bere un bicchiere di vino in Sant'Ambrogio, ho fatto chiacchiere, sono andata in motorino e ho sentito in radiocronaca gli ultimi 10 minuti di Inter Schalke. Ora sono un po' stanchina, ma il nuovo taglio di capelli dà soddisfazione e le mani mi tirano un po' di meno grazie al consueto chilo di crema all'olio d'oliva.

-E tu? Di cosa parli quando parli d'amore?
-Di niente.
-Cioè?
-Non mi va di rispondere.
-Suona un po' come un "fatti i fatti tuoi".
-Infatti.

A quanto pare non sono l'unica che non può più vedere la televisione, a parte i novanta minuti della partita di calcio la domenica. Non sopporto che ogni minuto della mia vita sia scandito da quel che ha fatto il Premier minuto per minuto. È talmente compenetrato con ogni azione, decisione e respiro di questo Paese benedetto dal clima e maledetto da tante altre cose, che di fatto mi sembra di nuotare costantemente nella melma. Non è politica, non c'è ragionamento. È solo una questione di pelle. Lascio tutti i ragionamenti seri e dotti sull'ultimo ventennio del mio Paese a quelli che hanno ancora fiato. Non per noncuranza, sia chiaro. Per sfinimento. Continuerò a fare la brava cittadina, andrò a votare leggerò tutti i giornali, prometto di non diventare indifferente. Ma per favore. Basta farcelo vedere anche mentre si soffia il naso.

-Non ti capisco. Davvero, non capisco. L'amore è dappertutto no? Lo dicono anche le canzonette. Deve essere anche in te.
-Certo che c'è. Solo che non ne voglio parlare.
-Ma di cosa, esattamente, non vuoi parlare?
Stai cercando di fregarmi. Se ti dico di cosa si tratta, alla fine ne parlo.
-Astuta.
-Grazie.

Se hai la fortuna di tradurre abbastanza a lungo, poi ti trovi a tradurre qualunque cosa ti capiti a tiro. Sguardi, gesti, abbigliamento, intensità di una carezza, accoglienza di un abbraccio, tormenti nascosti in un sopracciglio che si alza. Un po' come i doppiatori, che poi sono bravissimi a leggere il labiale della gente anche quando sono al ristorante. Un giorno penso che si tratti di una eccezionale risorsa, il giorno dopo di una grossa sfiga. Inutile fasciarsi la testa. Ognuno ha i superpoteri che ha.

-La verità è che quando parlo d'amore penso a quelli che in qualche modo ce l'hanno fatta, ma l'immagine che mi si materializza veramente davanti agli occhi è quella di due persone che scrivono il nome sui loro libri per riconoscerli quando si separeranno.
-È un po' amaro.
-Oh per favore.
-Ti sembro ridicolo?
-No ma mi sembri scontato. E non ho tempo per i commenti scontati.
-Cosa vuoi fare ora?
-Voglio ascoltare un disco di bossa nova.