giovedì 27 maggio 2010

pedicure

Non so,
il 2010 sembra un anno particolare: avvenimenti grandi, avvenimenti piccoli, comunque roba di un certo spessore. Contratto a tempo indeterminato, lavoro triplicato, altri lavori, stanchezza multipla, casa da tirare su, eccetera eccetera eccetera.
Ma non è la fatica di un anno un po' difficile quello che mi colpisce.
Mi colpisce lo squilibrio.
Ora non giova che le cose nel nostro paese vadano a rotoli, non giova la crisi, non giova la frustrazione generale, ma le persone mi sembrano sempre più scombinate, sempre più prive di autocontrollo.
Le sclerate sono all'ordine del giorno o quasi, e quasi sempre sono originate da cose minuscole: un secchio non svuotato, un ago di pino caduto nel posto sbagliato.
Quasi meccanicamente tutte queste schegge di follia mi puntano e inevitabilmente mi trafiggono.
Ora, come diceva la mia amica napoletana, "tu si 'na calamit' 'e pazzi". Credo che sia un po' vero, devo avere un'aria rassicurante, e comunque ci ho fatto l'abitudine da quando il matto del quartiere ha iniziato a sedersi di fronte a me e a fissarmi mentre studiavo al parco.
Ma in questo periodo mi succede così spesso che mi sento pazza anch'io, e forse questo era l'inevitabile finale di questa storia.
Presto mi troverò a camminare su e giù per la strada declamando qualche poesia.
Forse sarà liberatorio.
Per il momento, per brindare alla mia nuova pazzia, mi dipingo le unghie dei piedi di viola.
Buon fine settimana, e buona luna piena a tutti.

giovedì 20 maggio 2010

colonna sonora


Ascolto ininterrottamente i National dai primi di Maggio ormai, come quando da ragazzina ascoltavo la stessa cassetta venti volte in un pomeriggio, e continuo a essere sovraccarica di emozioni, però in un modo diverso da quando ero una ragazzina. Oggi ero così assorta che mi sembrava che certe note mi fossero entrate sotto la pelle, allora mi sono imposta di smettere e ho dato una girata a caso alla rotella dell'I-pod. Ed è saltato fuori Dente che cantava so benissimo cosa c'è nei tuoi occhi bagnati, un po' di pioggia e un po' di ferite...

Intanto, tanto per cambiare, un acquazzone di prima categoria mi travolgeva. Sono rientrata a casa fradicia come quella volta che i miei amici mi hanno buttata di peso dentro la fontana della piazza davanti alla scuola. Capelli appiccicati alla faccia, vestiti da strizzare, fiatone e guance rosse per aver corso.

Non so come spiegarli, certi momenti. E' come essere un filo dell'alta tensione che può fulminare da un momento all'altro chi lo tocca. Sembra tutto regolare e calmo, non manifesto nessun cambiamento apparente.

Ma c'è un tumulto. C'è più tumulto del solito là sotto.

mercoledì 12 maggio 2010

Storia della biondina che passa la notte alla stazione di Milano Centrale

La stazione di Milano di notte non è come quella di Firenze, che è sempre piena di gente assurda. Arrivo da Malpensa sotto il diluvio universale, ma proprio un nubifragio, così forte che copre le voci delle poche persone in giro, così forte che copre i miei pensieri e le frasi che leggo sul libro. Di quelle frasi mi arrivano solo i colori, il fruscio verde della gonna di velluto della regina e visualizzo un verde morbido e senza corrispondenza con quello che mi circonda che è uniformemente grigio e lattiginoso di luci al neon. Compro il biglietto. Sono le 11.53. Il mio treno è alle 5.45. Non so dove andare.
Mi dondolo un po' da un binario all'altro, trascinando la valigia rossa, e accendendomi la prima sigaretta della giornata, alla fine decido di rischiare un po' di bionditudine, benché dimessa dopo le prime dodici ore di viaggio, e mi infilo nella stazione della polizia ferroviaria.
Ho addosso un odore dolciastro, credo di essermelo portato dietro dal duty free dell'aeroporto dove ho provato due o tre profumi mentre aspettavo che la benedetta nuvola decidesse cosa fare di sé. Non è sgradevole, ma non è il mio, e lo sento saltar fuori come un coniglio dal cilindro a ogni gesto che faccio.
I poliziotti della Polfer mi accolgono con una gentilezza rara, offrendomi anche bevande calde per superare la notte.
Sono un gruppo di ragazzi giovani, che parlano del futuro e del presente fumando e ogni tanto ridono di una battuta che capiscono solo loro.
In quel silenzio rotto solo dalla costante presenza del televisore con la pubblicità delle mozzarelle (a un certo punto uno dei ragazzi mi ha guardata e ha detto "che faccio gli sparo?") si assisteva quindi alla scena di una biondina appoggiata alla porta dell'ufficio, con un fiore per capelli agganciato al libro che ha in mano, in mezzo a cinque uomini in divisa, che racconta le peripezie del suo viaggio, mentre qualcuno ride e dice "mamma mia ti metteranno sullo show dei record".

