mercoledì 30 luglio 2008

fresca


Sarà che sono stata un'ora a leggere nella vasca da bagno (più per combattere questi 45 gradi che per fare la signora, in realtà)
sarà che a furia di correre in motorino da una parte all'altra della città a qualunque ora del giorno o della notte ho le braccia un po' abbronzatine, e un po' anche i piedi
sarà che, soprattutto, lavoro serena e contenta e il mio lavoro, contrariamente a quanto appare, ha un senso, ma un senso così importante e profondo per la mia vita che sembra pervadere ogni mio pensiero e riempire gli spazi di silenzio con idee e riflessioni sciolte, che poi sono belle da organizzare.
Sarà la casa vuota e pulita e fresca
sarà che le ferie sono vicine
eppure oggi è uno di quei rari giorni in cui mi sento bellissima.

martedì 22 luglio 2008

Genova, sette anni dopo


IL LODO BOLZANETO

Impunità per le torture

Su 46 imputati per gli abusi nella caserma genovese, 30 assolti. Gli altri condannati a pene lievi o lievissime. Il primo processo alle forze dell'ordine per i massacri del G8 si conclude con la vittoria dei torturatori

Sara Menafra

INVIATA A GENOVA

Scarnificata, privata dei particolari più raccapriccianti. La storia delle torture della caserma di Bolzaneto che nelle notti del G8 genovese coinvolsero quasi trecento persone (209 sono le parti civili che hanno partecipato al processo) emerge ripulita e stravolta dalla sentenza che ieri sera ha assolto la maggior parte degli imputati e condannato quindici persone su quarantasei ad un totale di ventiquattro anni di carcere, contro i 76 e quattro mesi chiesti dai pm Patrizia Petruziello e Ranieri Miniati.
E anche se i magistrati che hanno seguito l'inchiesta per sette anni si dicono «soddisfatti» perché «l'impianto accusatorio ha retto, nonostante alcune valutazioni differenti del tribunale», basta scorrere le condanne per capire che il collegio presieduto da Renato Delucchi ha creduto solo parzialmente alle accuse delle parti civili che in questi anni hanno ripercorso le notti di Bolzaneto cercando di ricordare volti e torture.
Assolti tutti i carabinieri, quelli che, dopo la morte di Carlo Giuliani in piazza Alimonda, erano stati dirottati a Bolzaneto ad occuparsi dell'«accoglienza» ai manifestanti arrestati e fermati . Via gli agenti della polizia penitenziaria Oronzo Doria, Ernesto Cimino e Bruno Pelliccia. E a casa anche i poliziotti che si occupavano dell'«ufficio matricole», gli unici per i quali i pm avessero chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche.
La condanna più grave, a cinque anni, contro i 5 anni 8 mesi e 5 giorni chiesti dalla procura, è stata chiesta per Antonio Biagio Gugliotta, l'ispettore della polizia penitenziaria responsabile dell'intero «sito penitenziario». Quello che, secondo le testimonianze delle vittime, introdusse a Bolzaneto la «posizione del cigno» decidendo che la maggior parte dei detenuti dovessero attendere in piedi, faccia al muro con gambe divaricate e braccia alzate (la cosiddetta «posizione del cigno», appunto) per tutto il tempo della detenzione, fosse anche un giorno intero. Alfonso Sabella, coordinatore di tutte le attività dell'amministrazione penitenziaria durante il G8 (archiviato alla fine delle indagini preliminari), raccontò ai pm: «Gugliotta mi fece capire che la polizia di stato teneva gli arrestati in quel modo e dunque poteva essere visto come una sorta di delegittimazione operare una scelta differente».
Decisamente ridimensionata la posizione di Giacomo Toccafondi, il medico «in tuta mimetica», per il quale i pm avevano chiesto tre anni e mezzo di carcere e che è stato condannato a un anno e due mesi. Evidentemente - ma saranno le motivazioni a chiarire quale sia stata la ratio - i giudici non hanno creduto ai racconti delle tante vittime passate in infermeria, che hanno parlato delle minacce del medico, di come costringesse le ragazze a spogliarsi e girarsi e rigirarsi nude davanti a lui. O di come abbia ricucito senza anestesia la mano strappata di Giuseppe Azzolina.
Per quel taglio in due parti, che ha danneggiato in modo irreparabile il giovane genovese, il responsabile, Massimo Luigi Pigozzi, 44 anni, assistente capo di polizia ancora in servizio a Genova, è stato condannato a tre anni e due mesi. Una punizione a metà: la corte ha deciso che quel gesto, quello strappo, non era aggravato dall'aver agito con «crudeltà nei confronti della vittima». Anche lui, come tutti gli altri, potrà beneficiare di una rapida prescrizione, a gennaio del 2009.
Perché la beffa nella beffa, più crudele delle condanne fortemente ridimensionate, è proprio questa. L'incapacità della giustizia italiana di riconoscere che quel che accadde a Bolzaneto era tortura ha fatto in modo che i responsabili della caserma che accoglieva i detenuti fermati durante i cortei fossero accusati di abuso d'ufficio (art. 323 del codice penale, pena massima 3 anni), solo in alcuni casi di lesione personale (art. 582, 3 anni) o di falso (art. 479, 6 anni) perché nel nostro paese il reato di tortura non esiste. E non c'è norma che riconosca i calci, i pugni, l'attesa per ore in piedi, il passare tra due ali di agenti che picchiano, il dover cantare «Uno due tre, viva Pinochet» o «duce duce». E nei prossimi mesi prescrizione e indulto cancelleranno tutto il resto. Con l'incubo lasciato appena dietro l'angolo di un decreto «blocca processi» che poteva fermare persino questa sentenza.
Serve a poco pensare che i giudici abbiano riconosciuto anche le responsabilità dell'ex numero due della Digos genovese, Alessandro Perugini, vicequestore e dirigente più alto in grado presente a Bolzaneto condannato a due anni e quattro mesi (invece di tre e mezzo) insieme ad Anna Poggi, vice di Canterini all'interno della struttura.
E le parole del pm Vittorio Ranieri Miniati, «nella sostanza l'accusa di abuso d'autorità (e dunque di tortura, ndr) è stato riconosciuta», lasciano l'amaro in bocca.

