
Fa freddo.
Di fronte a me un bambino nero, sui tre anni si racconta le novelle da solo mentre suo padre sonnecchia. Il dito indice della sua mano destra racconta al dito indice della sua sinistra i tre porcellini. Con tanto di coreografia. “il lupo allora bussò alla porta del primo porcellino...” (e vigoroso battere di pugni sul tavolino davanti)
Intanto gli occhi mi si chiudono e si aprono al ritmo usuale della campagna pietrificata e bianca, dei piccoli brividi dovuti all’aprirsi della porta automatica che fa passare l’aria fredda dentro il vagone, e dei pensieri vorticosi e poi lenti.
Penso al fine settimana che mi è rotolato addosso pieno di momenti bellissimi.
Un dopo cena degustazione di vini a casa dei miei amici, un dopo cena lungo lungo, di chiacchiere e chiacchiere e risate e risate, il viaggio in vespa per tornare a casa, un bagno caldo alle tre di notte, un letto fresco di bucato.
Penso al buio della notte di Siena e a quel freddo penetrante. Alle risate calde e alle persone belle che mi erano intorno. La notte al museo e la musica e quelle pareti bianche.
“il lupo allora gonfiò le sue guance e soffiò e soffiò...” (seguono soffi veementi misti a sputacchi).
Una città misteriosa e familiare, un’amica in qualche modo molto vicina, una mano che mi cinge la spalla e una parola all’orecchio a intervallare una conversazione ad alta voce.
Capirsi con un’occhiata.
“e la capanna di paglia cadde al primo soffio, e il porcellino molto spaventato corse e corse e corse...”
La marmellata della mamma di M., una specie di madelaine della mia adolescenza, il latte, la sigaretta in pigiama sul balcone, mentre il freddo della ringhiera mi si ramifica su per i gomiti fino a raggiungere il collo.
Sul pullman delle due, stipato di turisti e pendolari, un uomo enorme piange consultando un dizionario, parla un po’ da solo, borbotta irrequieto. Il sole invernale scalda il vetro a cui sono appoggiata. Poi in treno, mentre varco gli appennini di nuovo, leggo e mi appoggio storta allo schienale. L’umanità in viaggio e tutte le domande che mi fa porre. Facce dopo facce, scarpe e borse, parole smorzate, libri, musica, riviste e parole crociate.
Bologna. Un libro nuovo, una trapunta rosa, una tazza di tè bollente. La cena e la tv, e ancora musica, altra dimensione e altro spirito. Ancora freddo. Qualche lacrima a condire la serata. Qualche lacrima e molti abbracci. Che salvano dal mondo che è fuori e per un po’ lo lasciano a contorcersi nelle sue pieghe.
“e la capanna di legno cadde al secondo soffio, e i due porcellini sempre più terrorizzati corsero e corsero e corsero...”
Quando sono arrivata a casa stamattina mi sentivo male dal sonno. Mi sono messa a fare qualcosa ma era impossibile mantenere la concentrazione. Ho tolto di mezzo le scarpe e mi sono buttata sul letto nella mia casetta di mattoni, faticosamente costruita in questi anni.
E ho dormito.
E sognato.