La notte si è schiarita e anche la pioggia si è via via diradata. Si sentiva gocciolare l'acqua dalle tettoie e dalle grondaie.
A un certo punto è comparsa una bambina mulatta, vestita di rosa, che camminava con le scarpe di sua madre mentre lei dormiva su una panchina, e mi ha chiesto delle cose a voce bassissima.
Non capivo bene perché sussurrava, e quando le ho avvicinato l'orecchio alla bocca mi ha chiesto delle cose in spagnolo. Allora le ho risposto e siamo diventate migliori amiche. Anche lei aspettava un treno. E non aveva per niente sonno.

Quando ho salutato i miei compagni notturni, alle cinque e mezza, uno stava facendo colazione con un kinder bueno. Me ne ha offerto la metà ridendo.
Un po' mi è dispiaciuto partire, un po' mi avrebbe fatto piacere stare lì e chiacchierare per davvero, senza le frasi di circostanza e senza i ruoli, solo come sarebbe stato parlare con un gruppetto di amici a notte fonda. E senza quel sonno che mi divorava le gambe.
Ma poi il cielo ha cominciato a diventare viola e poi bianco e in treno c'era un bel tepore e non c'era nessuno e allora mi sono appoggiata al sedile e mi sono tolta le scarpe e ho chiuso gli occhi quasi subito, in quell'odore non mio reso più acuto dal corpo che finalmente riprendeva un po' di calore, e mi sono addormentata in mezzo alla nebbia, fuori fitta, dentro un po' meno.

lunedì 10 maggio 2010

Storia della biondina bloccata da una nuvola.

Poi ti racconto,
di quando mi sono trovata dentro la Royal Albert Hall con addosso un adesivo che diceva "all areas" a sentire il concerto di uno dei miei gruppi preferiti, e di come poi ho conosciuto uno dei musicisti, e me lo aspettavo in un modo e invece era diverso, delicato, gentile, pieno di buone maniere e un po' piccolo di statura.
Poi ti racconto, di come il giorno dopo io e la mia amica M. non riuscivamo a parlare d'altro, di come canticchiavamo ancora le canzoni e di come ci siamo sentite rinfrancate in un pub non più fumoso, visti i divieti, ma che odorava di legno e di chiuso e di calore umano, con le pareti della minuscola stanza ricoperte di cravatte incorniciate, immagino roba di università diverse e di varie epoche, e ti racconto del freddo che faceva fuori, che fa tuttora fuori, che sembra proprio inverno e il vento gelato ti entra nel collo e allora l'acquisto pazzo della vacanza è diventato un maglione di cachemere color pervinca che mi fa sembrare una ragazzina, ma che poi, abbinato alla mia tradizionale austerity, in realtà mi rappresenta molto.
Poi ti racconto, della passeggiata solitaria per le strade, delle tre ore passate a studiare dentro un caffè -e di quanto mi manca il poter stare tre ore a studiare dentro un caffè senza che ogni tre secondi passi un cameriere a chiederti se stai bene - del trovarsi all'angolo con la mia amica che esce dal lavoro, mangiare fuori chiacchierando e poi sfidando le intemperie buttarsi dentro un altro concerto, e poi addormentarsi a casa sul fouton con un libro meraviglioso - pescato a caso dalla sezione non letti della libreria - che ti fa pensare che dovresti scrivere un essay su tutte le cose che hai segnato mentre lo leggevi e che poi lo dovresti tradurre e mettere nella cartellina delle cose che forse un giorno chissà, serviranno.
Poi ti racconto anche della notte scorsa, passata in bianco e di un pianto a caso che non so dire se fosse liberatorio o di awareness, o magari tutte e due le cose insieme, della corsa stamattina per prendere la navetta per l'aeroporto, delle ore d'attesa, del volo cancellato, del gruppetto eterogeneo di quattro con cui stavo per fare la follia di prendere un'auto a noleggio e farmi il viaggio fino all'Italia di notte per non perdere un giorno di lavoro, e di come poi con quel gruppetto ci siamo salutati bevendo birra in uno squallidissimo bar dell'aeroporto, ma sorridendo, prima che la navetta mi riportasse qui, alla casetta della mia amica che mi ha ri-accolta con una cena veloce in un posto greco e un cinema, che era proprio la cosa che ci voleva.
Poi ti racconto, ma ora non posso, perché non so dove sei. Ma non mandare nessun segnale di fumo, vedrai che quando sarà il momento ti troverò io.
Chi mai lo penserebbe che mi ha bloccata qui una nuvola vulcanica: mentre fumavo la mia ultima sigaretta in giardino, poco fa, il cielo era ricoperto di stelle.