lunedì 26 maggio 2008

una spiaggia in città


 E’ stato un fine settimana strano.  Dopo tanti mesi che non succedeva più sono rimasta chiusa nella mia stanzetta per una giornata intera, a studiare, a riordinare appunti, a fare lavatrici e nutrirmi di riso bianco con verdure. La casa era nel frattempo gentilmente invasa dagli ospiti delle mie coinquiline, e io, dopo aver svolto il minimo sindacale della cortesia da ospite, ho ritrovato uno spazio segreto per pensare a tutto quello che devo fare e che farò nelle prossime settimane.

Sabato mi sono svegliata alle sette e mezza, ho fatto il caffè con calma, ho passato alcuni momenti a contemplare l’albero pieno di gemme davanti alla mia finestra, finalmente spalancata senza timore del freddo. Mi sono sentita di nuovo dopo tanto tempo, al mio posto.

Mi sono sentita quella che è capace di godersi i chicchi di riso basmati attaccati alla padella e un po’ abbrustoliti. Quella che aspetta le nove di sera per mettersi in tasca cinque euro e le chiavi per andare a prendere una pizza da asporto in piazza, dall’ economicissimo pizzaiolo napoletano che parla dialetto e mi da del voi. Mi sono sentita per la prima volta libera dopo tanto tempo di contare i miei passi sul selciato respirare l’aria del crepusolo guardando in su e sentire gli odori delle cene degli altri dalle finestre basse di S. Frediano senza pensare “oddio, quanto tempo sto perdendo”

E’ buffo che accada proprio adesso, che invece ho i minuti contati e il lavoro moltiplicato per dieci. E’ buffa questa serenità quando proprio ieri sera la mia padrona di casa si è prodotta in una di quelle sfuriate stratosferiche per cui uno dovrebbe solo rivolgersi a un avvocato o cambiare casa in due settimane. E’ buffo che accada proprio adesso che mi sento sfiorare dall’amore anche se l’amore non può essere il mio primo pensiero, e allora mi tengo stretto il desiderio e lo centellino fantasticando su chissà quali impossibili vacanze esotiche mentre mangio insalata di pomodori e tonno sul mio balconcino.

E’ buffo perché con tutti questi ingredienti potrei essere al centro di una delle mie famose terrificanti crisi di panico e ansia. E invece mi sembra tutto così dolce. 


martedì 20 maggio 2008

star

Capricorno (22 dicembre - 19 gennaio)

In tutta la tua vita non sei mai stato così libero dal bisogno di essere salvato da qualcuno. Non devi essere salvato dalle tue fantasie più cupe perché, almeno per ora, sono oscurate dai tuoi pensieri più brillanti. Non devi essere liberato dall'oppressione o dalla schiavitù perché puoi benissimo farlo da solo. Non hai neanche bisogno che ti liberino dal male: grazie al duro lavoro che hai fatto negli ultimi tempi, il male è diventato allergico a te.


(L'ho già detto, lo so, ma io adoooro l'oroscopo di Internazionale.
E alla previsione felice vorrei aggiungere un'altra cosa. Che sono molto determinata a vincere la guerra, anche se le battaglie sono abbastanza cazzute.)

giovedì 15 maggio 2008

clienti

Il mio miglior cliente di ieri è stato un vecchietto che è venuto a trovarmi in negozio con una pallina di cotone avvolta nella carta igienica. Siccome io sono una curiosa tremenda, non stavo nella pelle nei tre minuti che ci ha messo per arrivare dalla porta al banco a passi lentissimi e cadenzati dal tic tic del suo bastone. quando poi è arrivato e si è appoggiato mi ha detto, reggendo il suo pacchettino, di avere un problema con le sue piantine di rosmarino e salvia.
"sono coperte di ragni. Questi". Svolge lentamente il fagottino e mi mostra, per completezza di informazione, i ragni, vivi e vegeti, prelevati dalle piantine.
"ce l'ha qualcosa per uccidere questi?"
Se avessi avuto una mezz'oretta libera sarei andata io a casa sua a schiacciarli col dito uno per uno.

Ma il premio per il miglior cliente del mese se lo aggiudica il gatto che faceva ordinatamente la fila davanti alla porta del veterinario, ancora chiuso. Se n'è andato solo quando è arrivato il secondo della fila: un labrador nero che evidentemente voleva passargli avanti.

sabato 10 maggio 2008

sunny

Mentre il sole scalda finalmente la mia città e si spargono in giro migliaia di pelucchi bianchi provenienti dagli alberi dei viali, io mi preparo alla maratona della domenica coi parenti lontani (e l'unica cosa che mi fa prendere bene la terribile giornata di domani è che i parenti lontani vivono al mare e forse riuscirò a strappare un'oretta di passeggiata salsedinosa dopo le libagioni e i salamelecchi) e nel frattempo gongolo perché pare che sia sul punto di guarire: non so da cosa di preciso, ma pare che la guarigione si veda, pare che io sia l'unica a non vederla bene, pare che il mio arrossire a certe domande sia un po' diminuito e pare che le cose, in un modo o nell'altro, si sistemeranno.
Così, in questo languore da primavera finalmente inoltrata, mi rivedo un filmetto d'amore e non piango, pranzo su un prato con un pezzo di pizza, prendo il sole senza maglioncino prima di riaprire il negozio, e poi passo un'ora intera a cercare su youtube video di cantanti bellocci e musica di dieci anni fa, e mi viene anche un po' da ridere, a dire la verità.

giovedì 8 maggio 2008

wet paint

Oggi mi hanno chiesto trecento volte "che hai fatto di bello a New York?"
E naturalmente non so da che parte cominciare. Potrei cominciare dalla fine e dire che, intanto, ho comprato questo meraviglioso computer con cui sto scrivendo da sotto le coperte (grossa soddisfazione, conto in rosso, ma felice). Poi potrei parlare dei musei, dei concerti, delle ore a camminare. Ma di New York quest'anno mi hanno colpito soprattutto le persone. La gente all'ostello prima di tutto. Un matematico che passa tutte le sante notti a calcolare e calcolare su pacchi di fogli a quadretti -e chissà che risultato vuole ottenere, mi ha fatto pensare al calcolatore di guida galattica per autostoppisti, mi veniva da dirgli ok, fermati, la risposta è 42!- tenero, pacifico, simpatico. Strano, anche. Con un aspetto dimesso e un po' trasandato, e buste piene di giornali sempre dietro.
O la traduttrice dal ceco, una signora elegante e coi capelli bianchi con cui abbiamo condiviso una serata di chiacchiere e un gelato confezionato. O il gestore dell'ostello, che si commuove quando partiamo. O il gruppo di giapponesi al tavolo accanto, al ristorante, che festeggiava il viaggio del padre anziano fino a New York ("I told 'im: dad! first you visit New York, Then you visit heaven!" diceva il figlio un po' ubriaco sganasciandosi dal ridere) che per allargare i festeggiamenti ci hanno offerto un bicchiere di sakè. Gente in metropolitana e colori dappertutto, facce, miscugli etnici di una grazia meravigliosa, e poi tulipani dappertutto, in ogni aiuola di ogni angolo di strada. Fiori ovunque.

Non so, forse fra un po' mi verrà voglia di raccontare anche i concerti e le serate ed un ristorantino vicinissimo alla Bowery Ballroom con due tavolini fuori e un sacco di bella gente che è stata la prima vera accoglienza della città, dopo una giornata passata a prendere il sole a Central Park.
Per adesso però negli occhi ho solo colori, e la vernice è ancora fresca.