Il Manifesto, 15 Luglio 2008

Processo Diaz, oggi le richieste per 29 imputati

Alessandra Fava

GENOVA

Il falso sta nei verbali perché «non si comprende la necessità di far firmare un gruppo raccogliticcio di persone». La costruzione artificiosa delle molotov sono il «frutto avvelenato» di una perquisizione non riuscita. La calunnia è nell'aver arrestato 93 persone dicendo che si trattava di una pericolosa banda di criminali, tanto criminali da dover essere liberati pochi giorni dopo, dire che erano tutti nella scuola mentre quattro di loro furono arrestati fuori. Ieri, nella sesta udienza della requisitoria del processo Diaz, l'ultima prima della richiesta delle pene da parte della Procura prevista per oggi, il pm Enrico Zucca che con Francesco Albini Cardona ha condotto le indagini contro i 29 poliziotti imputati, ha approfondito le responsabilità di chi eseguì i pestaggi nella Diaz e il tema dei falsi nei verbali d'arresto, nei verbali delle perquisizioni e nelle relazioni di servizio, oltre ai reati consumati nella cosiddetta perquisizione alla Pascoli. Nella giornata di oggi, i due pm chiederanno le condanne per ciascun imputato. Si sa già che cercheranno di circoscrivere le richieste senza azzardare domande roboanti. E che sarà esclusa la posizione di Alfredo Fabbrocini, oggi vice questore a Bari.
«A commettere certe brutalità e pestaggi - ha affermato Zucca - è stato il settimo nucleo antisommossa guidato da Francesco Canterini e Michelangelo Fournier. I due comandanti sono almeno colpevoli di concorso morale nella "macelleria messicana", se non altro per la loro condotta omissiva». E quindi: «Non è sufficiente che Fournier abbia gridato "basta, basta" perché il suo intervento è stato comunque tardivo». Intanto, è cominciata ieri la «settimana dei diritti» organizzata per ricordare l'anniversario del G8.

Il Manifesto, 17 Luglio 2008

Chiusa la requisitoria nel processo per la sanguinosa irruzione nella scuola a Genova
Contro gli agenti e i vertici della Polizia, 110 anni. Attesa per ottobre la sentenza

G8, processo per l'assalto alla Diaz
Chiesta la condanna di 28 poliziotti

GENOVA - Centodieci anni contro gli agenti responsabili della sanguinosa irruzione nella scuola Diaz durante i G8 di Genova. Chieste dalla Procura ventotto condanne ed una assoluzione nei confronti degli agenti e dei vertici della Polizia imputati nel processo per i tragici fatti del 2001.

"Condannate i poliziotti delle molotov".
Le richieste variano da cinque anni a tre mesi di reclusione. La pena più alta è stata chiesta per Pietro Troiani all'epoca vicequestore, accusato di aver portato due molotov nella scuola nel tentativo di farle passare come armi trovate in possesso ai no global.

Accusati i dirigenti della Ps.
Per i vertici della Polizia Francesco Gratteri (attuale capo del dipartimento anticrimine) e Giovanni Luperi (ex numero due dell'antiterrorismo), i pm hanno chiesto 4 anni e 6 mesi ciascuno per le accuse di falso ideologico, calunnia e arresto illegale. Per Vincenzo Canterini che secondo le ricostruzioni dell'accusa comandava il settimo nucleo della squadra mobile protagonista dell'assalto alla scuola, la Procura ha chiesto 4 anni e mezzo. Pena leggermente più bassa per Michelangelo Fournier il poliziotto che in aula raccontò di aver assistito ad una "macelleria messicana": 3 anni e 6 mesi di reclusione. Chiesta la condanna anche dell'agente Massimo Nucera che si inventò di aver ricevuto una coltellata durante il blitz della scuola. Quattro anni a lui e al suo superiore Maurizio Panzieri, che avallò nel verbale il finto accoltellamento. Condanne sono state richieste anche per gli allora dirigenti della mobile di Genova Nando Dominici, e della Digos Spartaco Mortola.

Sentenza ad ottobre. Conclusa la requisitoria dei pm, il dibattimento riprenderà dopo la pausa estiva a settembre con gli avvocati delle parti civili. La sentenza è attesa per ottobre.

Il verdetto sulla caserma di Bolzaneto. Tre giorni fa, la sentenza contro agenti e medici accusati di abusi nei confronti di duecento no global rinchiusi nella caserma di Bolzaneto durante gli scontri in città del luglio di sette anni fa. Con un verdetto che ha suscitato molte critiche, 30 imputati furono assolti. Contro una richiesta di poco meno di 80 anni di reclusione, i giudici ne hanno inflitto solo 24 e, grazie alla prescrizione e all'indulto, nessuno dei 15 condannati finirà in prigione.


La Repubblica (17 luglio 2008)

giovedì 17 luglio 2008

universi

Sto poco al computer in questi giorni.
Quando ci sto navigo, navigo, navigo in cerca di possibilità, e ne trovo così tante che poi mi gira la testa.
Allora torno sui miei passi, ripercorro vie note, riapro vecchi libri.
Non so se stavo meglio senza desideri, o adesso che di desideri ne ho così tanti. Il passaggio è stato vorticoso e ancora non mi rendo bene conto di quanto sono diversa da due mesi a questa parte.

Il signore anziano che ogni tanto lavora da noi è venuto a trovarmi.
Mi ha raccontato una sua vicenda difficile, che teme per la sua salute, che gli hanno consigliato un terapista. Dice "preferirei cento volte dover subire un'operazione e sapere che quando mi sveglio starò meglio, che dovere intervenire sulla mia psiche".
Cerco di confortarlo dicendo frasi di circostanza ed ovvietà. 
Torna alla sua bicicletta dicendo "ti voglio tanto bene".

Sembra che tutto concorra a strapparmi di dosso la pelle, e a farmi sentire tutte le sensazioni amplificate e  risonanti.


 

martedì 8 luglio 2008

"...un crayon jaune"

Da oggi, quando non scrivo con la tastiera, voglio scrivere tutto a matita. Voglio poter cancellare tutto e riscrivere tutto infinite volte. Voglio poter ricominciare sempre da capo, anche se le tracce di quello che c’era prima si intravedono e i solchi si toccano.

Tanto i solchi si toccano sempre: le cicatrici, le rughe, le pieghe dei vestiti e delle lenzuola.

In questi giorni mi sembra che la corsa si sia leggermente fermata, si prende fiato, ci si rifà il trucco e ci si spazzolano un po’ i capelli per tornare sul palco.
Che è pronto lì, allestito, e sembra un foglio bianco, su cui graffiare con la mina della matita e su cui salire e fare, o scendere e guardar fare, a seconda dell’inclinazione del momento.

E la musica poi.

Insieme all’ingestibile frangetta estiva, è tornata la musica.

domenica 6 luglio 2008

plans


Resto in casa, fumando sigarette e godendomi il fresco della sera che si spande sulla pelle e sulle cose. 
Attendo, paziente, che gli spigoli si stondino.
Dopo due notizie molto belle ieri, di cui faccio tesoro e da cui dipendo per soffrire un po' meno, oggi, una giornata demenziale, a correre dietro al caldo, ai negozi chiusi e al telefono. 
Oggi uno sguardo con mia madre, incontrata per caso in centro, valeva più di mille ore passate a parlare.

E continuo a cercare strade per uscire dal caos, ma forse è proprio il caos la strada, quello che mi tiene in piedi, quello che mi impedisce di abbattermi.
E mi chiedo se fare piani serva, e mentre me lo chiedo so che non posso far altro che fare piani, ché i piani di fatto sono una scorta inesauribile di speranza, ed è questo quello che serve, in fondo, credere che domani le cose andranno dove tu vuoi che vadano, o almeno, in quella direzione.